Antonio e Cleopatra – Atto III

(“Antony and Cleopatra” – 1607)

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Antonio e Cleopatra - Atto III

ATTO TERZO – SCENA PRIMA

(Una pianura in Siria.)

Entra VENTIDIO, come in trionfo (con SILIO e altri romani, ufficiali, soldati;) preceduto dalla salma di PACORO.

VENTIDIO

Ora sei vinta, terra saettante dei Parti,

ed ora la fortuna ben contenta

mi fa vendicare la morte di Marco Crasso.

Il corpo del figlio del re apra la sfilata

dell’esercito. Il tuo Pacoro, Orode,

paga così per Marco Crasso.

SILIO

Nobile Ventidio,

mentre ancora del loro sangue è calda

la tua spada, incalza i Parti fuggitivi.

Irrompi in Media, in Mesopotamia,

dove si rifugian gli sconfitti. Così

il tuo supremo comandante Antonio

ti porrà sul carro trionfale, e

cingerà il tuo capo di ghirlande.

VENTIDIO

Oh, Silio, Silio, ho fatto abbastanza.

Ricorda che un subalterno può esorbitare

con le sue azioni. Impara questo, Silio:

è preferibile lasciar incompiuta qualcosa

piuttosto che acquistare gloria troppo alta

compiendola quando chi serviamo è via.

Cesare e Antonio hanno sempre vinto

più pel tramite dei loro ufficiali

che non di persona. Il mio pari grado

in Siria, Sossio, suo luogotenente,

per la fama rapidamente accumulata

e che aumentava in continuazione,

perse il suo favore. Colui che in guerra

fa più del proprio capo, diventa capo

del suo capo; e così l’ambizione,

virtù del soldato, preferisce una sconfitta

a una vittoria che lo metta in ombra.

Potrei far di più per il bene di Antonio,

ma ciò l’offenderebbe. E nell’offesa

si annullerebbe ogni mio sforzo.

SILIO

Tu, Ventidio, possiedi quella dote

senza la quale ben poco si distinguono

soldato e spada. Scriverai ad Antonio?

VENTIDIO

Gli esporrò umilmente ciò che in nome suo,

magica parola d’ordine, abbiam compiuto;

come coi suoi vessilli e le sue truppe ben pagate

l’imbattuta cavalleria dei Parti

abbiam scacciata stremata dal campo.

SILIO

Adesso dov’è?

VENTIDIO

Si dirige su Atene,

dove con la fretta che ci consentirà

il bottino che portiamo con noi,

ci presenteremo a lui. Laggiù, in marcia! (Escono.)

ATTO TERZO – SCENA SECONDA

(Roma. Anticamera nel palazzo di Cesare.)

Entra AGRIPPA da una porta, ENOBARBO dall’altra.

AGRIPPA

Come, i fratelli si sono separati?

ENOBARBO

Si sono sbarazzati di Pompeo,

che se n’è andato. Gli altri tre

stan suggellando il trattato. Ottavia

piange perché deve lasciar Roma;

Cesare è triste e, come dice Menas,

dopo il banchetto di Pompeo,

Lepido è afflitto da languidi sospiri.

AGRIPPA

Quel nobile Lepido!

ENOBARBO

Un uomo

degnissimo: oh, come ama Cesare!

AGRIPPA

Ah, come adora Marcantonio!

ENOBARBO

Cesare: ecco un uomo come Giove!

AGRIPPA

E Antonio? È il dio di Giove.

ENOBARBO

Parlavate di Cesare? L’impareggiabile?

AGRIPPA

Oh, Antonio, tu araba fenice!

ENOBARBO

Per lodare Cesare basta dire

“Cesare”, non occorre altro.

AGRIPPA

Già,

li ha subissati entrambi di lodi

strabilianti.

ENOBARBO

Ma il suo beniamino

è Cesare; eppure ama Antonio.

Ah, non possono cuori lingue e cifre,

scribi poeti e bardi, pensare dire e numerare,

scrivere cantare e versificare

il suo amore per Antonio. Ma quanto a Cesare,

in ginocchio, in ginocchio, ad ammirare.

AGRIPPA

Li ama entrambi.

ENOBARBO

Essi sono le èlitre,

ed egli è il loro coleottero. Ah, (Squilli di tromba da dentro.)

il segnale di montare a cavallo.

Addio, nobile Agrippa.

AGRIPPA

Buona fortuna,

valoroso soldato, e addio.

Entrano CESARE, ANTONIO, LEPIDO e OTTAVIA.

ANTONIO

Basta, mio signore.

CESARE

Mi strappi una gran parte di me stesso:

fanne buon uso. Sorella, dimostrati

una moglie secondo i miei pensieri,

e che sulla tua riuscita possa impegnarsi

tutto il mio credito. Nobilissimo Antonio,

che quest’esempio di virtù, posto

fra noi per cementare il nostro amore

e tenerlo ben saldo, non si trasformi

nell’ariete che ne abbatte la fortezza.

Giacché meglio sarebbe stato amarci

senza codesto intermediario, se poi

ad entrambe le parti non starà a cuore.

ANTONIO

Non offendermi con la tua diffidenza.

CESARE

Ho detto.

ANTONIO

Anche con tutta la tua pignoleria

non troverai il minimo pretesto

per ciò che sembri temere. Che quindi

ti proteggano gli dei, e volgano

ai tuoi fini il cuore dei romani.

Qui ci separiamo.

CESARE

Addio, carissima sorella, addio.

Gli elementi ti siano propizi, e diano

al tuo animo ogni conforto! Addio!

OTTAVIA

Mio nobile fratello!

ANTONIO

Ha l’aprile negli occhi, è primavera

dell’amore: e queste sono le pioggette

che la fanno sbocciare. Sii serena.

OTTAVIA

Signore, bada bene alla casa

di mio marito; e…

CESARE

Che cosa, Ottavia?

OTTAVIA

Te lo dirò in un orecchio.

ANTONIO

La lingua non obbedisce al suo cuore,

né il cuore sa come ispirarla:

così la soffice piuma del cigno,

che sta immobile sull’acqua rigonfia

al culmine della marea, senza

propendere dall’una o l’altra parte.

