Enrico V – Atto IV

(“Henry V” – 1598 – 1599)

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Enrico V - Atto IV

Entra il Coro.

CORO

Cercate adesso d’immaginarvi l’ora

in cui una tenebra fitta e densa di segreti sussurri

colma l’immensa cappa dell’universo.

Da campo a campo, nel tetro grembo della notte,

s’avverte appena il brusio di entrambe le armate,

sicché le sentinelle appostate quasi possono udire

i mormorii furtivi delle sentinelle nemiche.

Fuoco chiama fuoco, e al pallido bagliore delle fiamme

ciascuna armata distingue il volto oscurato dell’altra.

Destriero minaccia destriero, in alti, spavaldi nitriti,

squarciando l’orecchio intorpidito della notte; e dalle tende

gli armieri, nell’approntar le corazze dei nobili,

nel ribadirle a dovere con gran lavorio di martelli,

danno il tremendo annuncio della battaglia imminente.

Nella campagna s’ode il canto del gallo, il rintocco della campana,

a dirvi ch’è l’ora terza di un assonato mattino.

Fieri del loro numero, nell’intimo in nulla turbati,

i Francesi, ottimisti e sin troppo sicuri del fatto loro,

quei disprezzati Inglesi se li giocano a dadi;

e se la prendono con la notte sciancata, con quella posapiano,

quella brutta, sozza strega che se ne va claudicante,

con esasperante lentezza. I poveri Inglesi, già condannati

al sacrificio, attorno ai lor vigili fuochi

siedon pazienti, ruminando in cuor loro

i rischi del mattino; e il loro gestir rassegnato,

con quelle guance scavate e le uniformi a brandelli,

li offre alla contemplazione della luna

come paurose figure spettrali. Ma oh, chi ora voglia osservare

il regal comandante di questa banda allo stremo,

mentre va di tenda in tenda e ispeziona ogni scolta,

esclami: “Onore e gloria sul suo capo!”.

Poiché egli se n’esce a far visita a tutti i suoi uomini,

sorride loro da pari a pari nel dar loro il buongiorno,

chiamandoli amici, fratelli, compatrioti.

Il suo volto regale non tradisce ansietà

per la temibile armata che l’ha circondato,

né un’ombra del suo colorito ha egli ceduto

a questa notte defatigante, trascorsa a vegliare.

Fresco è il suo aspetto, e domina la fatica

con piglio allegro e affabile maestà,

tanto che ognuno di quei disgraziati, pur pallido e esausto,

solo a guardarlo trae conforto dalla sua buona cera.

Con liberalità universale, come il sole,

di occhiate generose è prodigo con tutti,

sciogliendo il gelo della paura: così che tutti, nobili e plebei,

ritroverete, in questa povera descrizione,

l’ombra di Harry, in giro nella notte.

E ora la nostra scena deve involarsi verso la battaglia

dove – Dio ci perdoni! – noi faremo gran torto,

con quattro o cinque miserrimi ferri spuntati,

goffamente incrociati in un grottesco duellare,

al nome di Agincourt. E vi preghiamo di non andar via:

a dare corpo alla realtà basta una parodia. Esce.

ATTO QUARTO – SCENA PRIMA

Entrano il Re [Enrico], Bedford e Gloucester.

ENRICO

Gloucester, è vero che siamo in grande pericolo.

Tanto più grande, allora, dev’essere il nostro coraggio.

Buongiorno, Bedford, fratello mio. Dio onnipossente!

Anche nelle cose cattive c’è un barlume di bontà,

se solo volessimo attentamente distillarlo.

Il nostro cattivo vicino ci fa alzar di buon’ora,

il che fa bene alla salute, e ci rende fattivi.

Inoltre, agisce da pungolo esterno, o coscienza,

e fa la predica a ciascuno di noi, e ci ricorda

di prepararci degnamente alla resa dei conti.

In tal modo possiamo cavar del miele dalla malerba,

ed una qualche morale dal diavolo in persona.

Entra Erpingham.

Buongiorno, mio vecchio Sir Thomas Erpingham:

un bel guanciale morbido, per quella bella testa bianca,

sarebbe meglio di un ruvido letto di terra francese.

ERPINGHAM

Non proprio, mio sire; un tal giaciglio lo preferisco.

Così posso dire: “Ora dormo come un re”.

ENRICO

Fa bene accettar di buon grado i disagi del momento,

grazie all’esempio: lo spirito si rasserena,

la mente, è fuor di dubbio, ne vien stimolata,

e le membra, che prima parevano morte e defunte,

risorgon dal loro torpore tombale, e tornano in vita,

deposta la vecchia pelle, con rinnovata agilità.

Prestami il mantello, Sir Thomas. Voi due, fratelli,

portate il mio saluto ai principi del nostro campo;

date loro il buongiorno da parte mia, e senza indugio

chiedete loro di venir tutti nella mia tenda.

GLOUCESTER

Sarà fatto, mio sire.

ERPINGHAM

Devo accompagnar Vostra Grazia?

ENRICO

No, mio buon cavaliere.

Vai con i miei fratelli dai miei Pari d’Inghilterra.

Io e la mia coscienza dobbiamo parlarci a quattr’occhi,

e in questi casi si preferisce restare soli.

ERPINGHAM

Nobile Harry, in cielo ti benedica il Signore!

Escono [tutti tranne Enrico].

ENRICO

Dio t’assista, gran vecchio! La tua serenità mi rincuora.

Entra Pistola.

PISTOLA

Chi va là?

ENRICO

Un amico.

PISTOLA

Parlamenta con me: se tu un uffiziale,

o sei un volgare, comune plebeo?

ENRICO

La mia è una compagnia di gentiluomini.

PISTOLA

Trascini tu la poderosa picca?

ENRICO

Proprio così. E voi chi siete?

PISTOLA

Un gentiluomo, né son da meno dell’lmperatore.

ENRICO

Allora siete superiore al Re.

PISTOLA

Il Re è un bel galletto, e un cuor d’oro,

un giovanotto in gamba, il cocco della fama,

di buon casato, di pugno arci-gagliardo:

gli bacio la suola delle scarpe, e con ogni fibra del mio essere

lo amo, quel compagnone. Come ti chiami?

ENRICO

Harry Le Roy.

PISTOLA

Le Roy? Mi sa di Cornovaglia: sei della ciurma cornovagliese?

ENRICO

No, son gallese.

PISTOLA

E Fluellen lo conosci?

ENRICO

Sì.

PISTOLA

Digli che glielo sbatto sulla capoccia, il suo porro,

il giorno di San Davide.

ENRICO

E voi non portate lo stocco sulla berretta, quel giorno, che lui non lo sbatta sulla vostra.

PISTOLA

Sei amico suo?

ENRICO

E anche parente.

PISTOLA

Quand’è così, va’ a farti fottere!

ENRICO

Grazie. E Dio v’accompagi.

PISTOLA

Ricorda che Pistola son nomato. Esce.

ENRICO

Difatti sei uno che fa fuoco e fiamme.

Entrano Fluellen e Gower.

GOWER

Capitan Fluellen!

FLUELLEN

In persona. In nome di Gesù Cristo, parlate piano. È il più vasto sbalordimendo dell’universo mondo, quando i più sacrosanti e antichi princìpi e regolamendi di guerra non vengono osservati. Se vi desde la briga anche solo di studiarvi le guerre di Pompeo Magno, trovereste, ve lo garandisco, che non si sentiva cigalare né blaterare nell’accampamendo di Pompeo. E vi garandisco che scoprireste che i rituali della guerra, e le loro ingombenze e le forme e gli ordinamendi e il corretto svolgimendo dei medesimi sono ben altri.

GOWER

Ma come? Il nemico si sente da lontano: è tutta la notte che lo sentiamo.

