Le allegre comari di Windsor – Atto V

(“Merry Wives of Windsor”  1599 – 1601)

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Le allegre comari di Windsor - Atto V

ATTO QUINTO – SCENA PRIMA

Entrano Falstaff e [monna] Spiccia.

FALSTAFF

Ti prego, cessa le ciance; vai. Io sarò saldo. Questa è la terza fiata; io spero che la fortuna s’alberghi nei numeri dispari. Via, vattene! Dicono che nei dispari c’è una virtù divina, sia al nascere, nei giri della vita, o alla morte. Va’ via!

MONNA SPICCIA

Provvedo alla catena, e mi travaglierò per fornirvi un bel paio di corna.

FALSTAFF

Via, dico, il tempo si consuma, via! Zucca alle nubi e chiappe ballerine. [Esce monna Spiccia.]

[Entra Ford in veste di Rivoletto.]

Salute, messer Rivoletto! Messer Rivoletto, l’affare si decide stanotte o mai più. Voi trovatevi al parco attorno a mezzanotte, alla quercia d’Erone, e vedrete portenti.

FORD

Monsignore, non siete stato ieri da lei, come m’avete detto che avevate acconciato?

FALSTAFF

Io mi portai da lei, messer Rivoletto, come qui mi vedete, da povero vecchio, ma ne tornai indrieto, messer Rivoletto, da povera vecchiarella. Quel cagastecchi di Ford, sempre lui, suo marito, ha in corpo il più affusellato diavolo pazzo di zelo, messer Rivoletto, che mai diresse farnetico. Io vi vo’ dire che egli mi ha massacrato di botte, mentr’ero transfigurato da femmina; perrocché, messer Rivoletto, in questo formato di uomo, io non temo il gigante Golia col suo troncone da tessitore, anche perché io so bene, messer Rivoletto, che la vita l’è tutta un andirivieni di spola. Io ho faccende di prescia ora: venitemi appresso e vi dico tutto, messer Rivoletto. Dal dì che spennavo le oche, facevo forche a le scuole e frustavo le trottole, non ho saputo mai che fosse venir mazzolato, insino a poco tempo fa. Venitemi appresso. Io vi dirò strane cose di questo tristo di Ford, sul quale stanotte sarò vendicato, e la moglie sua io ve la darò in mano. Venitemi appresso. Le strane cose s’han per le mani, messer Rivoletto! Venitemi appresso. Escono.

ATTO QUINTO – SCENA SECONDA

Entrano Page, Shallow e Slender.

PAGE

Venite, venite, staremo accucciati nel fosso del castello finché non vedremo le luci delle nostre fate. Figliolo, ricorda, mia figlia.

SLENDER

O babbo, ci puoi contare. Ho parlato con lei, e noi dua ci abbiamo un motto per ravvisarci l’un l’altro: io m’accosto a lei che veste di bianco e le grido così: “zitta”; lei grida: “mosca!”; e così ci riconosciamo.

SHALLOW

All’anima della finezza! Ma che bisogno c’era del tuo “zitta” o del suo”mosca”? La veste bianca già l’era definizione bastante. Son sonate le dieci ora.

PAGE

La notte è di pece. Lumini e fantasmi le stanno a puntino. Rida il Cielo del nostro spasso! Qui nessuno ha male intenzioni tranne che il diavolo, e quello lo decifriamo dalle corna. Forza in marcia, seguitemi. Escono.

ATTO QUINTO – SCENA TERZA

Entrano madonna Page, madonna Ford e il dottor Caio.

MADONNA PAGE

Messer dottore, mia figlia veste di verde: quando vedete il momento giusto, pigliatela per la mano, via di corsa con lei alla parrocchia, e sbrigate di prescia. Voi entrate prima nel parco, ché noialtre si deve far coppia.

CAIO

Io so cosa avere fare. Adieu. [Esce.]

MADONNA PAGE

Statevi bene, messere. – Mio marito non s’allegrerà nel vedere Falstaff scornato quanto s’incavolerà che il dottore sposi mia figlia. Ma non importa: meglio un poco di riprensione che una vita di crepacuore.

MADONNA FORD

La Nannina dov’è ora? E la sua truppa di fate? E don Ughetto il diavolo gallese?

MADONNA PAGE

Son tutti accoccolati in un fossato ben vicino alla quercia d’Erone, con tutte le fiaccole spente. Le avvamperanno di colpo in viso alla notte nel momento preciso che Falstaff e noi due c’incontriamo.