ENOBARBO (A parte ad Agrippa.)

Cesare piange?

AGRIPPA (A parte a Enobarbo.)

Ha un’ombra sul volto.

ENOBARBO (A parte ad Agrippa.)

Ne scapiterebbe se fosse un cavallo,

ma non essendo un uomo.

AGRIPPA (A parte a Enobarbo.)

Perché, Enobarbo?

Quando trovò Giulio Cesare morto,

Antonio pianse a tutto spiano, e a Filippi

pianse vedendo Bruto ucciso.

ENOBARBO (A parte ad Agrippa.)

Quell’anno

soffrì invero di lacrime facili:

pianse per ciò che di proposito distrusse,

credimi, fino a far piangere anche me.

CESARE

No, dolce Ottavia, avrai sempre mie notizie;

non cesserò col tempo di pensarti.

ANTONIO

Suvvia, signore: lotterò con te

con la forza del mio amore: ecco, ti tengo,

e così ti lascio, affidandoti agli dei.

CESARE

Addio: sii felice!

LEPIDO

Che tutte le stelle innumerevoli

illuminino il tuo prospero cammino! (Bacia Ottavia.)

CESARE

Addio, addio!

ANTONIO

Addio! (Squilli di tromba. Escono.)

ATTO TERZO – SCENA TERZA

(Alessandria. Palazzo di Cleopatra.)

Entrano CLEOPATRA, CARMIANA, IRAS, e ALESSA.

CLEOPATRA

Dov’è quell’uomo?

ALESSA

Ha paura d’entrare.

CLEOPATRA

Su! Avanti! Vieni qui, messere.

Entra come prima il messo.

ALESSA

Maestà, Erode di Giudea osa guardarvi

soltanto quando siete compiaciuta.

CLEOPATRA

Avrò la testa di questo Erode.

Ma in che modo se è via Antonio,

grazie al quale io potevo ottenerla?

Avvicinati.

MESSO

Graziosissima maestà!

CLEOPATRA

Hai visto Ottavia?

MESSO

Sì, temuta regina.

CLEOPATRA

Dove?

MESSO

A Roma, signora: l’ho vista in volto,

condotta fra Antonio e suo fratello.

CLEOPATRA

È alta come me?

MESSO

No, signora.

CLEOPATRA

L’hai sentita parlare?

Ha la voce alta oppure bassa?

MESSO

L’ho udita parlare, signora: bassa.

CLEOPATRA

Non è male. Non potrà piacergli a lungo.

CARMIANA

Piacergli? O Iside, è impossibile!

CLEOPATRA

Lo penso anch’io, Carmiana: di voce spenta,

e nanerottola! Ha il passo maestoso?

Ricordati, se mai hai visto inceder la maestà.

MESSO

Striscia per terra: ferma o che si muova,

è identico. Mostra un corpo, non già vita,

è una statua, non un essere animato.

CLEOPATRA

Sei sicuro?

MESSO

O io non so osservare.

CARMIANA

Tre egizi non sanno osservar meglio.

CLEOPATRA

È esperto, lo vedo: non c’è nulla in lei.

È uno che sa giudicare.

CARMIANA

Ottimamente.

CLEOPATRA

Quanti anni può avere, ti prego?

MESSO

Signora, era vedova…

CLEOPATRA

Vedova? Senti, Carmiana.

MESSO

E credo abbia trent’anni.

CLEOPATRA

Ricordi

il suo volto? È allungato o tondo?

MESSO

Tondo, anche troppo.

CLEOPATRA

E il più delle volte

chi ha il volto così è anche sciocco.

Di che colore, i capelli?

MESSO

Castani, signora,

e non potrebbe aver fronte più bassa.

CLEOPATRA

Eccoti dell’oro. Non avertela a male

se prima sono stata così brusca:

ti riprenderò al mio servizio. Trovo

che sai far bene il tuo lavoro. Va’,

preparati, le nostre lettere son pronte. (Esce il messo.)

CARMIANA

Un uomo dabbene.

CLEOPATRA

Sì, per davvero.

Mi pento molto d’averlo tartassato.

Be’, a sentir lui, pare che questa donna

non sia gran cosa.

CARMIANA

Nulla di nulla, signora.

CLEOPATRA

Lui ha visto una regina, e dovrebbe sapere.

CARMIANA

Ha visto una regina? Per Iside,

e che altro… servendo voi per tanti anni!

CLEOPATRA

Ho ancora una cosa da chiedergli, Carmiana:

ma non importa, lo condurrai da me

dove scriverò; tutto può andar bene.

CARMIANA

Ve lo garantisco, signora. (Escono.)

ATTO TERZO – SCENA QUARTA

(Atene. Stanza in casa di Antonio.)

Entrano ANTONIO e OTTAVIA.

ANTONIO

Ma no, ma no, Ottavia, non solo quello…

quello sarebbe scusabile, quello

e mille altre cose di simile portata…

ma ha mosso nuovamente guerra a Pompeo;

ha fatto testamento, e l’ha letto

in pubblico: ha sì e no parlato di me;

e quando per forza non ha potuto

non tributarmi onore, lo ha fatto

in modo freddo e fiacco, lesinando al massimo.

Quando gliene fu dato l’estro, l’ignorò

o lo fece a denti stretti.

OTTAVIA

Mio buon signore,

non credere a tutto, o se devi,

non prendere tutto a mal partito.

Se fra voi due ci sarà discordia

nessuna più di me sarà infelice,

pregando per l’uno e l’altro di voi.

Gli dei benigni si burleranno di me,

che imploro: “Benedite mio marito!”

e subito rendo vana quella preghiera

implorando con altrettanto ardore

“Oh, benedite mio fratello!” Vinca

il marito, no, il fratello: una preghiera

annulla l’altra, non c’è via di mezzo

fra i due estremi.

ANTONIO

Gentile Ottavia,

che il tuo amore si indirizzi a chi

meglio vuole conservarlo. Se io

perdo il mio onore, perdo me stesso:

meglio non esser tuo, se così mutilo.

Ma secondo il tuo stesso desiderio,

sarai tu stessa il tramite fra noi;

intanto preparerò una guerra tale

che eclisserà tuo fratello. Affrettati;

così il tuo desiderio sarà esaudito.