FLUELLEN

Sangue di Dio! Se il nemico è un somaro, e un imbecille, e un buffone che parla troppo, vi pare dignitoso, badate bene, che anche noialtri facciamo i somari, e gl’imbecilli e i buffoni che parlan troppo? Cosa ne dite, eh, in coscienza?

GOWER

Parlerò più piano.

FLUELLEN

Fatelo, ve ne prego e scongiuro.

Escono Gower e Fluellen.

ENRICO

Anche se ha un’aria un tantino bislacca,

questo Gallese ha senno e coraggio da vendere.

Entrano tre soldati, John Bates, Alexander Court e Michael Williams.

COURT

Fratello Bates, quella luce che sta spuntando laggiù non è mica il mattino?

BATES

Mi sa di sì. Ma non abbiamo grandi motivi per desiderare l’arrivo del giorno.

WILLIAMS

Laggiù si vede l’inizio del giorno. Dio solo sa se ne vedremo la fine. Chi va là?

ENRICO

Un amico.

WILLIAMS

Chi è il vostro comandante?

ENRICO

Sir Thomas Erpingham.

WILLIAMS

Un buon vecchio comandante, e un gentiluomo squisito. E che ne pensa lui, di grazia, della nostra situazione?

ENRICO

Che siamo come dei naufraghi su un banco di sabbia, che s’aspettano di esser risucchiati dalla prossima marea.

BATES

E questi pensieri non li ha confidati al Re?

ENRICO

No, né sarebbe opportuno che lo facesse. Perché, sia detto tra noi, credo che il Re non sia altro che un uomo come me: il profumo di una violetta lo sente come lo sento io; il firmamento gli appare come appare a me; tutti i suoi sensi non sono che facoltà umane. Messe da parte le pompe regali, la sua nudità non rivela che un uomo, e anche se le sue passioni si libran più in alto delle nostre, pure, quando si abbassano a terra, lo fanno con le stesse ali. Perciò, quando ha buone ragioni di aver paura, come noi adesso, la sua paura ha indubbiamente lo stesso sapore della nostra: eppure, a rigore, nessuno dovrebbe comunicargli la minima traccia di paura, per evitare ch’egli, facendola trasparire, possa scoraggiare il suo esercito.

BATES

Potrà far mostra di tutto il coraggio che vuole, ma credo che, anche in una notte fredda come questa, preferirebbe starsene a rnollo nel Tamigi con l’acqua alla gola: e magari fosse così, ed io con lui, a costo di qualunque rischio, pur di levarci da qui.

ENRICO

In fede mia, vi dirò in coscienza cosa penso del Re: penso. che non vorrebbe trovarsi in un luogo diverso da quello in cui sta.

BATES

Allora vorrei che stesse qui da solo: avrebbe la certezza di venir riscattato, e a un sacco di poveri diavoli si salverebbe la vita.

ENRICO

Sicuramente non gli volete abbastanza male da desiderare che resti qui solo, anche se parlate così per sondare le opinioni degli altri. Quanto a me, credo che non potrei morire contento da nessun’altra parte se non in compagnia del Re, dal momento che la sua causa è giusta e la sua guerra onorevole.

WILLIAMS

Questo è più di quanto sappiamo noi.

BATES

Certo, ed è più di quanto sia giusto voler sapere; a noi basta sapere che siamo sudditi del Re: altro non ci occorre sapere. Se poi la sua causa è ingiusta, l’obbedienza dovuta al re ci assolve da ogni colpa.

WILLIAMS

Ma se la causa non è giusta, il re stesso avrà un gran brutto conto da pagare, quando tutte quelle gambe e braccia e teste mozzate in battaglia si ritroveranno insieme nel giorno del Giudizio, e grideranno in coro: “Noi morimmo nel tal luogo!”: alcuni imprecando, altri invocando il chirurgo, chi piangendo al pensiero delle mogli lasciate in miseria, chi per i debiti non pagati, chi per i figlioletti abbandonati dall’oggi al domani. Ho paura che ben pochi, fra quelli che muoiono in battaglia, facciano una bella morte: e come potrebbero cristianamente prepararsi alla fine quando è il sangue ad aver l’ultima parola? Ora, se questi uomini fanno una brutta morte, sarà una gran brutta faccenda per il re che li ha portati a morire, il re cui non possiamo disobbedire se non violando ogni nostro dovere di sudditanza.

ENRICO

Cosicché, se un figlio inviato dal padre mercante in un viaggio d’affari si perde in mare con tutti i suoi peccati, la responsabilità delle sue colpe, in base al vostro criterio, dovrebbe ricadere sul padre che l’ha mandato. O se un servo, che per incarico del suo padrone porta con sé una somma di denaro, è assalito dai briganti e muore senza aver fatto ammenda delle sue molte iniquità, voialtri mi definite il padrone come responsabile, per via di quell’incarico, della dannazione del servo. Ma le cose non stanno così. Il re non è tenuto a rispondere della fine che fanno i singoli soldati, né il padre di quella del figlio, né il padrone di quella del servo: poiché non vogliono certo farli morire quando richiedono loro determinati servigi. E poi non esiste re, per quanto immacolata la sua causa, che una volta sottoposta quest’ultima all’arbitraggio della spada, possa affrontarlo con dei soldati tutti del pari senza macchia. Può darsi che alcuni di essi si siano resi colpevoli di assassinio voluto e premeditato; altri, di aver sedotto delle vergini, tradendo i vincoli del giuramento; altri ancora di essersi fatti usbergo della guerra dopo aver straziato il dolce seno della pace con rapine e saccheggi. Ora, se costoro hanno eluso la legge, sottraendosi in patria al giusto castigo, per quanto possano sfuggire agli uomini non hanno ali che bastino a volar via da Dio. La guerra è uno strumento di giustizia divina e di retribuzione divina; ed ecco che gli uomini che hanno a suo tempo violato le leggi del re vengono ora puniti dalla guerra del re: là dove avevan temuto la morte, essi sono scampati, e dove invece speravano di cavarsela ci lascian la pelle. Se dunque essi muoiono impreparati, il re non è colpevole della loro dannazione, più di quanto non fosse stato colpevole prima, di quei misfatti soggetti ora al castigo divino. Il re dispone dell’obbedienza di ciascun suddito, ma non dell’anima di ciascun suddito, che appartiene a lui stesso. Perciò ogni soldato in guerra dovrebbe fare come l’infermo sul letto di morte, e purgare la sua coscienza d’ogni più piccola impurità. Se poi morrà, la morte sarà una liberazione; e se non morrà, il tempo impiegato a prepararsi l’anima non sarà speso invano, ma sarà benedetto. Colui che la scampa non commette peccato se si convince che, rendendo a Dio tale libera offerta, Dio l’ha fatto sopravvivere alla battaglia per far di lui un testimone della Sua grandezza, ed un esempio agli altri, di come essi devono prepararsi alla morte.

WILLIAMS

Certo che, per ogni uomo che fa una brutta morte, i suoi peccati ricadono sulla sua testa: non deve certo risponderne il Re.

BATES

Io non pretendo che lui risponda per me; eppure son ben deciso a battermi per lui, e a picchiar sodo.

ENRICO

L’ho sentito colle mie orecchie, il Re: ha detto che lui non si farà riscattare.

WILLIAMS

Sicuro! Ha detto così per farci combattere con più slancio. Ma quando a noi avran tagliato la gola, lui potrà sempre farsi riscattare, e noi resteremo fregati.

ENRICO

Se vivo tanto da vedere quel giorno, mai più presterò fede alla sua parola.

WILLIAMS

E così, [perdio,] l’avrete ripagato a dovere! Una sparata pericolosa quanto una cerbottana-giocattolo: che altro può fare a un monarca il risentimento privato di un povero cristo qualsiasi? Tanto varrebbe sforzarsi di congelare il sole, facendogli vento con una penna di pavone. Mai più presterai fede alla sua parola! Andiamo, è una frase ridicola!

