Enrico V – Atto III

(“Henry V” – 1598 – 1599)

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Enrico V - Atto III

Squilli di tromba. Entra il Coro.

[CORO]

Così, sull’ali dell’immaginazione, s’invola rapida la nostra scena,

spostandosi con non minore celerità

dei moti del pensiero. Supponete d’aver già visto,

al molo di Southampton, il Re che, armato di tutto punto,

imbarca la sua regale persona, e la sua intrepida flotta

che con guidoni di seta fa vento a Febo sorgente.

Date libero gioco alla fantasia, che vi farà contemplare

i mozzi che dan la scalata alle sartie di canapa.

Udite il fischietto squillante che dà ordine e senso

a una babele di suoni; guardate le vele di tela

sospinte dal vento insidioso e invisibile,

che portan le chiglie rigonfie tra i solchi del mare,

a prender di petto le ondate possenti. Su, provate a pensare

di starvene sulla riva, a osservare ammirati

una città che danza sugl’irrequieti marosi:

ché tale appare questa maestosa flotta

mentre fa rotta su Harfleur. Seguitela, oh, seguitela!

Aggrappatevi con la mente alla poppa d’ogni vascello,

e lasciatevi dietro l’Inghilterra, silenziosa come il cuor della notte,

guardata da vegliardi, da infanti, da donne anziane

che hanno perduto il vigore dell’età matura, o non l’hanno raggiunto.

C’è forse un giovane, fra quelli che si fan belli

d’una peluria incipiente, che non voglia seguire

in Francia la scelta, eletta coorte dei cavalieri?

Sforzate, sforzate la vostra immaginazione, e scorgerete un assedio:

osservate l’artiglieria, sugli affusti,

che su Harfleur circondata spalanca le bocche fatali.

Immaginate che sia tornato l’ambasciatore di Francia

per dire a Enrico che il Re gli offre

sua figlia Caterina, e con lei, quale dote,

qualche piccolo ducato di nessuna importanza.

Non è gradita l’offerta; e l’agile artigliere

ora accosta la miccia all’infernale cannone…

Allarme, e salve di artiglieria.

e tutto crolla davanti a lui. Siate ancora indulgenti,

ed arricchite lo spettacolo con le vostre menti. Esce.

ATTO TERZO – SCENA PRIMA

Allarme. Entrano il Re [Enrico], Exeter, Bedford, Gloucester e i soldati con scale da assedio.

ENRICO

Ancora una volta, alla breccia, cari amici, tornate alla breccia,

oppure chiudete il varco coi nostri caduti!

In tempo di pace nulla si addice più all’uomo

quanto un contegno tranquillo e dimesso;

ma quando clangori di guerra c’intronan le orecchie,

allora prendete a modello l’esempio della tigre:

tendete ogni fibra del corpo, portate il sangue a bollore,

nascondete una tempra equanime facendo la faccia feroce,

prestate agli sguardi un che di terrificante,

fate che gli occhi scrutino, tra le due feritoie del capo,

come bronzei cannoni, e la fronte incomba su di essi

paurosamente, così come un gran faraglione

si erge incombente sulla sua base, flagellata

e frastagliata dalla furia devastatrice dell’oceano.

Ora è il momento di stringere i denti e dilatar le narici,

trattenere il respiro, e tendere ogni vostra energia

fino allo spasimo! Dateci sotto, nobilissimi Inglesi!

Il vostro sangue deriva da padri ben rotti alla guerra,

padri che, come altrettanti Alessandri,

si son battuti in questi luoghi dall’alba al tramonto,

rinfoderando le spade solo a cose finite.

Non disonorate le vostre madri: ora sì che potete provare

di esser davvero i figli di chi chiamate padre!

Siate ora di esempio a uomini di men nobile sangue,

ed insegnate loro l’arte della guerra. E voi, onesti fanti,

le cui membra fu l’Inghilterra a plasmare, fateci qui vedere

di quale tempra è quel suolo! Noi vorremmo giurare

che siete uomini di buona razza: sul che io non ho dubbi,

giacché nessuno fra voi è sì indegno e mediocre

da non mostrar nello sguardo un lampo di nobiltà.

Vi vedo tesi come levrieri al guinzaglio,

smaniosi di scattare. La partita è aperta!

Siate voi stessi. Alla carica! Fate tremar la terra!

Gridate: ” Harry e San Giorgio! Dio salvi l’Inghilterra!

[Escono.] Allarme, e salve di artiglieria.

ATTO TERZO – SCENA SECONDA

Entrano Nym, Bardolfo, Pistola e il paggio.

BARDOLFO

Su, su, su, sotto! Alla breccia, alla breccia!

NYM

Vivaddio, caporale, riprendi fiato! Qui menan botte da orbi: e per parte mia non ce l’ho in dotazione, le vite di ricambio. Il succo del discorso, tanto per cantarle chiare, è che qui fa troppo caldo per i miei gusti.

PISTOLA

Le hai cantate chiarissime. Qui ci fanno sudare.

Le botte si sprecano. I vassalli di Dio cadon stecchiti:

E qui lo scudo e il brando,

il campo insanguinando,

di fama imperitura saran tosto vestiti.

PAGGIO

Quanto non darei per essere a Londra, all’osteria!

Darei tutta la mia parte di fama per un boccale di birra e per salvare la pelle.

PISTOLA

Per parte mia:

Se realizzar potessi i sogni miei

L’intento mio certo non fallirei,

ed issofatto di qui m’involerei.

PAGGIO

Voleresti leggero,

non ti parrebbe vero

di scacciare cantando ogni pensiero.

Entra Fluellen.

FLUELLEN

[Sangue di Dio], alla breccia, cani che siete! Fatevi sotto, coglioni! Li spinge avanti a piattonate.