OTTAVIA

Grazie al mio signore. Il potente Giove

faccia di me così debole, debole,

la vostra riconciliatrice! Una guerra

fra di voi, sarebbe come se nel mondo

s’aprisse una voragine, e occorressero

pile di cadaveri per colmarla.

ANTONIO

Quando ti sarà chiaro chi ne è causa,

su di lui indirizza il tuo sdegno,

giacché mai le nostre colpe potranno

equivalersi, sì che il tuo amore

equamente si divida. Preparati

alla partenza, scegli il seguito,

ordina qualsiasi spesa, a tuo piacere. (Escono.)

ATTO TERZO – SCENA QUINTA

(La stessa. Un’altra stanza.)

Entrano ENOBARBO e EROS, (incontro).

ENOBARBO

Ebbene, Eros?

EROS

Son giunte strane notizie, mio signore.

ENOBARBO

Quali?

EROS

Cesare e Lepido han mosso guerra a Pompeo.

ENOBARBO

È cosa vecchia. E l’esito qual è?

EROS

Cesare, dopo essersene servito nelle guerre contro Pompeo, gli nega parità, non vuol farlo compartecipe della gloria dell’impresa e, non fermandosi qui, lo accusa per certe lettere scritte in precedenza a Pompeo; in base alla sua sola accusa, lo fa arrestare, e così il povero triumviro è sotto chiave, finché la morte non lo liberi della prigionia.

ENOBARBO

Allora, mondo, hai solo un paio di mascelle,

e se in mezzo ci butti tutto il cibo che hai,

se lo macineranno. Dov’è Antonio?

EROS

Passeggia in giardino… così, e prende a calci

i fuscelli che incontra sul cammino.

Esclama “Stupido Lepido!”, e minaccia

di tagliare la gola all’ufficiale

che ha ucciso Pompeo.

ENOBARBO

La grande flotta è pronta.

EROS

Per l’Italia e per Cesare. Inoltre, Domizio,

il mio signore ti vuole subito: le notizie

avrei potuto dirtele più tardi.

ENOBARBO

Sarà cosa da nulla. Ma lascia stare.

Portami da Antonio.

EROS

Vieni, signore. (Escono.)

ATTO TERZO – SCENA SESTA

(Roma. Casa di Cesare.)

Entrano AGRIPPA, MECENATE e CESARE.

CESARE

In spregio a Roma ha fatto tutto questo,

e peggio ad Alessandria. Ecco come:

nel foro, su di un palco d’argento,

lui e Cleopatra davanti a tutti

sono stati insediati in troni d’oro;

ai loro piedi stava Cesarione,

che chiamano figlio di mio padre,

e tutta la progenie bastarda

che la loro lussuria ha generato.

A lei ha dato il governo dell’Egitto,

l’ha nominata sovrana assoluta

della bassa Siria, di Cipro, di Lidia.

MECENATE

E ciò pubblicamente?

CESARE

Nella pubblica piazza,

dove si fanno le esercitazioni militari.

Lì proclamò i suoi figli re dei re;

dette ad Alessandro la Grande Media,

la Partia e l’Armenia; a Tolomeo

assegnò Siria, Cilicia e Fenicia;

e nei paramenti della dea Iside

lei si mostrò quel giorno, e spesso prima

si dice che in tal modo diede udienza.

MECENATE

Che i romani ne siano informati.

AGRIPPA

Così che, già disgustati della sua insolenza,

rinuncino alla stima che ne hanno.

CESARE

Il popolo lo sa; e ora ha ricevuto

le sue accuse.

AGRIPPA

E chi accusa?

CESARE

Cesare:

perché dopo aver spogliato Sesto Pompeo

della Sicilia, non gli avremmo assegnato

la sua parte dell’isola. Inoltre

dice d’avermi prestato delle navi

che non gli sono state restituite.

Da ultimo, si infuria perché Lepido

è stato deposto dal triumvirato

e noi ci tratteniamo le sue rendite.

AGRIPPA

Signore, bisognerebbe rispondergli.

CESARE

È stato fatto, il messo è già partito.

Gli rispondo che Lepido era diventato

troppo crudele, e che abusava

della sua alta autorità, meritandosi

tale cambiamento. Delle mie conquiste

gli concedo una parte: ma esigo

altrettanto da lui per la sua Armenia

e gli altri regni da lui soggiogati.

MECENATE

Non acconsentirà mai.

CESARE

E allora

non si consentirà alla sua richiesta.

Entra OTTAVIA col suo seguito.

OTTAVIA

Salve, Cesare! Signori! Carissimo Cesare!

CESARE

Che mai dovessi chiamarti reietta!

OTTAVIA

Non l’hai mai fatto, e non ce n’è motivo.

CESARE

Perché arrivi fra noi così in sordina?

Non vieni come sorella di Cesare;

la moglie di Antonio dovrebbe avere

un esercito intero per araldo,

nitriti di cavalli che avvisino

del suo arrivo ben prima che compaia.

Gli alberi lungo la strada dovevano

esser carichi di gente, e l’aspettativa

svenire per il desiderio di ciò che s’attendeva.

Sì, la polvere doveva levarsi fino al cielo

per la ressa dei soldati. Tu invece

giungi a Roma come una ragazza di mercato

impedendoci di mostrare al mondo

il nostro affetto: e, se non si mostra,

esso rischia di non esser ricambiato.

Ti saremmo venuti incontro per mare e terra,

accrescendo ad ogni tappa il nostro omaggio.

OTTAVIA

Buon signore, a venire così non fui costretta,

ma l’ho fatto di mia libera scelta.

Il mio signore, Marcantonio, udendo

che ti apprestavi a muover guerra,

ne informò il mio orecchio desolato:

al che implorai il permesso di tornare.

CESARE

Che egli subito concesse, per rimuovere

un ostacolo fra lui e la sua lussuria.

OTTAVIA

Non dire così, signore.

CESARE

Lo tengo d’occhio,

e il vento mi porta sue notizie.

Dov’è, adesso?

OTTAVIA

Ad Atene, signore.

CESARE

No, fin troppo offesa sorella. Cleopatra

gli ha fatto cenno di raggiungerla.