ENRICO

La vostra rampogna è un tantino pesante: vorrei dirvene quattro, ma non è questo il momento.

WILLIAMS

Perché non battervi con me, se resterete vivo?

ENRICO

Buona idea.

WILLIAMS

Come farò a riconoscerti?

ENRICO

Dammi un tuo pegno qualsiasi, e lo porterò sul cappello: e poi, se oserai reclamarlo, potrai considerarti sfidato.

WILLIAMS

Ecco il mio guanto: tu dammene uno dei tuoi.

ENRICO

Eccolo.

WILLIAMS

Anch’io me lo metterò sul cappello; e a partire da domani, se tu verrai da me a dirmi: “Questo guanto è mio”, per questa mano, ti mollerò un manrovescio.

ENRICO

Se vivrò tanto da rivederlo, raccoglierò la sfida.

WILLIAMS

Piuttosto oseresti farti impiccare.

ENRICO

Sta’ tranquillo che lo farò, a costo di dartele alla presenza del Re.

WILLIAMS

Mantieni la parola. In bocca al lupo!

BATES

Fate la pace, imbecilli d’Inglesi, fate la pace! Abbiamo abbastanza conti da regolare coi Francesi, se solo sapeste farli, i conti!

ENRICO

In effetti, i Francesi posson scommettere venti testoni contro uno che ci batteranno, visto che se li portano sulle spalle, i testoni; ma non è mica un reato per noialtri Inglesi, scapitozzare i Francesi, e domattina il Re in persona si farà tosateste. Escono i soldati.

Tutto in conto al re! Le nostre vite, le nostre anime,

i debiti, le nostre mogli angosciate,

i nostri figli, i nostri peccati: tutti in conto al re!

Tutto sulle nostre spalle! O dura condizione,

gemella della grandezza, ma soggetta al mugugno

di ogni imbecille, incapace di sentir altro

che il mal di pancia! A quale infinita pace dello spirito,

comune privilegio dei sudditi, rinunciano i re!

E che cos’hanno i re, che non abbiano anche i privati,

se non il cerimoniale, se non il fasto regale?

E cosa sei tu, o idolo del fasto regale?

Che razza di deità sei mai tu, che sopporti

afflizioni più gravi dei tuoi adoratori mortali?

Dove sono le tue rendite? Dove i profitti?

O fasto regale, dimostrami un po’ quanto vali!

Cosa c’è, al cuore di tanta adorazione?

Che altro sei tu, se non il rango, il grado, la forma esteriore

che incuton negli uomini soggezione e timore?

In questo sei meno felice, nell’incuter timore,

di quanto non sia chi ha paura di te.

Che cosa bevi sovente, in luogo di omaggio affettuoso,

se non velenose lusinghe? Oh, cadi malata, suprema grandezza,

e ordina al tuo fasto regale di trovarti una cura!

Pensi tu forse che possa estinguersi, l’arsura febbrile,

al vento magniloquente dell’adulazione?

Inchini e genuflessioni la faranno andar via?

Puoi tu, al mendico che s’inginocchia ai tuoi piedi,

ridare la salute? No, tu sogno orgoglioso

che subdolamente ti trastulli col riposo d’un re:

io sono un re capace di smascherarti, poiché so bene

che non il crisma della consacrazione, lo scettro, il globo,

la spada, la mazza, la corona imperiale,

il manto intessuto d’oro e di perle,

la roboante lista di titoli che precede il re,

né il trono su cui è assiso, né la rnarea dello sfarzo

che si frange sulle alte scogliere di questo mondo –

no, nessuna di queste cose, o fasto regale tre volte fastoso,

nessuna di queste cose, distese in un maestoso baldacchino,

può mai dormire saporitamente come il miserabile schiavo

che, a pancia piena e con la testa vuota,

va a coricarsi, rigonfio di pane duramente sudato:

e mai contempla l’orrore della notte, figlia dell’inferno,

ma, come uno staffiere, dall’alba al tramonto

suda sotto l’occhio di Febo, ma per tutta la notte

dorme nei Campi Elisi; e l’indomani, allo spuntar del sole,

si leva e aiuta Iperione a montare sul cocchio:

e così insegue l’inarrestabile corso degli anni

utilmente faticando, sino alla tomba;

e, non fosse che pel fasto regale, un tal disgraziato

che i giorni passa a sgobbare e le notti a dormire,

se la passerebbe meglio, e con maggiore profitto di un re.

Il servo, qual membro di una nazione in pace,

questa pace si gode; ma il suo rozzo cervello non arriva a concepire

a quali veglie si sottopone il re per mantenere la pace:

ogni ora della quale va tutta a profitto di chi zappa la terra.

Entra Erpingham.

ERPINGHAM

Sire, i vostri nobili, impensieriti per la vostra assenza,

vi stan cercando per tutto il campo.

ENRICO

Buon vecchio cavaliere,

radunali tutti quanti alla mia tenda:

io ti precederò.

ERPINGHAM

Sarà fatto, mio sire. Esce.

ENRICO

O Dio delle battaglie, tempra d’acciaio i cuori dei miei soldati.

Non farli cedere al panico; togli loro, per ora,

la facoltà di contare, se mai il numero dei nemici

li induca a perdersi d’animo. Non oggi, o Signore!

Oh, non oggi, non pensare oggi al misfatto

commesso dal padre mio nel far sua la corona!

Io ho dato novella sepoltura al corpo di Re Riccardo,

e su di esso ho versato più lacrime di contrizione

di quante stille di sangue ne furon versate a forza.

Cinquecento poveri mantengo ogni anno a mie spese,

che due volte al dì levan le mani aduste

al cielo, a chieder perdono pel sangue versato; ho costruito

due case di preghiera, ove officianti mesti e solenni

pregan di continuo per l’anima di Riccardo. Farò anche di più,

anche se tutto quel che posso fare non vale nulla,

giacché il mio pentimento viene per ultimo, e solo

per implorare il perdono.

Entra Gloucester.

GLOUCESTER

Mio sire!

ENRICO

La voce di mio fratello Gloucester! Eccomi.

So perché sei venuto, verrò subito con te:

il giorno, gli amici e il resto non aspettan che me. Escono.

ATTO QUARTO – SCENA SECONDA

Entrano il Delfino, Orléans, Rambures e Beaumont.

ORLÉANS

Il sole indora le nostre armature. Orsù, miei signori!

DELFINO

Montez à cheval! Il mio cavallo! Ehilà! Varlet, lacquais!

ORLÉANS

O prode spirito!

DELFINO

Avanti! Les eaux et la terre!

ORLÉANS

Rien puis? L’air et le feu?

DELFINO

Ciel, cugino Orléans!

Entra il Connestabile.

Ebbene, signor Connestabile?

CONNESTABILE

Udite, come i nostri destrieri nitriscono, bramosi d’azione!

DELFINO

In sella! E striategli i fianchi coi vostri speroni,

che il loro sangue bollente schizzi in faccia agl’Inglesi

per subissarli in tale eccesso di ardore… Alé!

RAMBURES

Cosa? Volete vederli piangere il sangue dei nostri cavalli?

Come faremo a vederli piangere lacrime vere?

Entra un messo.

MESSO

Gl’Inglesi sono in ordine di battaglia, o Pari di Francia.

CONNESTABILE

A cavallo, valorosi principi! Difilato a cavallo!

Eccoli là, quella banda di morti di fame!

Il vostro gran spiegamento ne risucchierà gli animi,

lasciando nient’altro che gusci vuoti e spoglie mortali.