PISTOLA

Non infierire, gran Duca, su queste creature d’argilla!

Placa i tuoi furori, i tuoi eroici furori,

placa i tuoi furori, gran Duca!

Mio bel gallazzo, placa i tuoi furori. Cocco bello, clemenza!

NYM

Questo sì è buonumore! Vostro Onore fa fuori il malumore. Esce [con Pistola e Bardolfo].

PAGGIO

Giovane come sono, li conosco bene, questi tre fanfaroni. Io faccio da paggio a tutt’e tre, ma se fossero loro a servire me, in tre che sono mi servirebbero a poco, ché tre buffoni di questa fatta non bastano a fare un uomo. Quanto a Bardolfo, quello è paonazzo in viso ma giallognolo dentro: così si spiega com’è che fa sempre il viso dell’armi ma lascia perder le armi. Pistola poi ha una lingua diabolica ma una spada angelica, per cui a parole vi saprà assassinare, ma le armi non le vorrà mai usare. Resta Nym: da quando ha sentito dire che gli uomini più in gamba son quelli di poche parole, disdegna di dire perfino le sue preghiere, per non esser creduto un dappoco. Alle sue poche, male parole corrispondono azioni poche e men che buone: ma è pur vero che non ha mai rotto la testa a un cristiano, a parte la testa sua, quella volta che prese la ciucca e finì contro un palo. Quelli là ruberebbero qualsiasi cosa: e questo lo chiamano “fare acquisti”. Bardolfo ha rubato la custodia di un liuto, se l’è portata appresso per dodici leghe, e non se l’è poi venduta per quattro soldi? Nym e Bardolfo son come fratelli giurati, quando si tratta di sgraffignare, e a Calais han grattato una pala da carbone: l’ho capito da quest’impresa che non si vergognano a sporcarsi le mani. In più avrebbero voluto che io me la facessi colle tasche del prossimo, alla maniera dei guanti o dei fazzoletti: ma sentirei di non esser più un uomo, se mi mettessi a vuotare le tasche degli altri per riempire le mie: sarebbe peggio che intascare le offese. Devo proprio lasciarli e trovarmi un servizio migliore. Ho lo stomaco delicato io, per certe furfanterie: ecco perché mi vien fatto di rigettarle.

Esce.

 

Rientra Fluellen, seguito da Gower.

GOWER

Capitan Fluellen, dovete venir subito alle mine: il Duca di Gloucester vi vuole parlare.

FLUELLEN

Alle mine! Dite pure al Duca che non è il caso di andare alle mine. Perché, badate, le mine le han mica fatte secondo i regolamendi: le buche non sono profonde abbastanza, tando è vero, badate bene, che il nemico – provate a farglielo capire, al Duca – badate bene, si è andato a scavare le condromine quattro metri più sotto. Gesù, mi sa che salderà tutto per aria se non ci danno istruzioni migliori.

GOWER

Il Duca di Gloucester, a cui è affidata la conduzione dell’assedio, si lascia consigliare in tutto e per tutto da un irlandese, un gentiluomo di grande valore, parola mia.

FLUELLEN

Non sarà mica il Capitano Macmorris?

GOWER

Credo proprio di sì.

FLUELLEN

Gesù, quello è un somaro come ce ne sono pochi. Glielo andrò a dimosdrare sul muso, che non ha nessunissima combetenza nelle arti militari rettamende intese, badate bene, nelle discipline dei Romani: non più d’un cuccioletto.

Entrano [il Capitano] Macmorris e il Capitano Jamy.

GOWER

Eccolo che viene, e con lui il capitano scozzese, Capitan Jamy.

FLUELLEN

Il Capitano Jamy è un gendiluomo massimamende valoroso, questo è certo, e di grande esperienza e dottrina in fatto di guerre dell’antighità, come ho potuto personalmente gonstatare dalle sue istruzioni. Gesù, è uno che può tener testa a qualsiasi ufficiale di questo mondo, quando alle arti militari dell’andica Roma.

JAMY

Buonciorno, dico, Capitan Fluellen.

FLUELLEN

Buongiorno a vossignoria, buon Capitan James.

GOWER

Ehi voi, Capitano Macmorris, avete lasciato le mine? I guastatori hanno mollato tutto?

MACMORRIS

Via, per Cristo, non sci fa così! Il lavoro lasciato a mezzo, la tromba che ssona la ritirata: io lo giurassi sulla mano mia, e puro sull’anima di mio padre, non sci lavora coscì, piantando in asso ogni cosa. Io la città – che Cristo m’ascista! – l’avessi fatta saltare in un’ora, ecco. Oh, nun sci fanno le cose coscì, nun sci fanno, su questa mano mia, non sci fanno coscì!

FLUELLEN

Capitano Macmorris, ve ne supplico, congedetemi ora una piccola, badate bene, disputazione fra noi su certe questioni in parte relative o attinendi all’arte della guerra, alle guerre dei Romani, così, tando per discettare, badate bene, in un amichevole scambio di idee: in parte per confortarmi nelle mie opinioni, in parte per mia, badate bene, gradificazione intellettuale, su quando congerne la direzione dell’organizzazione militare: ché questo è il punto.

JAMY

Un’eccellente idea, affé mia, e pravi i miei capitani! E io vi risponterò punto per punto, col vostro permesso, se me ne offrite il testro: lo farò, poffarpacco!