MADONNA FORD

Uh, questo non può che terrorizzarlo.

MADONNA PAGE

Se non resta terrorizzato sarà certo berteggiato; e se ti resta scosso e confuso, lo stesso sarà sfottuto.

MADONNA FORD

Noi stiamo per smascherarlo proprio di fino.

MADONNA PAGE

Con questi sporchi e i loro arrapamenti

chi li tradisce non fa tradimenti.

MADONNA FORD

È quasi l’ora. Alla quercia, alla quercia!

Escono.

ATTO QUINTO – SCENA QUARTA

Entrano Evans [travestito] e [Guglielmo e altri bambini vestiti da] fate.

EVANS

Sù quei piedini, fatine, sù; e rammentate le vostre parti. Niente paura, mi raccomando! Zù, seguitemi nel fossato. E quando poi vi fazzo il cenno, fate propio come v’ho detto. Zù spiritelli, a zaltelli, a zaltini. Zù co’ piedini, zù co’ piedini.

Escono.

ATTO QUINTO – SCENA QUINTA

Entra Falstaff [travestito da Erone]: ha sul capo una testa di cervo.

FALSTAFF

Il campanile di Windsor ha battuto le dodici. È quasi il momento. Ora i numi di sangue caldo mi assistano! Rimembra, Giove, tu ti sei fatto toro per la tua Europa; Amore t’impose le corna. O amore possente, che per certi rispetti fai d’una bestia un uomo, e per altri, d’un omo una bestia. Tu fosti pure, o Giove, un cigno per amore di Leda. O amore onnipotente, come si trasse propinquo il dio all’apparenza d’un papero! Il primo fallo tu lo facesti in forma di bestia. O Giove, un fallo bestiale! E poi il secondo in un sembiante di pennuto; pensaci un poco, Giove, un fallo da lasciarci le penne! Se ora gli dei si trovano il pepe al culo, che debbono fare i poveri mortali? Quanto a me, eccomi qua, cervo di Windsor, e il più grasso mi credo in tutta la foresta. Dammi una foia bella e fresca, o sommo Giove, sennò chi può biasimarmi se piscierò il mio sego? Oh, eh, chi viene? La mia cerbiatta?

Entrano madonna Ford e madonna Page.

MADONNA FORD

Ser John! Sei tu, cervo mio, mio bel maschione?

FALSTAFF

La mia cerbiatta col codino nero? Che il cielo piova patate ora! Il tuono canti un’aria d’amore, vengano giù per grandine confetti perfumati, e nèvichi mandragore candite! Infùri un turbinìo di toccamenti, ch’io mi scampo qui sotto.

MADONNA FORD

Uh tesoro, c’è monna Page ch’è venuta con me.

FALSTAFF

Spartìtemi come un cervo bracconato, e s’abbia ciascheduna una chiappa mia; io mi terrò per me queste fiancate, le spalle al guardiacaccia di sto sentiero – e le corna le lascio a’ vostri sposi. Ecco l’omo dei boschi, non lo fò bene forse? Non parlo come il cacciatore Erone? Cribbio, Cupìdo alfine l’è un bimbin di coscienza: sa fare risarcimenti. Per quant’è ver ch’io son larva verace, benvenute ambedue!

Suoni di corni all’interno.

MADONNA PAGE

Trista a me, che è questo romore?

MADONNA FORD

Misericordia pe’ nostri peccata!

FALSTAFF

Che domine può essere?

LE DUE DONNE

Scappiamo via, scappiamo! Fuggono.

FALSTAFF

Io credo che il demonio non mi voglia dannato, ei teme il grasso ch’io mi porto drento possa appiccar l’incendio al suo ninferno; o non m’incepperebbe di codesta maniera.

Entrano Evans [travestito come prima, Pistol camuffato da folletto], monna Spiccia nelle vesti di Regina delle Fate, [Anna Page e] bambini vestiti da fate [con fiaccole in mano].

MONNA SPICCIA

O fate, nere, grigie, verdi e bianche,

o voi che folleggiate al chiar di luna,

e voi ombre notturne, orfane eredi

del destino immutabile,

fate l’uffizio ed il dovere vostri.

Folletto banditore, il tuo bando alle fate.