Non c’è lavoro bastante per tutte le braccia che abbiamo,

né c’è sangue bastante nelle vene esaurite di quelli

per insozzar tutte quante le daghe sguainate

che oggi saran sfoderate dai nostri prodi Francesi

e poi rinfoderate, perché senza avversari. Soffiamogli addosso,

e il fiato caldo del nostro valore li manderà all’aria.

È un dato di fatto, signori, né si può contestare,

che i nostri servi e villani che, essendo di troppo,

vanno sciamando in un viavai senza senso

attorno alle nostre formazioni schierate, potrebber da soli

far piazza pulita di un nemico così scalcinato,

quand’anche noi, ai piedi di questo colle,

prendessimo posizione da spettatori oziosi:

cosa che l’onor nostro non ci consente. Che altro posso dirvi?

Basta che noi facciamo appena un tantino così

e avremo fatto tutto. Che dunque i trombettieri

diano fiato alle trombe col segnale “A cavallo!”;

il nostro approssimarci sconvolgerà il campo

e gl’lnglesi, rannicchiandosi a terra sgomenti, si arrenderanno.

Entra Grandpré.

GRANDPRÉ

Perché tanto indugiare, miei nobili di Francia?

Quei cadaverici isolani, che già disperan di salvare le ossa,

fanno una ben trista figura nel campo mattutino;

i loro laceri vessilli pendono sconsolati

e l’aria nostrale li scuote, al passaggio, sprezzante;

il grosso Marte sembra far bancarotta in quella torma cenciosa

e lancia pavide occhiate da una rugginosa celata;

i cavalieri stan lì impalati come quei candelabri

armati di lance di cera; e i loro poveri ronzini

tengon la testa bassa, con pelle e fianchi cascanti,

il muco che cola dai loro occhi spenti di moribondi, e

in quelle bocche sbiancate ed inerti le ganasce del morso,

sporche di erba rimasticata, pendono immobili.

E intanto i corvi, loro sinistri esecutori,

volteggian su tutti loro, e attendono il loro momento.

Non c’è descrizione che sappia vestirsi di parole

atte a dipinger dal vivo cotesti guerrieri,

vivi tuttora, eppure all’aspetto sì privi di vita.

CONNESTABILE

Han detto già le loro orazioni, e ora attendon la morte.

DELFINO

Dobbiamo mandargli dei pasti caldi, degli abiti nuovi,

e portar del foraggio ai loro cavalli affamati,

prima di attaccare battaglia?

CONNESTABILE

lo aspetto il mio stendardo. Avanti, al campo!

Prenderò la bandiera da un trombettiere,

tanto per romper gl’indugi. Su, coraggio, adunata!

Il sole è già alto, stiamo sprecando la giornata. Escono.

ATTO QUARTO – SCENA TERZA

Entrano Gloucester, Bedford, Clarence, Exeter, Erpingham con tutto l’esercito; Salisbury e Westmoreland.

GLOUCESTER

Dov’è il Re?

BEDFORD

Il Re è andato a osservar di persona lo schieramento nemico.

WESTMORELAND

Di combattenti ne hanno almeno sessantamda.

EXETER

Son cinque a uno, e per di più truppe fresche.

SALISBURY

La mano di Dio ci aiuti a colpire! Una disparità spaventosa!

Dio vi assista, o principi tutti; io vado al mio posto.

Se non dovessimo più incontrarci, altro che in cielo,

vi dico addio con letizia, mio nobile Duca di Bedford,

mio caro Lord Gloucester, mio buon Lord Exeter,

e voi, mio gentile congiunto, guerrieri tutti: addio!

BEDFORD

Addio, buon Salisbury, e buona fortuna anche a te!

EXETER

Addio, nobil signore. Battiti da prode, quest’oggi!

Eppure ti faccio torto a incitarti così:

tenace e fedele, tu sei il valore fatto persona.

[Esce Salisbury.]

BEDFORD

Egli è ricco di valore quanto di umanità:

principesco in entrambi.

Entra il Re Enrico.

WESTMORELAND

Oh, se ora avessimo qui

anche solo diecimila di quelli che in Inghilterra

se ne stan oggi con le mani in mano!

ENRICO

Chi è che dice così?

Mio cugino Westmoreland? No, mio caro cugino.

Se destinati a morire, siamo abbastanza numerosi

da costituire una perdita per il nostro paese. Se dobbiamo vivere,

quanto più in pochi saremo, tanto più degni d’onore.

Per amor di Dio, ti prego, non volere un sol uomo di più.

Per Giove, io son tutt’altro che avido d’oro;

e non m’importa di chi si nutre a mie spese,

né me la prendo se c’è chi indossa i miei panni:

nei miei desideri non trovan posto le cose esteriori.

Ma se è peccaminoso aspirare alla gloria,

io sono il peccatore più inveterato che ci sia al mondo.

No, in fede mia, cugino, non volere un solo inglese di più.

Per la pace di Dio! Non vorrei perdermi un sì grande onore,

che un solo uomo in più vorrebbe, credo, spartire con me,

nemmeno in cambio della mia più grande speranza. Oh, non volere un sol uomo di più!

Proclama piuttosto, Westmoreland, a tutto l’esercito,

che chi non ha abbastanza fegato per questa battaglia

può pure andarsene: noi gli daremo un passaporto,

e nella borsa gli metteremo anche i soldi del viaggio:

noi non vogliamo morire in compagnia di un uomo

che teme di essere nostro compagno nella morte.

Oggi è la festa di San Crispiano:

chi sopravvive a questo giorno per rimpatriar sano e salvo,

s’impennerà sui due piedi solo a sentirlo nominare,

e fremerà al nome di San Crispiano.

Chi vedrà questo giorno e arriverà alla vecchiaia,

ogni anno, alla vigilia, inviterà i suoi vicini a far festa,

dicendo: “Domani è il giorno di San Crispiano!”.

Poi si rimboccherà la manica e mostrerà le sue cicatrici,

e dirà: “Queste ferite mi son toccate il giorno di San Crispino”.

I vecchi dimenticano; e lui dimenticherà tutto il resto,

eppure ricorderà, con qualche dettaglio di troppo,

le sue prodezze di quel giorno. Saranno allora i nostri nomi

che lui avrà sulle labbra, come persone di famiglia:

Re Harry, Bedford ed Exeter,

Warwick e Talbot, Salisbury e Gloucester,

saran di bel nuovo evocati fra i calici colmi.

E questa storia il brav’uomo insegnerà a suo figlio;

e il giorno di Crispino e Crispiano non passerà mai,

da questo giorno sino alla fine del mondo,

senza che in esso ci si ricordi di noi:

noi i pochi, i pochi eletti, noi fratelli in armi.

Giacché chi oggi versa il suo sangue con me

sarà mio fratello: per quanto di bassi natali,

in questo giorno si farà nobile la sua condizione.

E i gentiluomini che ora, in Inghilterra, si trovano a letto,

si danneranno l’anima per non esserci stati,

e si sentiran menomati, quando prende la parola

un uomo che combatté con noi il giorno di San Crispino.

Entra Salisbury.

SALISBURY

Mio sovrano e signore, prendete d’urgenza il comando:

i Francesi son già belli e schierati in ordine di battaglia,

e si preparano ad un assalto impetuoso.

ENRICO

Tutto è pronto a riceverli, se i nostri cuori son pronti.

WESTMORELAND

Perisca l’uomo che ora si tira indietro!

ENRICO

Non li vuoi più, cugino, i rinforzi dall’Inghilterra?

WESTMORELAND

Per amor di Dio! Magari, sire, fossimo solo noi due

senz’altro aiuto, a batterci in questo scontro di re!

ENRICO

Ecco, adesso vorresti sottrarmene cinquemila, di uomini:

il che mi garba meglio che volerne uno solo di più.

I vostri posti li conoscete: Dio sia con voi tutti!