MACMORRIS

Ma non è tempo di discorsi, che Cristo m’ascista! Qui comincia a far caldo, tra il tempo, e la guerra, e il Re, e i duchi: nun è mica tempo di discorsi. La città è ascediata, e le trombe ci chiamassero alla breccia, e noi stiam qui a parlare e, per Cristo, nun facessimo gnente: ci dovressimo vergognare, che Dio m’ascista! Una vergogna star qui a far gnente, una vergogna, su questa mano: con tutte le gole da tagliare, e il lavoro da fare, e non sci è fatto un bel gnente, che Cristo m’ascista, ecco!

JAMY

Per la Messa, prima che qvesti occhi miei se ne vatano a nanna io farò fino in fonto il mio tovere, sì, a costo di restarci lunco stecchito, sì, o d’incontrare la morte! Sì, e venterò molto cara la pelle, per qvanto sta in me, su qvesto ci potete contare: e qvesto è qvanto. Poffarpacco, mi sarebbe veramente piaciuto sentirvi tiscutere di qvalcosa, a voi due.

FLUELLEN

Capitano Macmorris, io credo, badate bene, e correggetemi se sbaglio, che non sono in molti, della vostra nazione…

MACMORRIS

Della mia nascione? E quale fosse la mia nascione? Una di farabutti, bastardi, mascalzoni e delinquenti, vero? Coscì saresse la mia nascione? Chi parla della mia nascione?

FLUELLEN

Badate bene, se la prendete diversamende da come indendevo, Capitano Macmorris, potrei per avventura essere indotto a pensare che non usate con me quell’affabilità che pure, per riguardo, dovreste usarmi, badate bene, visto che valgo almeno quando voi, sia quando a preparazione militare che quando a discendenza onorata, come anche per altre pardicolarità.

MACMORRIS

Nun mi risciulta che valete almeno quanto me. Che Cristo m’ascista, io vi tagliassi la testa!

GOWER

Signori miei, vi siete capiti male.

JAMY

Ach, cran prutto eqvivoco!

Una tromba chiama a parlamento.

GOWER

La città chiama a parlamento.

FLUELLEN

Capitano Macmorris, quando si presenderà un’occasione meglio opportuna, badate bene, allora mi congederò l’ardire di dirvi che io, in fatto di arte militare, me ne indendo davvero. E mi pare che basti. Escono.

ATTO TERZO – SCENA TERZA

Entrano il Re [Enrico] e tutto il suo seguito davanti alle porte della città.

ENRICO

Che aspetta a decidersi il governatore della città?

Questo è l’ultimo parlamento che vi concediamo.

Arrendetevi dunque alla nostra generosa clemenza

oppure, da uomini fieri di esporsi alla morte,

sfidateci a mostrare il nostro lato peggiore: e com’è vero che sono un soldato –

titolo, a mio giudizio, che meglio di ogni altro mi si addice –

se mi forzate a riprendere il bombardamento

non lascerò Harfleur, già per metà conquistata,

finché non l’avrò sepolta sotto le sue ceneri.

Le porte della cristiana pietà saran tutte sbarrate,

ed il soldato, rude, incallito e ormai duro di cuore,

sfogherà senza più freno la sua sete di sangue,

con una coscienza ampia quanto l’inferno, falciando come erba

belle fanciulle in boccio e floridi infanti.

Cosa m’importerà, allora, se un’empia guerra,

rutilante di fiamme come il principe dei demoni,

compirà, col suo volto nero di fumo, tutte le truci imprese

inseparabili da devastazioni e saccheggi?

Cosa m’importerà, quando voi stessi ne siete la causa,

se la purezza delle vostre fanciulle cadrà nelle mani

di stupratori violenti e brutali?

Cosa può mai imbrigliare una malvagia libidine

quand’essa si è ormai scatenata, e va a rotta di collo?

Invece di dar ordini a vuoto e gridarli al vento

a dei soldati ebbri di bottino,

tanto varrebbe al Leviatano ordinar per iscritto

di venirsene a riva. Perciò, cittadini di Harfleur,

abbiate pietà della vostra gente e della vostra città,

ora che i miei soldati mi obbediscono ancora.

ora che il fresco e temperato vento della grazia

è in grado di scacciare le sozze nubi, dense di contagio,

dell’ebbrezza omicida, del saccheggio e del crimine.

Altrimenti, aspettatevi di vedere fra breve

il soldato accecato dal sangue che con mano impura

insozza le chiome delle vostre figlie urlanti;

i vostri padri ghermiti per le barbe d’argento,

e le loro venerabili teste sfracellate sui muri;

i vostri infanti ignudi infilzati su picche,

mentre le madri impazzite levano al cielo un clamor di ululati

tal squarciare le nubi, come le donne di Giudea

dinanzi agli sgherri massacratori di Erode.

Che dite? Vi arrenderete, per evitare tutto questo,

oppure, in una difesa colpevole, vi farete annientare?

Entra il Governatore [sulle mura].

GOVERNATORE

Le nostre speranze sono oggi svanite.

Il Delfino, dal quale avevamo invocato soccorsi,

ci fa sapere che le sue forze non sono ancora pronte

per far cessare un così grande assedio. Di conseguenza, gran Re,

affidiamo la città e le nostre vite alla tua umanità e discrezione.

Fate il vostro ingresso in città, disponete di noi e dei nostri beni,

poiché non siamo più in grado di difenderci.

ENRICO

Spalancate le porte! A voi, zio Exeter:

entrate voi in Harfleur, per restarvi insediato.

Fortificatela bene contro i Francesi,

e usate a tutti clemenza. Quanto a noi, caro zio,

prima che arrivi l’inverno, e con le febbri che aumentano

fra i nostri soldati, ci ritiriamo a Calais.

Stanotte, in Harfleur, sarò ospite vostro;

domani saremo pronti a riprender la marcia.

Fanfara. Entrano nella città.

ATTO TERZO – SCENA QUARTA

Entrano la Principessa Caterina e Alice, un’anziana gentildonna.