PISTOL

Orecchio alla mia chiama! Statevi zitte,

quisquilie d’aria. Grillo, salterai

ne’ camini di Windsor; e dove troverai

braci scoverte e focolari zozzi,

a pizzicotti falle blu, le sguattere,

come mirtilli: la nostra radiosa

regina odia le sciatte e la sciamanneria.

FALSTAFF

Sono le fate; chi gli parla è morto.

Ed io mi tappo gli occhi e mi fò quatto:

nessun mortale deve vedere ciò che fanno.

[Si stende in terra a faccia sotto.]

EVANS

Dov’è Pallino? Corri, e dove trovi

qualche ragazza che, prima della sua nanna,

ha detto le preghiere tre volte, éccita forte

gli organi suoi fantastici, e che poi dorma il sonno

profondo dell’infanzia senza cure.

Ma le altre, che fan nanna senza stare a pensare

ai peccatucci loro, giù co’ tua pizzicotti

su braccia e gambe e schiene e spalle e fianchi e stinchi.

MONNA SPICCIA

All’opra, all’opra!

Elfi, frugate attorno, dentro e fuori

il castello di Windsor; voi folletti

spargete buona sorte su ogni santa

stanza di questa rocca; ch’essa duri

sana di fatto e sana nel suo compito

insino al giorno del giudizio eterno,

degna di chi la tiene, come questa ne è degna;

ogni seggio dell’Ordine state attenti a forbire

con essenze di balsamo e ogni fiore prezioso;

ogni ben fatto stallo, ogni scudo e cimiero,

ogni leal blasone sian sempre benedetti;

e voi fate dei campi, state attente a cantare

di notte tutte in cerchio, come il cerchio

della Giarrettiera: l’impressione sull’erba

fate che resti verde, e più fertile e fresca

a vedersi di tutto quanto il prato;

e scrivete Honi soit qui mal y pense

con fiori porporini e ciuffi di smeraldo,

petali blu e bianchi somiglianti ai zaffìri,

alle perle ed ai ricchi ricami affibbiati

sotto il ginocchio chino de’ belli cavalieri:

perché come lor cifra le fate usano i fiori.

Disperdetevi, sù; ma sino all’ora una

non scordiamo la nostra farandola rituale

torno torno la quercia d’Erone il cacciatore.

EVANS

Prego, serrate le mani, e ponetevi in ordine;

e venti luccioline ci faran da lanterne

tutt’intorno a quest’albero per guidare la danza.

Ma fermi, annuso un uomo della terra mediana!

FALSTAFF

Uh, i numi mi difendano da sta fata gallese! Ché questa mi stramuta in un etto di cacio!

PISTOL

Verme vile, tu fosti ammalocchiato

fin da quando nascesti.

MONNA SPICCIA

E voi toccàtegli

le punte delle dita col foco probativo:

s’egli è casto, la fiamma rincula e s’abbioscia

senza fargli del male; ma se costui trasale

la sua è carne d’un cuore cattivo.

PISTOL

Per san Cucù, proviamoci.

EVANS

Beh, s’appiccia sto legno?

[Lo bruciano coi lucignoli.]

FALSTAFF

Ah, eh, eh!

MONNA SPICCIA

È corrotto, corrotto e nelle voglie indegno!

Addosso, fate! Un canto di sberleffo

e volteggiate a ritmo di punzecchio.

Canzone.

Che vergogna, sognar peccati,

quale orrore, stare allupati!

Foia è solo sangue che bolle

appicciato da voglie sconce

nutrite in cuore, fiamme alzate

da smanie che soffiano, sempre più alte.

Ninfe, a gara e con durezza

pinzatelo ben per la sua sconcezza;

Pìccalo, scòttalo, giralo torno torno

sinché luna, stelle e lumi si smorzino.

Mentre cantano questa canzone, le fate punzecchiano Falstaff. Il dottor Caio entra da un lato e si porta via una fata in verde; Slender arriva dall’altro e rapisce una fata in bianco; e Fenton spunta e si cucca l’Annetta Page. Suoni di caccia nascon da dentro. Tutte le fate scappano via. Falstaff si toglie la testa di cervo e si solleva.

Entrano Page, Ford, madonna Page e madonna Ford.

PAGE

Ehi, non scappare! Io credo che stavolta

t’abbiam beccato. E che, non c’eran altri

che il cacciatore Erone, per farti da ruffiano?

MADONNA PAGE

Sù, ve ne prego, basta berteggiare.