Squillo di tromba. Entra Montjoy, l’araldo dei Francesi.

MONTJOY

Ancora una volta io ti chiedo, Re Harry,

se per il tuo riscatto vuoi ora scendere a patti,

prima della tua ineluttabile disfatta:

sei ormai, di certo, sull’orlo dell’abisso,

e non potrai non esserne inghiottito. Inoltre, cristianamente,

il Connestabile ti chiede di richiamare

al pentimento i tuoi soldati, a che le anime loro

possano dipartirsi in pace, serenamente,

da questi campi ove, o sventurati, i loro poveri corpi

resteranno a marcire.

ENRICO

Chi t’ha mandato stavolta?

MONTJOY

Il Connestable di Francia.

ENRICO

Ti prego, riportagli la mia precedente risposta:

prima mi prendano – digli – e poi vendano le mie ossa.

Buon Dio, perché prenderci in giro, a noi poveracci?

L’uomo che una volta vendette la pelle del leone

quando la belva era in vita, fu ucciso nel dargli la caccia.

Molti dei nostri corpi, senz’ombra di dubbio,

verran sepolti in patria: e sulle tombe, son certo,

vivrà nel bronzo la memoria delle gesta di oggi.

E quelli che lasceranno in Francia le loro ossa di prodi,

morendo da uomini, pur se sepolti nel vostro letame,

son destinati alla fama: poiché quaggiù li saluterà il sole,

per attirar su al cielo l’onore da essi esalante,

mentre le loro spoglie mortali ammorberanno l’aria

ed il fetore diffonderà la peste in terra di Francia.

Ricorda dunque che i nostri Inglesi han valore da vendere

se, dopo morti, a mo’ di palle vaganti,

rimbalzeranno in nuove traiettorie calamitose

e, disfacendosi, uccideranno ancora.

Ti parlerò con orgoglio: di’ al Connestabile

che noi siamo solo guerrieri da giorno di lavoro:

orpelli e dorature li abbiam tutti infangati

in uno strenuo marciare sotto la pioggia, pei campi.

Penne e pennacchi li abbiam persi per strada –

spennati, spero, non c’involeremo –

e l’usura del tempo ci ha reso trasandati.

Ma, per la Messa, i nostri cuori non fanno una piega;

e i miei soldati, poveretti, mi dicon che prima di notte

saran vestiti a nuovo, o sfileranno di dosso

quelle uniformi fiammanti ai soldati francesi,

mandando questi in congedo. Se faranno così –

e, a Dio piacendo, faran proprio così – il mio riscatto

sarà presto raccolto. Araldo, risparmiati la fatica;

non tornare a chieder riscatti, araldo cortese:

voi non avrete altro, lo giuro, che queste mie membra,

e se le troverete come intendo lasciarvele,

avrete poco da spremerne. Dillo, al Connestabile.

MONTJOY

Lo farò, Re Harry. E a questo punto, addio:

nessun araldo ti parlerà mai più. Esce.

ENRICO

Temo che un’altra volta ancora verrai a chieder riscatti.

Entra York.

YORK

Mio sire, in tutta umiltà vi chiedo in ginocchio

di essere io a guidar l’avanguardia.

ENRICO

Fallo, mio bravo York. E ora, soldati, adunata!

E Tu, Signore, a Tuo talento disponi della giornata.

Escono.

ATTO QUARTO – SCENA QUARTA

Allarmi. Scorrerie. Entrano Pistola, un soldato francese, e il paggio.

PISTOLA

Arrenditi, cane!

SOLDATO

Je pense que vous étes le gentilhomme de bonne qualité.

PISTOLA

Calité! “Calin o custure me!”

Sei tu un gentiluomo? Come sei nomato? Chiarifica!

SOLDATO

O Seigneur Dieu!

PISTOLA

Oh, il Senior Dié mi suona gentiluomo:

soppesa ordunque le mie parole, o Senior Dié, e con attenzione.

O Senior Dié, ti passerò a fil di spada,

ammenoché, o Senior, tu non mi faccia avere

un riscatto astronomico.

SOLDATO

O, prenez miséricorde! Ayez pitié de moi!

PISTOLA

Un muà serve a poco; ne voglio quaranta, di muà;

o ti caverò le budella dal gargarozzo,

grondanti sangue vermiglio.

SOLDATO

Est-il imposte d’échapper la forse de ton bras?

PISTOLA

Force, cane?

Oh dannatissimo, libidinoso caprone,

non te la caverai con un “forse”!

SOLDATO

O, pardonnez-moi!

PISTOLA

Cosa stai blaterando? “Per donarmi dei muà?”

Vieni, ragazzo: chiedi in francese a questo gaglioffo

qual è il suo nome.

PAGGIO

Ecoutez: comment êtes-vous appelé?

SOLDATO

Monsieur Le Fer.

PAGGIO

Dice di chiamarsi Messer Le Fer.

PISTOLA

Messer Lo Ferro! Te lo ferro, te lo frusto, e te lo frugo io! Chiarifica tu il concetto in francese a costui.

PAGGIO

Io non so dirlo, in francese, ferro, frusto e frugo.

PISTOLA

Digli di prepararsi, che sto per tagliargli la gola.

SOLDATO

Que dit-il, monsieur?

PAGGIO

Il me commande à vous dire que vous faites vous prêt, car ce soldat ici est disposé tout à cette beure de couper votre gorge.

PISTOLA

O uì, cupé le gorge, permafuà!

Bifolco, ammenoché tu mi dia degli scudi, e scudi sonanti, sappi che martoriato sarai da cotesto mio brando.

SOLDATO

O, je vous supplie, pour l’amour de Dieu, me perdonnez! Je suis le gentilhomme de bonne maison: gardez ma vie, etje vous donnerai deux cents écus.

PISTOLA

Quali parole son queste?

PAGGIO

Vi prega di risparmiargli la vita: è gentiluomo di ottima famiglia, e pel suo riscatto vi darà duecento scudi.

PISTOLA

Digli che la mia furia si placherà, ed io

gli scudi farò miei.

SOLDATO

Petit monsieur, que dit-il?

PAGGIO

Encore qu’il est contre son jurement de pardonner aucun prisonnier; néanmoins, pour les écus que vous l’avez promis, il est content de vous donner la liberté, le franchissement.

SOLDATO

Sur mes genoux je vous donne mille remerciments et je m’estime heureux que je suis tombé entre les mains d’un chevalier, je pense, le plus brave, vaillant, et très distingué seigneur d’Angleterre.

PISTOLA

Ragazzo, interpreta a mio beneficio.

PAGGIO

Egli vi rende mille grazie, in ginocchio; e si stima fortunato d’esser caduto nelle mani d’un uomo che, a sentir lui, è il più prode, valoroso e tre volte ammirevole signieur d’Inghilterra.

PISTOLA

Com’è vero che sono un succhiasangue, mostra vo’ far di clemenza. Seguimi, cane!

PAGGIO

Suivez-vous le grand capitaine.

[Escono Pistola e il soldato francese.]

Mai ho sentito una voce tanto piena uscire da un petto tanto vuoto; ma è veridico il detto: “Il vaso vuoto è anche il più sonoro”… Bardolfo e Nym erano dieci volte più valorosi di questo diavolo ruggibondo da sacra rappresentazione, a cui chiunque potrebbe scorciare gli unghioni con una daga di legno: eppure li hanno impiccati entrambi, e lo stesso toccherebbe a costui se solo si provasse a grattare qualcosa a suo rischio e pericolo. Io devo restare nell’accampamento con la servitù, assieme alle salmerie. I Francesi, se lo sapessero, potrebbero farci Passare un gran brutto momento, visto che a far la guardia non è rimasto nessuno, a parte i ragazzi. Esce.