CATERINA

Alice, tu as été en Angleterre, et tu parles bien le langage.

ALICE

Un peu, madame.

CATERINA

Je te prie, m’enseignez; il faut que j’apprenne à parler. Comment appelez-vous la main en anglais?

ALICE

La main? Elle est appelée “de hand”.

CATERINA

“De hand”. Et les doigts?

ALICE

Les doigts? Ma foi, joublie les doigts; mais je me souviendrai. Les doigts? Je pense qu’ils sont appelés “de fingres”; oui, “de fingres”.

CATERINA

La main, “de hand”; les doigts, “de fingres”. Je pense que je suis le bon écolier; j’ai gagné deux mots d’anglais vitement. Comment appelez-vous les ongles?

ALICE

Les ongles? Nous les appelons “de nails”.

CATERINA

“De nails”. Écoutez: dites-moi si je parle bien: “de hand, de fingres, de nails”.

ALICE

C’est bien dit, madame; il est fort bon anglais.

CATERINA

Dites-moi l’anglais pour le bras.

ALICE

“De arm”, madame.

CATERINA

Et le coude?

ALICE

“D’ elbow”.

CATERINA

“D’ elbow”. Je m’en fais la répétition de tous les mots que vous m’avez appris dès à présent.

ALICE

Il est trop difficile, madame, comme je pense.

CATERINA

Excusez-moi, Alíce; écoutez: “d’ hand, de fingres, de nails de arm, de bilbow”.

ALICE

“D’ elbow”, madame.

CATERINA

O Seigneir Dieu, je m’en oublie! “D’elbow”. Comment appelez-vous le col?

ALICE

“De nick”, madame.

CATERINA

“De nick”. Et le menton?

ALICE

“De chin”.

CATERINA

“De sin”. Le col, “de nick”; le menton, “de sin”.

ALICE

Oui. Sauf votre bonneur, en vérité, vous prononcez les mots aussi droit que les natifs d’Angleterre.

CATERINA

Je ne doute point d’apprendre, par la grâce de Dieu, et en peu de temps.

ALICE

N’avez-vous pas déjà oublié ce queje vous ai enseigné?

CATERINA

Non, je réciterai à vous promptement: “d’hand, de fingre, de mails”…

ALICE

“De nails”, madame.

CATERINA

“De nails, de arm, de ilbow…”

ALICE

Sauf votre bonneur, “d’elbow”.

CATERINA

Ainsi dis-je: “d’elbow, de nick” et “de sin”. Comment appelez-vous le pied et la robe?

ALICE

Le “foot”, madame; et le ‘cown”.

CATERINA

Le “fut” “et le “con”? O Seigneur Dieu! Ils sont les mots de son mauvais, corruptible, gros, et impudique, et non pour les dames d’honneur d’user. je ne voudrais prononcer ces mots devant les seigneurs de France pour tout le monde. Foh! Le “fut” et le “con”! Néammoins, je réciterai une autre fois ma leçon ensemble: “d’hand, de fingre, de nails, d’arm, d’elbow, de nick, de sin, de fut, de con”.

ALICE

Excellent, madame!

CATERINA

C’est assez pour une fois. Allons-nous à diner.

Escono.

ATTO TERZO – SCENA QUINTA

Entrano il Re di Francia, il Delfino, [il Duca di Bretagna,] il Connestabile di Francia, e altri.

RE DI FRANCIA

Sicuramente ha già passato la Somme.

CONNESTABILE

E se non gli diamo subito battaglia, mio sire,

rinunciamo pure a vivere in Francia: molliamo ogni cosa,

e consegnamo le nostre vigne a quella razza di barbari.

DELFINO

O Dieu vivant! Possibile mai che delle frasche di casa nostra,

i rimasugli della lussuria dei nostri avi,

quei nostri rampolli, innestati su rami incolti e selvaggi,

debban schizzare d’un subito su fino alle nuvole,

e dominare dall’alto il ceppo che li ha originati?

BRETAGNA

Normanni, ma Normanni bastardi, bastardi Normanni!

Mort Dieu! Ma vie! Se quelli continuano a venirsene avanti

senza che li attacchiamo, io svenderò il mio ducato

in cambio di un podere pantanoso e malmesso

in quella squallida, frastagliata isola d’Albione.

CONNESTABILE

Dieu de batailles! Dove han preso questo coraggio?

Non hanno un clima ingrato, nebbioso e tetro,

con un pallido sole che quasi a fargli dispetto,

tien loro il broncio, rovinando i raccolti? Può una brodaglia acquosa,

un beverone per cavalli sfiancati, distillato dall’orzo,

far fermentare quel freddo sangue fino a farlo bollire?

E il nostro sangue, così caldo, vivificato dal vino,

lo sentiremo gelare? Oh, per l’onore della nostra terra,

non stiamocene qui impalati come stalattiti di ghiaccio

appese alla paglia dei nostri tetti, mentre una gente di gran lunga più fredda

irrora di giovanile, generoso sudore i nostri ricchi campi…

Che dovremmo dir poveri, visti i padroni che hanno!

DELFINO

In fede, e sull’onor mio,

le nostre donne si beffan di noi. Lo dicono chiaro e tondo:

il nostro vigore è fiaccato, ed esse offriranno

i loro corpi all’ardore della gioventù inglese,

per ripopolare la Francia di prodi bastardi.

BRETAGNA

Ci dicon di andar dagli Inglesi, a scuola di danza,

e insegnar loro l’agile “giravolta” e il veloce “corrente”.

Quel che ci salva – dicono – son le nostre gambe,

e nell’alzare i tacchi siamo fenomenali.