Ha ceduto il suo regno a una bagascia,

ed ora essi stanno arruolando

i re della terra per la guerra. Ha radunato

Bocco, re di Lidia, Archelao di Cappadocia,

Filadelfo, re di Paflagonia: Adalla,

re dei Traci, re Malco d’Arabia,

il re del Ponto, Erode di Giudea,

Mitridate, re di Comagene, Polemone ed Aminta,

i re della Media e di Licaonia,

ed una sfilza ancor più ampia di scettri.

OTTAVIA

Ah, me infelice, col cuore così diviso

fra due amici che si osteggiano!

CESARE

Sii qui la benvenuta: le tue lettere

han ritardato la nostra rottura

finché non fu chiaro che tu eri ingannata,

e noi in pericolo per la nostra negligenza.

Su, fatti coraggio! Non lasciarti turbare

dai fatti che mettono a dura prova

la tua felicità, ma senza pianti

lascia che le cose stabilite dal destino

seguano il loro corso. Benvenuta a Roma,

tu che più di tutto mi sei cara; oltraggiata

più di quanto si possa concepire!

Ma gli alti dei, per renderti giustizia,

fanno di noi, e di quelli che ti amano,

i loro ministri. Sta’ di buon animo,

e sii sempre fra noi la benvenuta.

AGRIPPA

Benvenuta, signora.

MECENATE

Benvenuta.

Tutti a Roma vi amano e compiangono:

solo l’adultero Antonio, sfrenato

nei suoi abomini, vi scaccia via,

e cede la sua grande autorità a una baldracca

che contro di noi lo conclama.

OTTAVIA

È così?

CESARE

Sicuro. Benvenuta, sorella. Ti prego,

sii sempre paziente, mia carissima. (Escono.)

ATTO TERZO – SCENA SETTIMA

(Vicino ad Azio. Campo di Antonio.)

Entrano CLEOPATRA e ENOBARBO.

CLEOPATRA

Farò i conti con te, non dubitare.

ENOBARBO

Ma perché, perché, perché?

CLEOPATRA

Ti sei opposto a che partecipassi

a questa guerra, e dici che non è opportuno.

ENOBARBO

E lo è, forse, lo è?

CLEOPATRA

Se anche non fosse dichiarata a me,

perché non dovrei parteciparvi di persona?

ENOBARBO (A parte.)

Potrei rispondere: se militassimo

con cavalli e giumente in compagnia,

i cavalli sarebbero perduti: le giumente

porterebbero via cavallo e cavaliere.

CLEOPATRA

Cos’è che dici?

ENOBARBO

La vostra presenza deve per forza

imbarazzare Antonio, distraendo

dal suo cuore, dalla sua mente e tempo

ciò che non ne va distolto. Già a Roma

è tacciato di leggerezza, e dicono

che Fotino, l’eunuco, e le vostre donne

conducon questa guerra.

CLEOPATRA

Sprofondi Roma,

e crepino le sue male lingue!

Ho una responsabilità in questa guerra

e come capo del mio regno vi comparirò

come un uomo. Non fare obiezioni,

non resterò indietro.

Entrano ANTONIO e CANIDIO.

ENOBARBO

Be’, io ho finito,

viene il comandante.

ANTONIO

Non è strano, Canidio,

che da Taranto, e da Brindisi

con tanta celerità abbia tagliato

il mar Ionio e conquistato Toròna?

Ne hai avuto notizia, mia cara?

CLEOPATRA

Nessuno ammira la rapidità

più dei pigri.

ANTONIO

Un buon rimprovero,

adatto anche al miglior soldato,

prendersela con l’ignavia. Noi, Canidio,

gli daremo battaglia sul mare.

CLEOPATRA

Sul mare, e cos’altro?

CANIDIO

Perché vuol fare questo il mio signore?

ANTONIO

Perché lui ci sfida a farlo.

ENOBARBO

Ma anche voi

lo avete sfidato a singolar tenzone.

CANIDIO

Sì, e a ingaggiar battaglia a Farsalia,

dove Cesare combatté con Pompeo.

Ma egli respinge queste profferte

che non si risolvono a suo vantaggio,

e altrettanto dovreste fare voi.

ENOBARBO

Le vostre navi son male equipaggiate,

i marinai sono mulattieri, mietitori,

gente arruolata a forza in tutta fretta.

Cesare ha nella sua flotta quelli

che si son spesso cimentati con Pompeo;

le loro navi son leggere, le vostre pesanti.

Non incorrerete in alcun disonore

rifiutando d’affrontarlo per mare:

la nostra forza è per terra.

ANTONIO

Sul mare, sul mare.

ENOBARBO

Nobilissimo signore, in questo modo

gettate via la superiorità assoluta

che avete per terra, dividete l’esercito,

che consiste soprattutto di fanti

ben provati, non mettete a partito

la vostra rinomata perizia militare,

rinunciate alla via che porta al successo

affidando tutto alla sorte e al caso

invece che a una strada sicura.

ANTONIO

Darò battaglia per mare.

CLEOPATRA

Io ho sessanta navi. Cesare niente di meglio.

ANTONIO

Bruceremo le navi in sovrappiù,

e con il resto ben equipaggiato

al promontorio di Azio bloccheremo

l’avanzata di Cesare. E se non vi riusciamo,

lo potremo allora fare per terra.

Entra un messo.

Che c’è?

MESSO

La notizia è sicura, signore: Cesare

è avvistato, ha preso Toròna.

ANTONIO

Come può essere già lì? È impossibile…

è già strano che vi sia il suo esercito.

Canidio, tu comanderai per terra

le nostre diciannove legioni e i nostri

dodicimila cavalieri. Noi, sulla nave:

andiamo, mia Tetide!

Entra un soldato.

Ebbene, soldato?

SOLDATO

Nobile comandante, non per mare,

non affidatevi al legname marcito;

non avete fiducia di questa mia spada,

e di queste mie ferite? Che egizi

e fenici vadano per acqua: noi

abbiam sempre vinto stando sulla terra

battendoci piede contro piede.

ANTONIO

Su, su, andiamo!

(Escono Antonio, Cleopatra e Enobarbo.)