ATTO QUARTO – SCENA QUINTA

Entrano il Connestabile, Orléans, Borbone, il Delfino e Rambures.

CONNESTABILE

O diable!

ORLÉANS

O Seigneur! Le jour est perdu! tout est perdu!

DELFINO

Mort Dieu! Ma vie! Tutto è andato in malora, tutto!

Ignominia e sempiterna vergogna

ci beffan dall’alto dei nostri cimieri. O méchante fortune!

Non scappate così! Breve allarme.

CONNESTABILE

Ma i nostri ranghi son tutti scompaginati!

DELFINO

O sempiterna vergogna! Diamoci una pugnalata!

Son questi i miserabili che ci giocammo ai dadi?

ORLÉANS

È questo il re di cui chiedemmo il riscatto?

BORBONE

Vergogna, eterna vergogna, vergogna delle vergogne!

Moriamo in piedi: torniamo nuovamente in campo,

e chi ora non intende seguire il Borbone

se ne vada di qui, e col cappello in mano,

come un volgare ruffiano, stia di guardia alla porta,

mentre un tanghero non più bennato del mio cane

contamina la più leggiadra delle sue figlie.

CONNESTABILE

O indisciplina, che ci hai disfatto, assistici adesso!

Buttiamoci allo sbaraglio, e offriamo le nostre vite.

Se non agli Inglesi, almeno a morte gloriosa!

ORLÉANS

I nostri sopravvissuti, sul campo, bastano ancora

a subissare gl’Inglesi con la forza del numero,

se solo riusciamo a riordinare le nostre fila.

BORBONE

Riordinarle ora? Al diavolo! Mi metto alla ventura:

meglio una vita breve che un’onta imperitura! Escono.

ATTO QUARTO – SCENA SESTA

Squilli di tromba. Entrano il Re [Enrico] col suo seguito e i prigionieri, [Exeter e altri].

ENRICO

Ci siamo portati bene, compatrioti tre volte valorosi.

Ma non è ancora finita: i Francesi sono tuttora in campo.

EXETER

Il Duca di York vi manda a salutare, Maestà.

ENRICO

È vivo, mio caro zio? Tre volte, nel giro di un’ora

l’ho visto a terra; tre volte in piedi, a pugnare.

Dall’elmo agli speroni era coperto di sangue.

EXETER

In questa guisa, da prode soldato egli giace,

nutrendo di sé la pianura; e al suo fianco, tra il sangue,

a lui compagno nell’onore di tante ferite,

giace il nobile Conte di Suffolk.

Suffolk fu il primo a morire; e York, pur straziato nel corpo,

corre da lui, ch’è riverso nel proprio sangue,

lo prende per la barba, ne bacia le ferite

che sanguinanti gli squarciano il volto,

e grida forte: “Aspetta, cugino mio Suffolk!

La mia anima accompagnerà la tua in cielo.

Aspetta, anima buona, che ti raggiunga per volare al tuo fianco,

così come su questo campo glorioso e aspramente conteso,

a fianco a fianco ci siamo onorevolmente battuti!”.

Mentre diceva così arrivai a fargli animo,

lui mi guardò, sorrise e mi tese la mano

la strinse appena, e poi: “Signore mio caro”, mi dice,

“potete dire al sovrano che il mio dovere l’ho assolto”.

E qui lui si girò, e attorno al collo di Suffolk

gettò il braccio ferito, e lui baciò sulle labbra:

e così, sposato alla morte, suggellò con il sangue

un patto d’amicizia nobilmente conchiuso.

Quel gesto così bello e così dolce mi strappò

le lacrime che avrei voluto trattenere:

ma non riuscii a restare uomo sino a quel punto,

e lo spirito di mia madre invase i miei occhi,

lasciandomi in un pianto dirotto.

ENRICO

Non posso biasimarvi:

giacché, nell’ascoltarvi, tocca anche a me fare i conti

con un velo di pianto, e per poco non piango anch’io.

Allarme.

Ma udite! Che nuovo allarme è mai questo?

I Francesi han riordinato le loro unità sbandate:

che dunque ogni soldato uccida i suoi prigionieri!

Passate la parola. Escono.

ATTO QUARTO – SCENA SETTIMA

Entrano Fluellen e Gower.

FLUELLEN

[Sangue di Dio!] Fare fuori i ragazzi e le salmerie! E espressamente condrario alle leggi di guerra; una carognata così, badate bene, non s’era mai sendita. Ditemelo in coscienza, è vero o no?

GOWER

È un fatto che non uno di quei ragazzi è rimasto in vita, e che son stati quei farabutti vigliacchi scampati alla battaglia che hanno fatto la strage; e per di più han bruciato e portato via tutto quello che c’era nella tenda del Re, ed è per questo che il Re ha dato l’ordine – ordine sacrosanto – a tutti i soldati di tagliare la gola ai loro prigionieri. Oh, è in gamba il nostro Re!

FLUELLEN

Certo, lui è nato a Monmouth, Capitano Gower. Come la chiamate voi la città dove nacque.Alessandro il Grosso?

GOWER

Alessandro il Grande.

FLUELLEN

Via, con vostra licenza, Grande o Grosso non è lo stesso? Il Grande o il Grosso, o il Possende o l’Immenso o il Magnanimo è sembre la stessa solfa, a parte qualche piccola variazione sul tema.

GOWER

A me risulta che Alessandro il Grande nacque in Macedonia; suo padre, se ben ricordo, lo chiamavano Filippo il Macedone.

FLUELLEN

Io credo che è proprio in Macedonia dove Alessandro è nato. Ve lo dico io, Capitano, se date un’occhiata alle mappe del mondo, vi garandisco che troverete, facendo i debiti confrondi fra Macedonia e condea di Monmouth, che la posizione, badate bene, è piuttosto simile. In Macedonia c’è un fiume, e manco a dirlo c’è un fiume nella condea di Monmouth: quello di Monmouth si chiama Wye, ma il nome dell’altro fiume mi è sfuggito di mende, ma è la stessa cosa, si somigliano come le dita della mia mano, e poi di salmoni ce n’è in tutti e due. Se fate tando di studiare la vita di Alessandro, la vita di Harry di Monmouth finisce col ricalcarla abbasdanza bene, visto che in ogni cosa ci sono corrispondenze. Alessandro, lo sa Iddio come lo sapete voi, in un accesso di rabbia, e di furore, e di ira, e di collera, e di malumore, e di condrarietà, e di indignazione, e anche, badate bene, col cervello un tandino ottenebrato dal bere, tra una bevuta e un’arrabbiatura tando fece che uccise Clito, il suo migliore amico.

GOWER

Il nostro Re in questo non gli somiglia: non ha mai ucciso nessuno dei suoi amici.

FLUELLEN

Non sta mica bene, badate ora, di togliermi di bocca il racconto prima che io l’ho bello e finito. Io parlo soltando per parallelismi e corrispondenze: come Alessandro uccise il suo amico Clito tra una bevuta e l’altra, così anche Harry di Monmouth, a mende fredda e in piena lugidità, cacciò via il grosso cavaliere dal giubbone panciuto, quello sembre pieno di beffe e di prese in giro e di bricconate e di lazzi… Ho dimenticato il suo nome.

GOWER

Sir John Falstaff.

FLUELLEN

Proprio lui. Ve lo dico io, ce n’è di tipi in gamba che sono nati a Monmouth.

GOWER

Ecco che arriva Sua Maestà.

Squilli di tromba. Entrano il Re Enrico e Borbone con dei prigionieri, [Warwick, Gloucester, Exeter e altri]. Fanfara.

ENRICO

Non sono mai andato in collera da che sono in Francia,

mai sino a questo momento. Araldo, prendi con te un trombettiere,

galoppa incontro a quei cavalieri, su quella collina.