RE DI FRANCIA

Dov’è Montjoy l’araldo? Che parta a spron battuto,

e porti all’Inghilterra la nostra sfida sdegnosa.

Orsù, principi! Temprate lo spirito dell’onore,

rendetelo più affilato delle vostre spade, e scendete in campo!

Charles D’Alberet, Gran Connestabile di Francia,

voi, Duchi di Orléans, di Borbone e di Berry,

di Alençon e di Brabante, di Bar e di Borgogna,

Jacques Châtillon, Rambures, Vaudemont,

Beaumont, Grandpré, Roussi e Fauconbridge,

Foix, Lestrelles, Boucicault e Charolais,

nobili duchi, gran principi, Pari, baronetti e baroni,

in nome delle vostre grandi casate, lavate una grande onta!

Fermate Harry l’inglese, che porta per tutto il paese

i suoi pennoni, intinti nel sangue di Harfleur!

Rovesciatevi sulla sua armata, come valanga di neve

sul fondovalle, sottomesso vassallo

su cui le Alpi sputano e scaricano il loro catarro.

Piombategli addosso! Vi bastan le forze che avete.

E poi portatelo qui a Rouen su di un carro di ostaggi,

da prigioniero.

CONNESTABILE

Questo si chiama esser grandi!

Mi spiace solo che i suoi siano tanto in pochi,

e, nella marcia, spossati dalle malattie e dalla fame,

poiché son certo che quando vedrà l’esercito nostro

il cuore gli piomberà nel pozzo della paura,

e allora, per farla finita, ci offrirà il suo riscatto.

RE DI FRANCIA

Ordunque, Gran Connestabile, fate fretta a Montjoy,

che dica al Re d’Inghilterra che vorremmo sapere

quale riscatto egli si sente disposto a pagare.

Principe Delfino, voi resterete con noi a Rouen,

DELFINO

Oh no! Vi supplico, Vostra Maestà.

RE DI FRANCIA

Abbiate pazienza, dovrete restare con noi.

E ora partite, Gran Connestabile e principi tutti,

abbiamo fretta di sapere gl’Inglesi disfatti e distrutti.

Escono.

ATTO TERZO – SCENA SESTA

Entrano i capitani inglese e gallese, Gower e Fluellen.

GOWER

Ehilà, Capitan Fluellen! Venite mica dal ponte

FLUELLEN

Gesù, al ponde stan commettendo imprese memorabili.

GOWER

È incolume il Duca di Exeter?

FLUELLEN

Il Duca di Exeter è magnanimo quando Agamennone: ed è un uomo che io amo e onoro con tutta l’anima, e col cuore, la devozione, la vita, le mie sostanze e tutto quando sta in me. Egli – sia lodato e benedetto Iddio! – non è stato minimamende scalfito, ma condinua a tenere il ponde con grande valore e grandissima perizia. C’è al ponde anche un sottotenende; Gesù, credo in coscienza che lui ha il coraggio di un Marcandonio, eppure è uomo di nessunissima reputazione, anche se gli ho visto compiere qualche prodezza.

GOWER

Come avete detto si chiama?

FLUELLEN

Alfiere Pistola, lo chiamano.

GOWER

Non lo conosco.

Entra Pistola.

FLUELLEN

Eccolo, è lui.

PISTOLA

Capitano, io imploro la tua benevolenza:

Il Duca di Exeter ti tiene in gran conto.

FLUELLEN

È vero, sia lode a Dio; e ho ben fatto qualcosa per meritarmi il suo affetto.

PISTOLA

Bardolfo, soldato tutto d’un pezzo, di cuore onesto

e sperimentato valore, ha, per un fato crudele

ed un maligno, erratico capriccio della ruota della Fortuna,

quella dea cieca,

ritta sull’irrequieta sua ruota di pietra …

FLUELLEN

Portate pazienza, Alfiere Pistola. La Fortuna è dipinda cieca e con una benda sugli occhi, a significarvi che la Fortuna è cieca; ed è dipinda anche con una ruota a significarvi – e in questo consiste l’allegoria – che essa non fa che far giravolte, è incostante, è tutta mutevolezza e variabilità; ed il suo piede, badate bene, si posa su una sfera di pietra che rotola e rotola e rotola. In verità, il poeta ne fa una descrizione massimamende efficace: la Fortuna è una gran bella allegoria.

PISTOLA

La Fortuna è a Bardolfo inimica, e lui sogguarda bieca:

egli rubò una pisside, onde sarà impiccato.

Una morte esecranda!

Che sulla forca finiscano i cani, che si liberi l’uomo

e che il capestro la trachea non gli strizzi!

Ma Exeter lo ha consegnato a un fato di morte

per una pisside da quattro soldi.

Va’ pertanto a parlargli: il Duca ti presterà ascolto.

Lo stame della vita di Bardolfo non fia reciso

dalla stretta di vile fune e da un marchio d’infamia.

Intercedi, o Capitano, per lui, ché ne avrai guiderdone.

FLUELLEN

Alfiere Pistola, mi par di capire dove volete arrivare.

PISTOLA

È d’uopo dunque esultare!

FLUELLEN

Di certo, Alfiere, c’è poco da esultare: poiché, badate bene, fosse anche mio fratello, preferirei che il Duca, a sua discrezione, me lo facesse giusdiziare, ché la disciplina va rispettata.

PISTOLA

Crepa, sii maledetto! Col cavolo che sei un amico!

FLUELLEN

Bene.

PISTOLA

Va’ a farti fottere!

FLUELLEN

Di bene in meglio.

PISTOLA

Dico, fottute le tue budella e le tue sozze frattaglie!

Esce.

FLUELLEN

Capitan Gower, avete sentito che tuoni e lampi?