SOLDATO

Per Ercole, credo d’aver ragione io.

CANIDIO

Sì, soldato: ma tutta la sua azione

non procede dalla sua forza effettiva:

così il nostro condottiero viene condotto,

e noi uomini siamo in mano alle donne.

SOLDATO

Voi guidate per terra le legioni

e tutta la cavalleria, non è vero?

CANIDIO

Marco Ottavio, Marco Giusteio,

Celio e Publicola vanno sul mare:

ma noi ci teniamo uniti per terra.

Questa rapidità di Cesare ha dell’incredibile.

SOLDATO

Mentr’era ancora a Roma, fece uscire

l’esercito in piccoli distaccamenti

tali da ingannare le spie.

CANIDIO

Hai sentito

chi è il suo luogotenente?

SOLDATO

Dicono un certo Tauro.

CANIDIO

Lo conosco bene.

Entra un messo.

MESSO

Il comandante chiama Canidio.

CANIDIO

Il tempio gravido di notizie ha le doglie

e ad ogni minuto ne sforna qualcuna. (Escono.)

ATTO TERZO – SCENA OTTAVA

(Pianura vicino ad Azio.)

Entrano CESARE (e TAURO) col suo esercito, in marcia.

CESARE

Tauro!

TAURO

Mio signore?

CESARE

Nessun attacco per terra, restate uniti,

non provocate battaglia finché non avremo

concluso per mare. Attenetevi

agli ordini che sono qui specificati.

La nostra sorte dipende da quest’alea. (Escono.)

ATTO TERZO – SCENA NONA

(Pianura vicino ad Azio.)

Entrano ANTONIO ed ENOBARBO.

ANTONIO

Schieriamo gli squadroni su quel fianco

del colle, in faccia all’esercito di Cesare,

da dove possiamo vedere il numero

delle navi, e regolarci in conseguenza. (Escono.)

ATTO TERZO – SCENA DECIMA

(Pianura vicino ad Azio.)

CANIDIO marcia con l’esercito di fanti da un lato del palcoscenico, e TAURO, luogotenente di CESARE, dall’altro. Dopo la loro uscita, si ode il fragore d’una battaglia navale.

Squilli di tromba. Entra ENOBARBO.

ENOBARBO

Tutto è perduto, perduto, perduto!

Non posso più guardare. L’Antoniade,

l’ammiraglia egizia, inverte la rotta

e fugge con le altre sessanta navi.

Entra SCARO.

SCARO

Dèi e dee, e tutto il loro sinodo!

ENOBARBO

Perché ti disperi?

SCARO

Il grande arco del mondo

è perduto per mera stupidaggine;

ci siam giocati coi baci, regni e province.

ENOBARBO

Come si presenta la battaglia?

SCARO

Per noi

come la peste con i suoi bubboni,

che porta morte sicura. Quella sfondata

cavallaccia egiziana – se la divori la lebbra! –

nel bel mezzo della battaglia,

quando le sorti, come due gemelle,

erano pari pari, anzi maggior la nostra,

morsa dal tafàno, come una vacca in giugno,

alza le vele e fugge!

ENOBARBO

L’ho veduto:

e gli occhi mi si sono rivoltati

a quella vista, e non son riusciti

a guardare più.

SCARO

Appena lei ebbe orzato,

Antonio, nobile rovina della sua malia,

spiega al vento le sue ali marine,

e come un germano infatuato le corre dietro,

quando la battaglia è proprio al culmine.

Non ho mai visto una vergogna simile.

Mai prima esperienza, virilità, onore,

sono stati profanati in tal maniera.

ENOBARBO

Ahimè, ahimè!

Entra CANIDIO.

CANIDIO

La nostra fortuna in mare è rimasta

senza fiato, e va malauguratamente a picco.

Se il nostro generale fosse stato

quel che sapeva di essere, finiva bene:

così ci ha dato l’esempio obbrobrioso della fuga!

ENOBARBO

Ah, siete a questo punto! Allora sì,

davvero buonanotte!

CANIDIO

Sono fuggiti al Peloponneso.

SCARO

È facile arrivarci, e lì aspetterò

gli sviluppi.

CANIDIO

Consegnerò a Cesare

le mie legioni e la cavalleria. Già sei re

mi indicano la strada della resa.

ENOBARBO

Io invece seguirò ancora

le sorti compromesse di Antonio, sebbene

la ragione col vento mi dia contro. (Escono.)

ATTO TERZO – SCENA UNDICESIMA

(Alessandria. Palazzo di Cleopatra.)

Entrano ANTONIO col seguito.

ANTONIO

Ascoltate, la terra mi ingiunge

di non camminarci più sopra. Si vergogna

di portarmi. Venite qui, amici:

mi sono tanto attardato nel mondo,

da perdere la strada. Ho una nave

carica d’oro, prendetela e spartitelo:

fuggite, e fate la pace con Cesare.

TUTTI

Fuggire? Non noi!

ANTONIO

Io sono fuggito da me stesso, io

ho insegnato ai codardi a darsela a gambe

e a mostrar le spalle. Andate via,

amici, mi sono deciso a un passo

che non ha bisogno di voi. Andate,

il mio tesoro è nel porto. Prendetelo;

oh, ho seguito un corso che mi fa arrossire,

i miei stessi capelli s’azzuffano:

quelli bianchi rinfacciano ai castani

la precipitazione, e questi a quelli

paura e infatuazione. Andatevene,

amici, riceverete mie lettere

per amici che vi spianeranno la strada.

Vi prego, non mostratevi così tristi,

e non datemi risposte riluttanti,

ma cogliete il destro che vi offre

la mia disperazione. Abbandonate

chi abbandona se stesso: dritti alla spiaggia,

vi consegnerò quella nave e quel tesoro.

Lasciatemi per un po’, vi prego: sì,

ora vi prego, lasciatemi solo:

perduta ogni mia autorità

mi tocca infatti pregare. A tra poco. (Siede.)

Entrano CLEOPATRA sorretta da CARMIANA e EROS; (le segue IRAS).

EROS

Su, gentile signora, andate a confortarlo.

IRAS

Sì, carissima regina.

CARMIANA

Suvvia, che altro resta?