Se voglion battersi con noi, di’ loro di venir giù;

in caso contrario, sgombrino il campo: la loro vista ci offende.

Se non faranno né l’una né l’altra cosa, andremo noi da loro,

e li faremo schizzar via veloci come sassi

scagliati dalle fionde degli antichi Assiri.

Inoltre, taglieremo la gola ai prigionieri

e non un uomo, fra quelli ancora da prendere,

assaggerà la nostra clemenza. Vaglielo a dire.

Entra Montjoy.

EXETER

Ecco l’araldo dei Francesi, mio sire.

GLOUCESTER

I suoi occhi son meno arroganti dell’usato.

ENRICO

Giuraddio, araldo, che significa questo? Non sapevi

che la posta del mio riscatto eran queste mie ossa?

Non sarai mica tornato per il riscatto?

MONTJOY

No, gran Re.

Vengo da te a chieder pietosa licenza

di perlustrare il campo insanguinato

a far la conta dei morti per poi seppellirli,

e a separare i nostri nobili dai semplici fanti,

visto che molti dei nostri prìncipi – o tempi calamitosi! –

giacciono immersi e intrisi in sangue mercenario,

ed i nostri plebei intingon le rustiche membra

nel sangue dei principi; i cui destrieri feriti

attuffano nel sangue gl’inquieti garretti, e con furia selvaggia

sferrano calci ferrati ai lor morti padroni,

e li fan morti due volte. Oh, dateci il permesso, gran re,

di perlustrare il campo indisturbati, e di accudire

ai corpi degli uccisi!

ENRICO

A dirti la verità, araldo,

lo non lo so se abbiamo vinto o meno:

molti dei vostri cavalieri sono ancora in vista,

e corron su e giù per il campo.

MONTJOY

Avete vinto voi.

ENRICO

Di ciò sia lode a Dio, non alla nostra forza!

Come si chiama il castello che si erge qua presso?

MONTJOY

Lo chiamano Agincourt.

ENRICO

Allora questa si chiamerà la battaglia di Agincourt,

combattuta nel giorno di Crispino e Crispiano.

FLUELLEN

Il vostro leggendario bisnonno, se così piace a Vostra Maestà, e il vostro prozio Edoardo di Galles, il Principe Nero, a quando ho letto nelle cronache, combatteron qui in Francia una battaglia molto epica.

ENRICO

Proprio così, Fluellen.

FLUELLEN

Vostra Maestà dice la pura verità. Se le Vostre Maestà se lo rammendano, i Gallesi si batterono con onore in un orto coltivato a porri, ostendando dei porri nei loro berretti di Monmouth: il che, come sa bene Vostra Maestà, costituisce a tutt’oggi un distindivo onorevole del servizio prestato, tando che io credo che Vostra Maestà non disdegna di portare il porro nel giorno di San Davide.

ENRICO

Lo porto perché un tal distintivo mi onora.

Sono anch’io gallese, sapete, mio buon conterraneo.

FLUELLEN

Tutta l’acqua del fiume Wye non basterebbe a lavare via dal vostro corpo il sangue gallese di Vostra Maestà, ve lo dico io: Dio lo benedica e lo conservi, fin quando piacerà alla Sua Grazia e anche alla Sua Maestà!

ENRICO

Grazie, mio bravo compatriota.

FLUELLEN

Per Gesù, io son conderraneo di Vostra Maestà, non m’importa chi lo sa, io lo proclamo al mondo indero. Io non dovrò vergognarmi di Vostra Maestà, sia lodato Iddio, fin quando Vostra Maestà si manderrà un uomo onesto.

Entra Williams.

ENRICO

Dio mi conservi tale! I nostri araldi vadan con lui.

Portatemi il conto esatto del numero dei morti

d’ambo le parti. Fate venire quell’uomo.

[Escono gli araldi con Montjoy.]

EXETER

Soldato, dovete venire dal Re.

ENRICO

Soldato, perché sul cappello porti quel guanto?

WILLIAMS

Con licenza di Vostra Maestà, è il pegno di uno con cui dovrei battermi in duello, se è ancora vivo.

ENRICO

Un inglese?

WILLIAMS

Con licenza di Vostra Maestà, un gaglioffo che la notte scorsa si provò a far lo sbruffone con me: se è ancora vivo e se mai osa reclamare questo guanto, ho giurato di dargli un bel manrovescio. E se poi sarò io a vedere il mio guanto sul cappello, dove lui, com’è vero che lui è un soldato, ha giurato di metterselo se rimane in vita, io glielo farò saltare a suon di ceffoni.

ENRICO

Che ne pensate, Capitano Fluellen? È giusto che questo soldato mantenga il giuramento?

FLUELLEN

Se non lo fa, sulla mia coscienza è un miserabile e un vigliacco, con licenza di Vostra Maestà.

ENRICO

Può darsi che il suo avversario sia un gentiluomo di alto rango, e non possa dare soddisfazione a chi è di rango inferiore.

FLUELLEN

Anche se è gendiluomo tando quanto il diavolo, quanto Lucifero o Belzebù in persona, è imperativo, badate bene, Vostra Grazia, che lui mantiene promessa e giuramendo. Se lui ora si macchia di sbergiuro, si fa una repudazione, badate bene, di mascalzone della più bell’acqua e del più impudende briccone che mai abbia calcato le sue nere scarpe sulla terra e sul terreno di Dio, in coscienza, ecco!

ENRICO

Allora, giovanotto, tieni fede alla tua parola, citando incontri quel tale.

WILLIAMS

Lo farò, mio sire, com’è vero che sono vivo.

ENRICO

Chi è il tuo comandante?

WILLIAMS

Il Capitano Gower, mio sire.

FLUELLEN

Gower è un buon comandante, uno che sa le cose, assai addottorato in fatto di guerra.

ENRICO

Vammelo a chiamare, soldato.

WILLIAMS

Vado, mio sire. Esce.

ENRICO

Vieni, Fluellen, portalo tu questo mio pegno, e ficcatelo nel cappello. Quando Alençon e io finimmo a terra assieme, gli strappai questo guanto dall’elmo: se qualcuno lo reclama per suo, costui sarà un amico di Alençon e un nemico della nostra persona. Se incontri un tipo così, fallo prigioniero, per l’affetto che mi porti.

FLUELLEN

Vostra Grazia mi fa i più grandi onori che i cuori dei suoi sudditi possono aspirare: mi piacerebbe vederla, la bestia a due gambe che si ritiene oldraggiato alla vista di questo guando, ecco tutto: vorrei proprio vederlo almeno una volta, e piaccia a Dio nella Sua grazia di farmelo trovare.

ENRICO

Tu Gower lo conosci?

FLUELLEN

È mio ottimo amico, con vostra licenza.

ENRICO

Ti prego, vario a cercare e portalo alla mia tenda.

FLUELLEN

Lo vado a prendere. Esce.

ENRICO

Mio Conte di Warwick, e voi Gloucester, fratello mio,

andate dietro a Fluellen e stategli alle calcagna.

Il guanto che gli ho dato per farsi riconoscere

può darsi gli procuri un sonoro ceffone:

appartiene a quel soldato e, stando ai patti, dovrei

essere io a portarlo. Seguitemi, mio buon cugino Warwick.

Se quel soldato lo colpisce, e son certo,

dal suo piglio ruvido, che manterrà la parola,

potrebbe derivarne qualche rogna imprevista,

poiché conosco l’ardimento di Fluellen:

se provocato alla collera, va a fuoco come la polvere,

e in men che non si dica restituisce l’offesa.

Stagli dietro, e vedi che non si faccian del male.

E voi, zio Exeter, venite con me. Escono.

ATTO QUARTO – SCENA OTTAVA

Entrano Gower e Williams.

WILLIAMS

Scommetto, capitano, che adesso vi fan cavaliere.

Entra Fluellen.