GOWER

Ma sì, costui è un impostore, un gaglioffo di tre cotte, ora me lo ricordo: un magnaccia, un tagliaborse.

FLUELLEN

Gesù, ne ha dette tande, al ponde, di parole di sfida, quande ne potete sentire in un giorno d’estate. Ma mi sta benissimo: quanto m’ha detto, vi garandisco, saprò ricordarlo al momendo opportuno.

GOWER

Insomma, costui è un babbione, un buffone, un cialtrone, che quando gli capita se ne va alla guerra per farsi bello, una volta tornato a Londra, nei panni del reduce. Questi tipi li sanno a menadito, i nomi dei grandi comandanti, e vi mandano a memoria i luoghi dei fatti d’arme – la ridotta tal dei tali, la tale breccia, il talaltro convoglio – chi ne uscì con onore, chi fu colpito a morte, chi si coprì di vergogna, in che posizione venne a trovarsi il nemico; e tutto questo ve lo scodellano a perfezione con tutto un frasario guerresco, ch’essi infarciscono d’imprecazioni di nuovo conio. E che effetto faranno, fra boccali spumeggianti e cervelli impregnati di birra, una barba tagliata come il tal generale e una tenuta da campagna lacera da far paura, fa meraviglia a pensarci. Ma dovete imparare a riconoscerli, questi figli degeneri del nostro tempo, ché altrimenti potreste prendere qualche granchio colossale.

FLUELLEN

Vi dico una cosa, Capitan Gower: mi rendo condo che quest’uomo non è quel che vorrebbe tando dimostrare al mondo. Se lo prendo in castagna, gli dirò il fatto suo…

Udite, sta arrivando il Re, e io devo dirgli del ponde.

Tamburi e stendardi. Entrano il Re [Enrico] e i suoi soldati malconci, [con] Gloucester [e] Clarence.

Dio benedica Vostra Maestà!

ENRICO

Ebbene, Fluellen, sei venuto dal ponte?

FLUELLEN

Sì, con licenza di Vostra Maestà. Il Duca di Exeter ha difeso il ponde col più grande valore: i Francesi si sono dispersi, badate bene, dopo fatti d’arme di grande eroicismo e prodezza. Il nemico, diamine, stava per impossessarsi del ponde, ma è stato costretto a ritirarsi, e H Duca di Exeter è padrone del ponde. A Vostra Maestà posso dirlo: il Duca di Exeter è un uomo coraggioso.

ENRICO

Quanti uomini avete perduto, Fluellen?

FLUELLEN

La perdizione del nemico è stata assai grande, massimamende grande: diamine, per parte mia credo che il Duca non abbia perduto neanche un uomo, se non un tale che a quanto pare sarà giusdiziato per aver rubato in chiesa, un certo Bardolfo. Forse Vostra Maestà lo conosce: la sua faccia è tutta pustole e bitorzoli e forungoli e eruzioni, e le labbra gli soffian sul naso, e questo è come un tizzone ardende, qualche volta bluastro e qualche volta rossastro; solo che – sia lode a Dio – quel naso ora va sul patibolo, e il suo fuoco è spento.

ENRICO

Tutti i colpevoli di siffatti reati dovranno fare la stessa fine. Vi ordiniamo espressamente che nelle nostre marce attraverso il paese nulla sia estorto dai villaggi, nulla sia preso senza pagare, nessun Francese sia offeso o ripreso con parole arroganti; poiché quando generosità e crudeltà si contendono un regno, è il giocatore più umano che vince la prima mano.

Squilli di tromba. Entra Montjoy.

MONTJOY

Dall’abito saprete chi sono.

ENRICO

Bene dunque, lo so: cos’altro vuoi farmi sapere?

MONTJOY

Ciò che pensa il mio signore.

ENRICO

Di’ tutto.

MONTJOY

Ecco cosa dice il mio re: “Di’ questo ad Harry l’Inglese: anche se sembravamo morti, non facevamo che dormire. La tempestività, in guerra, vale più dell’audacia. Digli che avremmo potuto dargli una lezione a Harfleur, ma non ci è parso saggio incidere il bubbone prima che fosse ben maturo. Ora però recitiamo la nostra parte, e la nostra voce si fa imperiosa. Il Re d’Inghilterra dovrà pentirsi della sua follia, rendersi conto della sua debolezza, ed ammirare la nostra pazienza. Invitalo pertanto a preventivare un riscatto che dovrà esser commensurato ai danni da noi subiti, ai sudditi che abbiamo perduto, all’umiliazione che abbiam dovuto ingoiare: se tutto questo dovesse ripagarcelo a peso, la sua pochezza ne sarebbe schiacciata. Per le nostre perdite il suo tesoro è troppo povero; per il sangue sparso dai nostri, le scarse leve del suo regno non bastano a compensarlo; quanto all’affronto subìto, anche se lui in persona s’inginocchiasse ai nostri piedi, sarebbe una meschina e inutile soddisfazione. A questo aggiungerai la nostra sfida; e a mo’ di conclusione, dirai ch’egli ha tradito i suoi uomini, la cui condanna è ormai pronunciata”. Questo vi dice il mio signore e padrone, e qui ha termine la mia missione.

ENRICO

Come ti chiami? Il tuo rango lo conosco già.

MONTJOY

Montjoy.

ENRICO

Il tuo incarico l’hai assolto degnamente. Torna sui tuoi passi,

e di’ al tuo re che per adesso non lo vengo a cercare.