CLEOPATRA

Fatemi sedere. Oh, Giunone!

ANTONIO

No, no, no, no, no.

EROS

Vedete chi c’è, signore?

ANTONIO

Vergogna, vergogna, vergogna!

CARMIANA

Signora!

IRAS

Signora! Buona regina!

EROS

Signore, signore!

ANTONIO

Sì, mio signore, sì: egli a Filippi

teneva la spada come un ballerino,

mentr’io colpivo il magro e grinzo Cassio;

fui io a finire lo scatenato Bruto.

Lui combatteva solo per procura,

e non aveva pratica di guerra,

con le magnifiche truppe: e adesso…

Ma non importa.

CLEOPATRA

Ah, statemi vicine.

EROS

La regina, signore, la regina.

IRAS

Andate da lui, regina, parlategli.

Non è più lui per la vergogna.

CLEOPATRA

Avanti, sostenetemi: oh!

EROS

Alzatevi, nobilissimo signore,

la regina s’accosta a capo chino,

la ghermirà la morte, se non la confortate.

ANTONIO

Ho distrutto la mia reputazione,

ed è il traviamento più ignobile.

EROS

Signore, la regina.

ANTONIO

Oh, dove mi hai condotto, egizia?

Vedi come nascondo la mia vergogna

ai tuoi occhi, rivolgendo lo sguardo

a ciò che mi son lasciato dietro,

distrutto dal disonore.

CLEOPATRA

Signore, mio signore,

perdona le mie vele pusillanimi!

Non pensavo che mi avresti seguita.

ANTONIO

Sapevi bene, egizia, che il mio cuore

era avvinto coi lacci al tuo timone,

e tu mi avresti rimorchiato. Sapevi

che dominavi il mio animo, che

un tuo cenno bastava a sottrarmi

agli ordini stessi degli dèi.

CLEOPATRA

Ah, perdono!

ANTONIO

Adesso devo mandare umili proposte

a quello sbarbatello, tergiversare

e barcamenarmi con gli espedienti

di chi è caduto in basso, io che prima

giocavo a piacimento con metà del globo,

facendo e disfacendo fortune. Tu sapevi

fino a che punto ero soggiogato,

e che la mia spada, indebolita dall’amore,

l’avrebbe obbedito in ogni cosa.

CLEOPATRA

Perdono, perdono!

ANTONIO

Non versare una lacrima, ti dico;

una di esse vale tutto ciò

che si può perdere e vincere:

dammi un bacio, basta a ripagarmi.

Abbiamo inviato il nostro precettore;

è tornato? Amore, mi sento di piombo:

del vino, laggiù, e le vivande!

La fortuna sa che più la disprezziamo

quanto più si accanisce coi suoi colpi. (Escono.)

ATTO TERZO – SCENA DODICESIMA

(Egitto. Campo di Cesare.)

Entrano CESARE, AGRIPPA, DOLABELLA (e TIDIA), con altri.

CESARE

Fate entrare l’inviato di Antonio.

Lo conoscete?

DOLABELLA

È il suo precettore,

Cesare, segno che è spennacchiato,

se manda qui una piuma così misera

della sua ala, lui che come messi

fino a poche lune fa aveva re a bizzeffe.

Entra il messo di Antonio.

CESARE

Avvicinati, e parla.

MESSO

Quale sono,

vengo da parte di Antonio: finora

contavo tanto poco per i suoi fini

quanto la guazza mattutina sulla foglia di mirto

rispetto al suo gran mare.

CESARE

Bene, riferisci.

MESSO

Signore della sua sorte ti saluta,

e chiede di poter vivere in Egitto;

se non gli vien concesso, egli mòdera

le sue richieste e fa istanza

di poter respirar fra cielo e terra

come privato cittadino ad Atene.

Questo per lui. Quanto a Cleopatra,

riconosce la tua grandezza, si sottomette

al tuo potere e da te implora

la corona dei Tolomei per i suoi eredi,

ora alla mercé del tuo favore.

CESARE

Quanto ad Antonio, non ho orecchie

per la sua richiesta. La regina

troverà ascolto e accoglienza, purché

scacci dall’Egitto il suo amico infamato,

o là lo sopprima. Se farà questo,

non avrà implorato invano. Così ai due.

MESSO

La fortuna ti accompagni!

CESARE

Scortatelo tra le truppe.

(Esce il messo.)

(A Tidia.) Ora è il momento di mettere alla prova

la tua eloquenza, presto: dividi

Cleopatra da Antonio, promettile

a nome nostro quel che chiede: falle

altre offerte, di tua invenzione;

le donne non san resistere nemmeno

all’apice della fortuna, e il bisogno

rende spergiura anche l’intatta vestale.

Usa la tua astuzia, Tidia; decreta

tu stesso il compenso per le tue fatiche,

che per noi sarà legge.

TIDIA

Vado, Cesare.

CESARE

Osserva come Antonio si adatta

alla sua disgrazia, e cosa pensi

che il suo comportamento riveli

nell’esercizio di ogni sua facoltà.

TIDIA

Sarà fatto, Cesare. (Escono.)

ATTO TERZO – SCENA TREDICESIMA

(Alessandria. Palazzo di Cleopatra.)

Entrano CLEOPATRA, ENOBARBO, CARMIANA e IRAS.

CLEOPATRA

Che cosa dobbiamo fare, Enobarbo?

ENOBARBO

Abbandonarci all’umor nero, e morire.

CLEOPATRA

È stata colpa di Antonio o nostra?

ENOBARBO

Solo di Antonio, che alle sue voglie

ha sottomesso il ben dell’intelletto.

Che importava che voi abbandonaste

quel gran teatro di guerra, le cui schiere

l’una all’altra incutevano paura?

Perché doveva seguirvi? La fregola

non avrebbe dovuto intaccare

la sua qualità di comandante

proprio quando una metà del mondo

affrontava l’altra, e lui era l’unico

motivo di contesa. Fu una vergogna

non minore della sua sconfitta, seguire

le vostre bandiere spiegate in fuga

e lasciare la flotta sbalordita.

CLEOPATRA

Ti prego, basta.

Entra il messo, con ANTONIO.