Allora, caro Ser John, che ve ne pare

delle mogli di Windsor? [Indica le corna]

Marito, le vedete?

Dite, che forse queste mezzelune

non vanno meglio in bosco che in castello?

FORD

Allora, signore mio, chi l’è il cornuto adesso? Messer Rivoletto, Falstaff è un gran gaglioffo, un brigante beccaccio; eccole qua le sue corna, messer Rivoletto; e inoltre, messer Rivoletto, di quanto appartiene a Ford egli non s’è goduto che la sua cesta dei panni sporchi, il suo randello, e venti pesoni contanti, che andran ripagati a messer Rivoletto; i suoi cavalli son già sequestrati per questo, messer Rivoletto.

MADONNA FORD

Ser John, c’è andata maluccio: mai che si potesse convenire assieme. Ed io non vi vorrò riprendere più per amante ora, ma sempre io vi terrò per il cervo mio.

FALSTAFF

Io incomincio a capire che m’avete pigliato per ciuco.

FORD

Sì ma anche per bue: qua son le prove, tutt’e due belle e ritte.

FALSTAFF

E codesti qua non sono fate? Io l’ho sospecciato tre o quattro volte, che codesti non erano fate; ma la culpa dell’animo mio, la sorpresa imprevista delle mie facultà, menaron quel grossolano agguato drento una mia ferma fede, malgrado ch’ei si spaccasse li denti contr’ogni misura e ragione, che costoro erano fate. Vedete ora come un uomo di spirito può straformarsi in un babuino, quando ei s’ingaggia male!

EVANS

Ser Cion Falstaff, ponetevi al servizio d’Iddio, lassate le prame vostre e le fate non vi daran pizzicotti.

FORD

Voi dite il vero, don Ughetto lo gnomo.

EVANS

E voi pure, vi preco, lassate stare le vostre geloserie.

FORD

Mai più vo’ diffidar di mia moglie, sinché voi non sarete capace di corteggiarla in buon inghilese.

FALSTAFF

Io mi chiedo, ho forse lasciato il cervello a seccarsi al sole, che gli è mancata materia per premunirsi contro sì pacchiana soperchieria? O sono anch’io indemoniato da qualche caprone gallese? Dovrò calzarmi in capo uno scuffiotto di flanella? Ei non mi resta che lasciarmi strozzare da un tocco di cacio tostato.

EVANS

Toh, il casio non esser puono per farne purro; l’addomine vostro l’è tutto purro.

FALSTAFF

“Casio” e “purro”? Avrò vissuto tant’anni per farmi pigliare pei fondelli da uno che fa frittelle dell’inglese? Questo l’è già sufficiente a segnare il guasto d’ogni lussuria e d’ogni notturna deambulazione per tutta la monarchia.

MADONNA PAGE

Andiamo ora, Ser John, ma davvero credete che il diavolo poteva farvi appetibile ai nostri occhi, anche a voler scacciare a fiaccacollo la virtù dai nostri cuori, e a volere darsi all’inferno senza scrupolo alcuno?

FORD

Ma via, un salsiccione come voi? Una balla di capecchio?

MADONNA PAGE

Un uomo gonfiato?

PAGE

Vecchio, infreddato, cisposo, e d’una ventresca smisurata?

FORD

Ed uno maldicente come Satanasso?

PAGE

E morto di fame come Giobbe?

FORD

E assatanato come la moglie sua?

EVANS

E dato a fornicherie, e ad osterie, e al fino cotto, e al fino rozzo, e all’itromele, e a starsene a pere, e a ciurar forte, e a far pesci morti, e a scazzi e schiamazzi?

FALSTAFF

Bene, sono il vostro bersaglio: tenete il coltello pel manico. Io sono stracco. Non ce la fò più a controbattere questo bifolco gallese. Io son calato più a fondo della più fonda ignoranza. Fate di me quel che volete.

FORD

Corpo del diavolo, sere, vi meneremo a Windsor da un certo messer Rivoletto, dal quale voi avete tratto certa moneta e al quale volevate far da ruffiano. E io credo che rimborsargli sti quattrini vi darà una bile ben più mordace dei guai che avete patiti.

PAGE

Ma ora, cavaliere, sù col morale: verrai a bere un poncino da me dopo compieta, e allora vorrò che tu ghigni dietro a mogliama che ora ti ghigna drieto. Le dirai che mastro Slender s’è maritato sua figlia.