Preferirei continuare la marcia su Calais

senz’altri impedimenti; giacché, a dire il vero,

anche se è poco saggio far di queste ammissioni

a un nemico abile che sa sfruttare il terreno,

la mia gente è debilitata dalle malattie,

le nostre file sono assottigliate, e i pochi rimasti

non valgon molto di più di altrettanti Francesi;

quando stavano bene, araldo, lasciatelo dire,

credevo che un sol paio di gambe inglesi

fosser più in gamba di almeno tre Francesi. Dio mi perdoni

per queste vanterie! Sarà l’aria di Francia

a insufflarmi la boria: son pronto a fare ammenda.

Va’ dunque, di’ al tuo padrone che io son qui:

il mio riscatto è questo mio corpo fragile e indegno,

il mio esercito un pugno di uomini fiaccati dal male;

eppure digli, al cospetto di Dio, che tireremo dritti

quand’anche il Re di Francia, o altro vicino di tal fatta,

si provasse a fermarci. Tieni, Montjoy: per la pena che ti sei dato.

Va’ a dire al tuo padrone di pensarci due volte.

Se ci lasciate passare, passeremo. Se vi provate a impedirlo,

la vostra terra fulva la tingeremo di rosso

col vostro sangue. Montjoy, fa’ dunque buon viaggio.

È tutto qui il succo della nostra risposta:

ora come ora, non cerchiamo battaglia;

ma, ora come ora, non c’impegnamo a evitarla.

Di’ questo al tuo padrone.

MONTJOY

Glielo riferirò. Ringrazio Vostra Altezza. [Esce.]

GLOUCESTER

Spero che non ci attacchino proprio ora.

ENRICO

Siamo nelle mani di Dio, fratello, non nelle loro.

Marciamo fino al ponte, che sta per calare la notte.

Ci attenderemo oltre il fiume,

e domattina riprenderemo la marcia. Escono.

ATTO TERZO – SCENA SETTIMA

Entrano il Connestabile di Francia, il Signore di Rambures, Orléans, il Delfino e altri.

CONNESTABILE

Ma va’ là! La mia è la miglior armatura del mondo. Che aspetta a far giorno?

ORLÉANS

Avete un’armatura di prim’ordine; ma al mio cavallo dovete render giustizia.

CONNESTABILE

È il miglior cavallo d’Europa.

ORLÉANS

Ma il giorno non arriva mai?

DELFINO

Mio Duca d’Orléans e voi, Gran Connestabile, è di cavalli e armature che state parlando?

ORLÉANS

Nessun principe al mondo ne è meglio equipaggiato di voi.

DELFINO

Che notte interminabile! Non cambierei il mio cavallo con nessun altro quadrupede fornito di zoccoli. Ça, ha! Rimbalza da terra come se al posto delle budella avesse palle da tennis: le cheval volant, il Pegaso, avec les narines de feu! Quando salgo in arcione mi par di volare come un falco. Esso fende l’aria, e se mai sfiora la terra questa si mette a cantare: perfino il corno dei suoi zoccoli è più musicale del flauto di Hermes.

ORLÉANS

Ha il colore della noce moscata.

DELFINO

E il calore dello zenzero. Una creatura degna di Perseo: esso è pura aria e fuoco, e i meno volatili fra gli elementi, la terra e l’acqua, in lui non si vedono mai, altro che nella sua paziente immobilità quando il cavaliere lo monta. Lui sì che può dirsi un cavallo, ogni altra cavalcatura non è che una bestia.

CONNESTABILE

In effetti, mio signore, è un cavallo incomparabile, assolutamente superbo.

DELFINO

Il principe dei palafreni: il suo nitrito è come il comando d’un monarca, e il suo portamento costringe all’omaggio.

ORLÉANS

Basta, cugino.

DELFINO

Ah no! L’uomo privo di spirito colui che, dal levarsi dell’allodola sino a quando l’agnello non torna all’ovile, non sa tessere variazioni, e tutte meritate, in lode del mio palafreno. È un tema inesauribile come il mare: cangiate le sabbie in altrettante lingue eloquenti, e il mio cavallo darà argomenti a ciascuna di esse. E un soggetto degno della conversazione di un sovrano, e degna cavalcatura del sovrano dei sovrani; e il mondo conosciuto, al pari di quello inesplorato, dovrebbe interrompere ogni sua faccenda per starlo a ammirare. Una volta composi un sonetto in suo onore che cominciava così: “O prodigio di natura…”

ORLÉANS

Così comincia anche un altro sonetto, dedicato a un’amante.

DELFINO

Dev’essere stato un’imitazione di quello da me composto pel mio destriero: il mio cavallo è la mia amante.

ORLÉANS

La vostra amante è brava a portare in sella.

DELFINOSolo me, però: che è quanto di meglio si possa dire di un’amante perfetta, buona e fedele.

CONNESTABILE

Sarà. Però ieri mi è parso che la vostra amante vi abbia perfidamentte scaricato.

DELFINO

Volete forse parlare della vostra?

CONNESTABILE

La mia non portava briglie.

DELFINO

Oh, allora era un’amante docile, e non più giovane, e voi ve la montavate come un fante d’Irlanda, a gambe nude e senza le nostre brache francesi.

CONNESTABILE

Si vede che v’intendete d’equitazione.

DELFINO

Appunto per questo mi permetto un consiglio: uno che cavalca così, senza certe precauzioni, rischia di cascare in qualche brutto pantano. Preferirei aver per amante il mio cavallo.

CONNESTABILE

Io, come amante, preferirei una giumenta.

DELFINO

T’assicuro, Connestabile, che la mia amante non porta la parrucca.

CONNESTABILE

Se la mia amante fosse una troia potrei vantarmene esattamente così.

DELFINO

“Le chien est retourné à son propre vomissement, et la truie lavée au bourbier”: per te tutto fa brodo.

CONNESTABILE

Però io non mi servo del mio cavallo come amante, e non vado citando proverbi a sproposito.