ANTONIO

È questa la sua risposta?

MESSO

Sì, mio signore.

ANTONIO

Dunque la regina troverà indulgenza

se si sbarazzerà di noi.

MESSO

Così dice.

ANTONIO

Dillo a lei. A quel ragazzino di Cesare

manda questa testa brizzolata, ed egli colmerà

ogni tuo desiderio di principati.

CLEOPATRA

Quella testa, mio signore?

ANTONIO

Torna da lui, e digli che ha su di sé

la rosa della giovinezza, e che il mondo

potrebbe aspettarsi cose strepitose;

le sue monete, le sue navi e legioni

possono anche essere quelle d’un codardo,

ma i suoi ministri vincerebbero lo stesso,

tanto al servizio d’un fanciullo

quanto sotto il comando di Cesare.

Perciò lo sfido a mettere da parte

la vistosa superiorità di cui gode

e a battersi con me così in declino

spada contro spada, in singolar tenzone.

Glielo scriverò: seguimi. (Escono Antonio e il messo.)

ENOBARBO (A parte.)

Sì, è probabile!

Cesare, il capo di un grande esercito,

rinuncerà alla sua felice posizione

per esibirsi con uno spadaccino!

Vedo che il giudizio dell’uomo segue

la sua fortuna, e che i fatti esteriori

influiscono sulle qualità interiori,

compromettendole in egual misura,

se uno ridotto come lui può illudersi,

conoscendo qual è la situazione,

che Cesare nella sua pienezza si misuri

con la sua pochezza. Cesare, hai soggiogato

anche il suo cervello!

Entra un servo.

SERVO

Un messo di Cesare.

CLEOPATRA

Come, niente più cerimoniale? Vedete,

donne, dinanzi alla rosa sfiorita

si turano il naso anche quelli che prima

ne adoravano i boccioli. Sia ammesso, messere. (Esce il servo.)

ENOBARBO (A parte.)

Io e la mia onestà qui cominciamo

a litigare. La lealtà fedelmente serbata

a chi è fuor di senno, rende quella fedeltà

mera follia: eppure colui che ha la forza

di seguire lealmente un principe caduto,

conquista chi abbia vinto il suo signore

e si guadagna un posto nella storia.

Entra TIDIA.

CLEOPATRA

Il volere di Cesare.

TIDIA

Ascoltatelo in privato.

CLEOPATRA

Qui siamo tra amici: parla apertamente.

TIDIA

Magari sono amici di Antonio.

ENOBARBO

Gliene occorrono quanti ne ha Cesare,

sennò non gli serviamo neanche noi.

Se Cesare vuole, il nostro signore

non vede l’ora di ritornare suo amico:

quanto a noi, lo sapete, noi siamo

di chi è lui, vale a dire di Cesare.

TIDIA

Bene. Ecco allora, illustre regina,

Cesare vi prega di considerare non tanto

la vostra condizione, ma che lui è Cesare.

CLEOPATRA

Prosegui. È un parlare da re.

TIDIA

Egli sa che vi siete unita ad Antonio

non tanto per amore, ma per paura.

CLEOPATRA

Ah!

TIDIA

Perciò commisera le ferite al vostro onore

come macchie dovute a una violenza,

e non meritate.

CLEOPATRA

Egli è un dio,

e sa ciò che è vero. Il mio onore

non fu concesso, ma preso con la forza.

ENOBARBO (A parte.)

Per esserne sicuro, lo chiederò

ad Antonio. Ah, mio signore, signore:

da tante parti fa acqua la tua barca

che noi dobbiamo lasciarti affondare

se anche chi ti è più cara ti abbandona. (Esce.)

TIDIA

Devo riferire a Cesare le vostre richieste?

Egli quasi implora che gli si chiedano grazie.

Gli piacerebbe molto che delle sue fortune

voi faceste un bastone a cui appoggiarvi.

Ma gli colmerebbe l’animo di gioia

sentir da me che avete abbandonato Antonio

mettendovi sotto la sua protezione,

di lui che è signore dell’universo.

CLEOPATRA

Come vi chiamate?

TIDIA

Mi chiamo Tidia.

CLEOPATRA

Messo gentile, da parte mia

dite questo al grande Cesare: bacio

la sua mano vincitrice; sono pronta

a deporre la mia corona ai suoi piedi

e a inginocchiarmi lì; ditegli

che dalla sua voce sovrana attendo

di conoscere il destino d’Egitto.

TIDIA

È il vostro più nobile proposito.

Se la saggezza si sposa alla fortuna,

e la prima osa solo ciò che può,

nulla può scuoterla. Datemi licenza

di deporre il mio omaggio sulla vostra mano.

CLEOPATRA

Il padre del vostro Cesare spesso,

dopo aver meditato la conquista di regni,

posò le sue labbra su questa indegna mano,

e piovevano baci.

(Ri-)entrano ANTONIO e ENOBARBO.

ANTONIO

Favori? Per Giove tonante! Tu chi sei,

gaglioffo?

TIDIA

Uno che esegue gli ordini

dell’uomo più potente e più degno

di essere obbedito.

ENOBARBO (A parte.)

Sarai frustato.

ANTONIO

Avvicinati! Ah, avvoltoio! Ora,

per gli dei e tutti i diavoli,

la mia autorità si dissolve;

prima, quando gridavo “Olà!”,

come ragazzi che fanno a riffa raffa

si presentavano re, esclamando

“Agli ordini!” Non avete orecchi?

Sono ancora Antonio.

Entrano servi.

Portate via

questo gaglioffo e frustatelo.

ENOBARBO (A parte.)

Meglio giocare con un leoncino giovane che con un vecchio leone morente.

ANTONIO

Luna e stelle, frustatelo! Si trattasse

di venti dei maggiori tributari

soggetti a Cesare, e li trovassi

a prendersi tanta licenza con la mano

di questa… come si chiama, lei che era

Cleopatra? Frustatelo, miei fidi,

finché non gli vedrete storcere la faccia

come un bambino, e piangendo implorare

pietà. Portatelo via di qui.

TIDIA

Marcantonio!

ANTONIO

Trascinatelo via: e dopo averlo frustato

riportatelo qui: questo cialtrone di Cesare

gli porterà un nostro messaggio. (Escono i servi con Tidia.)