FLUELLEN

In nome del volere e della volontà di Dio, capitano, vi imploro di venire di corsa dal Re: può anche darsi che è più ben disposto verso di voi di quanto voi non vi sognate di pensare.

WILLIAMS

Signore, sapete di chi è questo guanto?

FLUELLEN

Questo guando? So solo che un guando è un guando.

WILLIAMS

Io lo riconosco, e lo reclamo così. Lo colpisce.

FLUELLEN

Sangue di Giuda! Un traditore matricolato se mai ce n’è uno nell’universo mondo, o in Francia, o in Inghilterra.

GOWER

Che vi prende, signore? Mascalzone che siete!

WILLIAMS

Mi fate capace di spergiuro?

FLUELLEN

Alla larga da me, Capitan Gower! Ripagherò il tradimento a nerbate, ci potete contare.

WILLIAMS

Non sono un traditore.

FLUELLEN

Tu menti per la gola! In nome di Sua Maestà, vi ordino di arrestare costui: è un amico del Duca d’Alençon.

Entrano Warwick e Gloucester.

WARWICK

Ehilà, a voi, dico, cosa succede?

FLUELLEN

Signore di Warwick, qui siamo di fronde – sia resa lode a Dio! – al più pestifero tradimendo mai venuto alla luce, una luce chiara, badate bene, come quella che vorreste in un giorno d’estate. Ma ecco Sua Maestà.

Entrano il Re [Enrico] e Exeter.

ENRICO

Ebbene? Che cosa succede?

FLUELLEN

Mio sire, qui c’è un farabutto di un traditore che, badate bene, Vostra Grazia, ha colpito il guando che Vostra Maestà ha strappato all’elmo di Alençon.

WILLIAMS

Mio sire, questo guanto era mio: ecco qui il suo compagno, e la persona con cui l’ho scambiato mi giurò di portarlo sul cappello, e io giurai di dargliene quattro se l’avesse fatto. Ho incontrato quest’uomo col mio guanto sul cappello, e mi son dimostrato uomo di parola.

FLUELLEN

Vostra Maestà stia ora a sentire, con tutto il rispetto per il valore di Vostra Maestà, che razza di farabutto matricolato, di pidocchioso, canagliesco pezzente è costui. Confido che Vostra Maestà mi farà il testimonio e mi attesta e conferma pubblicamende che questo è il guando di Alençon, e che è stata Vostra Maestà a darmelo, sulla vostra coscienza, ecco.

ENRICO

Dammi il tuo guanto, soldato. Guarda, eccoti qui il compagno.

Ero davvero io, quello che giurasti di schiaffeggiare,

e me ne hai dette di tutti i colori.

FLUELLEN

Con licenza di Vostra Maestà, che ne risponda con la sua collottola, com’è vero che a questo mondo c’è la legge marziale.

ENRICO

E come potrai darmi soddisfazione?

WILLIAMS

Tutte le offese, mio sire, vengono dal cuore: e dal mio non è mai venuto nulla che possa offendere Vostra Maestà.

ENRICO

Eppure tu hai insultato il tuo re.

WILLIAMS

Vostra Maestà non si mostrò per quello che era: vi siete presentato come un soldato semplice, e tale vi proclamavan la notte, i vostri panni, la vostra aria dimessa; ciò che l’Altezza Vostra dovette subire in quel sembiante, vi supplico, consideratelo colpa vostra, non mia. Se voi foste stato quel ch’io vi credetti, non vi avrei certo offeso: pertanto imploro l’Altezza Vostra di perdonarmi.

ENRICO

Eccovi il guanto, zio Exeter: colmatelo di scudi

e datelo a quest’uomo. Tieni, brav’uomo,

e portalo pure sul cappello in segno d’onore

finché non sarò io a reclamarlo. Dategli gli scudi.

E voi, Capitano, dovete ovviamente far pace con lui.

FLUELLEN

Per il giorno e per la luce del giorno, quest’uomo ne ha di fegato in pancia! Tenete, questo scellino è per voi, e vi raccomando il timore di Dio, e di mandenervi fuori da risse e baruffe e dissensi e disputazioni, e ve lo garandisco, sarà meglio per voi.

WILLIAMS

Da voi non prenderò un soldo.

FLUELLEN

Ma la mia è un’offerta singera: vi garandisco che quandomeno vi servirà a rattopparvi le scarpe. Su, avandi, che c’è da vergognarsi? Le vostre scarpe sono un po’ malridotte, e lo scellino è autendico, ve lo garandisco: altrimenti ve lo cambio.

Entra un araldo [inglese].

ENRICO

Ebbene, araldo: è fatta, la conta dei morti?

ARALDO

Ho qui la lista dei Francesi uccisi.

ENRICO

Chi abbiamo preso, zio, fra i prigionieri di rango?

EXETER

Carlo Duca d’Orléans, nipote del re,

Giovanni Duca di Borbone, e il Signor di Boucicault;

e altri duchi e baroni, cavalieri e scudieri:

ben mille e cinquecento, soldati semplici a parte.

ENRICO

In questo foglio si parla di diecimila Francesi

che son caduti sul campo; e fra questi, di prìncipi

e nobili con tanto di stemma, ne giacciano morti

centoventisei; in aggiunta a costoro

i cavalieri, scudieri e gentiluomini in armi

sono ottomila e quattrocento, e di essi

cinquecento furon fatti cavalieri non più tardi di ieri:

Cosicché sui diecimila da essi perduti

solo mille e seicento sarebbero i mercenari:

il resto son prìncipi, baroni, duchi, cavalieri e scudieri

e gentiluomini di rango e di sangue.

I nomi dei loro nobili che sono caduti:

Charles D’Alberet, Gran Connestabile di Francia,

Jacques di Châtillon, Ammiraglio di Francia,

il capo dei balestrieri, Signor di Rambures,

il Gran Ciambellano di Francia, il prode Ser Guichard Dauphin;

Giovanni Duca d’Alençon, Antonio Duca di Brabante,

il fratello del Duca di Borgogna,

ed Edoardo Duca di Bar. Fra i conti gagliardi,

Grandpré e Roussi, Fauconbridge e Foix,

Beaumont e Marle, Vaudemont e Lestrelles.

Una compagnia della morte davvero principessa!

Dov’è l’elenco dei nostri caduti inglesi?

Edoardo Duca di York, il Conte di Suffolk,

Sir Richard Keighley e Davy Gam, scudiero;

nessun altro di rango, e di soldati semplici

venticinque soltanto. O Dio, questa è opera Tua!

e non a noi, ma unicamente al Tuo braccio

tutto questo è dovuto! Quando mai, senza alcun stratagemma,

in uno scontro leale, una battaglia in piena regola,

si eran mai viste perdite sì grandi e sì infime

dall’una parte e dall’altra? Prendila tu, Signore:

questa vittoria è solamente Tua!

EXETER

Una cosa inaudita!

ENRICO

Venite, andiamo in processione al villaggio;

e si proclami delitto capitale, nel nostro esercito,

vantarsi di tutto ciò, negando a Dio la gloria

che è Sua soltanto.

FLUELLEN

Con licenza di Vostra Maestà, sarà pur consendito parlare del numero degli uccisi?

ENRICO

Sì, capitano, ma a patto di riconoscere

che Dio ha combattuto dalla nostra parte.

FLUELLEN

È vero, in coscienza: ci è stato di grande aiuto.

ENRICO

Celebriamo dunque tutti i sacri riti:

che si intoni il Non Nobis e il Te Deum,

e i morti siano cristianamente affidati alla terra.

E infine, tutti a Calais, e ai nostri lidi inglesi:

mai reduci di Francia vi giunsero più attesi. Escono.

Enrico V
(“Henry V” – 1598 – 1599)
Introduzione – Riassunto
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Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

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