RAMBURES

Gran Connestabile, l’armatura che ho visto stasera nella vostra tenda, di cosa è costellata? Sono stelle o soli?

CONNESTABILE

Stelle, signore.

DELFINO

Qualcuna di esse, spero, cadrà domani.

CONNESTABILE

E tuttavia il mio cielo saprà ben farne a meno.

DELFINO

Può darsi: non poche di esse son davvero superflue; fareste più bella figura se ne perdeste qualcuna.

CONNESTABILE

Esattamente come il vostro cavallo, sovraccarico di lodi. Trotterebbe altrettanto bene se faceste smontare qualche vanteria.

DELFINO

Magari potessi caricarlo delle lodi che merita! Ma quand’è che si fa giorno? Domani mi farò una cavalcata di un miglio, e il mio cammino sarà lastricato di facce inglesi.

CONNESTABILE

Vorrei poter dire la stessa cosa, ma non vorrei esser io, cammin facendo, a perdere la faccia. Ma non vedo l’ora che venga il mattino: ho una gran voglia di dare addosso agl’Inglesi.

RAMBURES

Chi rischia una scommessa? lo farò venti prigionieri.

CONNESTABILE

Prima di prenderli, sarete voi stesso a rischiare.

DELFINO

È mezzanotte, Vado ad armarmi. Esce.

ORLÉANS

Il Delfino non vede l’ora che spunti il giorno

RAMBURES

Non vede l’ora di mangiarseli, gli Inglesi.

CONNESTABILE

Credo proprio di sì: ma non prima d’averli uccisi…

ORLÉANS

Sulla bianca manina della mia bella, è un principe valoroso.

CONNESTABILE

Giurate piuttosto sul suo piedino, così il giuramento lei se lo può mettere sotto i piedi.

ORLÉANS

È semplicemente il gentiluomo più intraprendente di Francia.

CONNESTABILE

L’intraprendenza è fare: e lui ha sempre l’aria di darsi da fare.

ORLÉANS

Ch’io sappia, non ha mai fatto del male a una mosca.

CONNESTABILE

Non ne farà neppure domani: così tale reputazione è salva.

ORLÉANS

A me risulta che è un valoroso.

CONNESTABILE

Risulta anche a me: me l’ha detto uno che lo conosce meglio di voi.

ORLÉANS

E chi è?

CONNESTABILE

Lui stesso, diamine! Mi ha anche detto che non gl’importava che si sapesse.

ORLÉANS

Non occorre dirlo: lui non nasconde la fiaccola sotto il moggio.

CONNESTABILE

Affé mia, signore, vi assicuro che non è così: le sue virtù non le ha mai viste nessuno, a parte il suo staffiere. Il suo valore è un falcone incappucciato: scopritelo, e prende il volo.

ORLÉANS

“Malignità e maldicenza van sempre a braccetto”.

CONNESTABILE

Rispondo per le rime: “L’amico adulatore è sempre in difetto”.

ORLÉANS

Ed io ribatto con un altro proverbio: “Date al diavolo ciò che è del diavolo”.

CONNESTABILE

E bravo! Avete rifilato al vostro amico la parte del diavolo. E io miro al centro di quel proverbio: “Al diavolo il diavolo!”

ORLÉANS

In fatto di proverbi sarà difficile tacitarvi: “Lo sciocco non sa tenere la bocca chiusa”.

CONNESTABILE

Mi avete chiuso la bocca!

ORLÉANS

Non è la prima volta che vi metto a tacere.

Entra un messo.

MESSO

Gran Connestabile, gli Inglesi sono a millecinquecento passi dalle vostre tende.

CONNESTABILE

Chi ha misurato il terreno?

MESSO

Il Signore di Grandpré.

CONNESTABILE

Un gentiluomo valoroso, di grande esperienza. Se almeno facesse giorno! Ah, quel povero Harry d’Inghilterra! Al contrario di noialtri, non smania certo per la luce dell’alba.

ORLÉANS

Che razza di sciagurato, di sventato, questo Re d’Inghilterra, che se ne va a tentoni, con quegli scervellati dei suoi, in posti così fuori mano e a lui sconosciuti.

CONNESTABILE

Se questi Inglesi avessero un po’ di cervello, se la darebbero a gambe.

ORLÉANS

Ma non ce l’hanno: se le loro teste fossero dotate di un’armatura intellettuale, non ce la farebbero a portare elmi così pesanti.

RAMBURES

Quell’isola d’Inghilterra genera creature di grande coraggio: i loro mastini hanno un coraggio senza pari.

ORLÉANS

Sciocchi cagnacci, che si buttano ciecamente nelle fauci dell’orso russo, e si fan spappolare la testa come mele marce. Tanto vale chiamar coraggiosa la pulce che osi far, colazione sul labbro del leone.

CONNESTABILE

Giusto, giusto. E gli uomini sono affini ai mastini: partono all’attacco con brutale vigore, ma il cervello lo lasciano alle loro mogli. Fateli abbuffare di carne di bue, caricateli di ferro e d’acciaio, e mangeran come lupi e si batteranno come diavoli.

ORLÉANS

Vero. Solo che questi Inglesi son maledettamente a corto di carne.

CONNESTABILE

E allora domani ci accorgeremo che avran molta voglia di mangiare e nessuna di battersi. Adesso è tempo d’armarsi. Orsù, ci vogliamo muovere?

ORLÉAN

Ora sono le due. Vediamo un po’ – per le dieci, diciamo, un centinaio d’Inglesi a testa li avremo in mano.

Escono.

Enrico V
(“Henry V” – 1598 – 1599)
Introduzione – Riassunto
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Introduzione al teatro di Shakespeare
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