Eri mezza sfiorita già quando ti conobbi, no?

E io ho lasciato intatto il mio guanciale

a Roma, rinunciato a una legittima progenie,

ed a una gemma di donna, per essere tradito

da una che getta occhiate ai servi?

CLEOPATRA

Mio buon signore…

ANTONIO

Sei sempre stata

ingannatrice. Ma quando ci induriamo

nel vizio – oh, che miseria! – gli dei sapienti

ci cuciono gli occhi, nel nostro stesso lezzo

cacciano il nostro limpido giudizio,

ci fanno adorare i nostri errori

e ci ridono dietro mentre pavoneggiandoci

ci avviamo alla rovina.

CLEOPATRA

Ah, siamo giunti a questo?

ANTONIO

Ti ho trovata come un boccone freddo

sul piatto di Cesare morto: anzi,

eri un rimasuglio di Gneo Pompeo,

senza contare le ore lascive, ignorate

dalla fama popolare, che hai spiluccato

per la tua lussuria. Sono infatti sicuro

che anche se puoi immaginare cosa sia

la temperanza, non sai proprio cos’è.

CLEOPATRA

Perché tutto ciò?

ANTONIO

Permettere a un tizio

che accetta mance e dice “Dio vi ricompensi”

di prendersi familiarità col mio trastullo,

la tua mano, questo sigillo regale

e pegno di nobili cuori! Ah, foss’io

sulla collina di Basan, a soverchiare

il muggito del gregge dei cornuti,

ché ne ho fieri motivi; e proclamarli

con buona grazia sarebbe come avere

il cappio al collo e ringraziare il boia

per la sua destrezza.

(Ri-)entra un servo con TIDIA.

L’avete frustato?

SERVO

Per bene, mio signore.

ANTONIO

Ha urlato? chiesto perdono?

SERVO

Ha chiesto grazia.

ANTONIO

Se tuo padre è vivo

rimpianga che tu non fossi una figlia;

e tu pèntiti di seguire Cesare

nel suo trionfo, perché hai assaggiato la frusta

per averlo seguito. D’ora in poi

la candida mano di una signora

ti metta la febbre addosso, trema

solo a guardarla. Torna da Cesare,

raccontagli dell’accoglienza: guarda di dirgli

che mi fa andare in collera con lui,

assumendo l’aria superba e sprezzante,

insistendo su ciò che io sono ora,

e non su quel che sa che ero. Mi fa adirare,

ed ora è facilissimo riuscirvi,

ora che le buone stelle, mia guida un tempo,

han lasciato vuoti i loro cieli, schizzando

i loro fuochi nell’abisso dell’inferno.

Se non gli garba quel che ho detto e fatto,

digli che ha Ipparco, il mio liberto,

che può frustare, impiccare o torturare

quanto vuole, per fare pari. Aizzalo tu stesso.

Via di qui, con le tue frustate, vattene! (Esce Tidia.)

CLEOPATRA

Hai finito?

ANTONIO

Ahimè, la nostra luna terrena

ora s’è eclissata, e presagisce

soltanto la caduta di Antonio!

CLEOPATRA

Devo aspettare che ritorni in sé.

ANTONIO

Per blandire Cesare, fai gli occhi dolci

a uno che gli allaccia le stringhe?

CLEOPATRA

Non mi conosci ancora?

ANTONIO

Così gelida con me?

CLEOPATRA

Ah, caro, se così fosse, che il cielo

dal gelo del mio cuore generi grandine,

l’avveleni alla fonte, e scagli il primo chicco

nel mio seno, e come quello si scioglie

così si dissolva la mia vita; il secondo

colpisca Cesarione, finché gradualmente

tutta la discendenza del mio grembo

con tutti i miei magnifici egiziani,

squagliandosi quella tempesta di grandine,

giaccia insepolta, finché le mosche

e le zanzare del Nilo l’abbian divorata!

ANTONIO

Così mi piace. Cesare ora è accampato

ad Alessandria, dove mi opporrò

al suo destino. Le nostre forze di terra

hanno tenuto valorosamente, anche

la nostra flotta dispersa s’è riunita,

e solca il mare minacciosa. Dov’eri,

mio coraggio? Mi senti, mia signora?

Se ancora una volta ritornerò dal campo

a baciare queste labbra, sarò coperto di sangue,

io e la mia spada avremo meritato gloria.

C’è ancora speranza!

CLEOPATRA

Ecco il mio signore coraggioso.

ANTONIO

Triplicherò i miei muscoli, il mio cuore,

il mio fiato, e combatterò come una furia.

Quando passavo ore felici e fortunate,

da me si otteneva salva la vita

per uno scherzo: ora stringerò i denti,

e caccerò nella tenebra infernale

chiunque mi ostacoli. Su, vieni,

faremo un’altra notte di festa,

chiamate tutti i miei tristi capitani,

riempiteci ancora una volta le coppe;

ci burleremo del rintocco di mezzanotte.

CLEOPATRA

Oggi è il mio compleanno: pensavo

di non festeggiarlo. Ma poiché il mio Antonio

è ritornato ad essere se stesso,

io tornerò ad essere Cleopatra.

ANTONIO

Potremo ancora farcela.

CLEOPATRA

Tutti i nobili capitani dal mio signore!

ANTONIO

Sì, parlerò con loro, e questa notte

dalle lor cicatrici farò sprizzare il vino.

Vieni, mia regina, c’è ancora vita.

La prossima volta che scendo in battaglia

mi farò amare dalla morte, perché gareggerò

anche con la sua falce pestifera.

(Escono tutti tranne Enobarbo.)

ENOBARBO

Adesso vorrà abbagliare la folgore:

mostrarsi così furioso significa

aver tanta paura da non provarne più,

e in quella condizione una colomba

assalirà lo sparviero. Noto sempre

che il cervello ottenebrato ridà coraggio

al nostro capitano; se il valore intacca

la ragione, mangia la spada che impugna.

Cercherò un qualche modo di lasciarlo. (Esce.)

Antonio e Cleopatra
(“Antony and Cleopatra” – 1607)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

PirandelloWeb