MADONNA PAGE [A parte]

Su questo v’è dubbio tra i dottori. Se la mi’ figlia è Annetta, a quest’ora è la moglie del dottor Caio.

Entra Slender.

SLENDER

Ah, uh, uh, babbo Page!

PAGE

Figliolo, che cosa è nato? Che ti capita ora, figliolo? Hai tu spacciata la cosa?

SLENDER

Spacciata? Io vo’ che la cosa si sappia tra i migliori lassù nel paese mio! Sennò che m’impicchino, là!

PAGE

Si sappia che cosa, figliolo?

SLENDER

Io venni laggiù a Eton per sposarmi madonna Annetta, e lei non è che uno zuzzurellone forzuto. Se non era ch’io stavo in chiesa io l’arei sbattuto ben bene, o m’arebbe sbattuto lui. S’io non credessi che l’era l’Annetta ch’io non mi possa più rizzare – e invece l’era un garzon di poste!

PAGE

Sull’anima mia, allora ti sei cuccato la fata sbagliata.

SLENDER

Or che occorre narrarmelo? Io lo credo davvero, dacché ho pigliato un moccioso per una mocciosa. E se me lo fussi sposato, per quanto ch’egli vestiva da femmina, io non lo arei voluto.

PAGE

Alle guagnèle, codesto è il tuo cervello di gatta. O non t’avevo io spiegato come raccapezzare la figlia dal modo com’era vestuta?

SLENDER

Io sono ito da quella con l’abito bianco e le ho gridato “zitta! zitta!” e lei ha gridato “e mosca” come Annetta ed io s’era fissati; però non era l’Annetta, era un garzon di poste.

MADONNA PAGE

Mio caro Giorgio, non fartene fracido sù: io sapevo dei vostri apparecchi, io ho voltato mia figlia in verde, e di fatto ell’è col dottore in vicaria ora, e costì sposata.

Entra Caio

CAIO

Dove stare comare Rita? Vacca, m’han fatto fesso: io mi sono sposato un garçon, un garzonaccio, un paysan, vacca boia; un maschiotto; lui non essere Annetta Page; sangue di vacca me han fotuto.

MADONNA PAGE

Ma come, non vi siete cuccata la fata verde?

CAIO

Esatto, la vacca boia! Ed è un racazzo. Vacca, io levare tutta quanta Windsor. [Esce.]

FORD

Strano. Chi s’è cuccata la vera Annetta?

PAGE

Ho un brutto presentimento: qua spunta mastro Fenton.

Entrano Fenton e Anna Page.

Che vuol dire ciò, mastro Fenton?

ANNA

Perdono, padre mio; cara mamma, perdonami.

PAGE

E allora, madamigella, come mai non siete andata con mastro Slender?

MADONNA PAGE

Come mai non se’ ita col tuo dottore, figlia?

FENTON

Così me la soperchiate! Ecco la verità.

Volevate sposarla assai miseramente,

e senza che l’amore fusse assortito bene.

Vero è che lei ed io, promessi a lungo,

ora siamo sicuri che nulla può separarci.

La colpa che ha commessa è sacrosanta,

ed il suo stratagemma perde il nome d’inganno

o di disobbedienza, e non è irriverente,

perché con esso ella evita e allontana

mille ore esecrande e maledette

che le nozze forzate le avrebbero accollato.

FORD

Via, non restate muti e scorbacchiati:

qua non c’è più rimedio. Sono gli stessi cieli

che in amore governano ogni cosa:

moneta compra terre, destino vende la sposa.

FALSTAFF

Ci provo gusto v’eravate ben piazzati per fare centro su me, ma vedo che la freccia vostra v’è tornata nel codrione.

PAGE

Ebbene, se non c’è rimedio! Fenton, Dio ti dia gioia!

Ciò che non puoi schivar, meglio accettato.

FALSTAFF

Ogni sorta di cervi, la notte, vien cacciata.

MADONNA PAGE

Oi, basta coi mugugni. Mastro Fenton,

Iddio vi mandi molte, molte giornate allegre!

Marito mio, che ognuno sen vada a sbisacciarsi

a casa sua, e rida di questo diporto

accanto a un fuoco campagnolo, e voi,

Ser John, assieme a tutti gli altri.

FORD

E sia così. – Ser John, con messer Rivoletto

credo che ancor saprete mantener la parola:

ch’ei dormirà stanotte assieme alla sua sposa. Escono.

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