Sogno di una notte di mezza estate – Atto III

(“A Midsummer Night’s Dream” 1593/1595)

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Sogno di una notte di mezza estate - Atto III

ATTO TERZO – SCENA PRIMA

(Titania giace ancora addormentata.)

Entrano Zeppa, Incastro, Rocchetto, Zufolo, Beccuccio e Agonia.

ROCCHETTO

Ci siamo tutti?

ZEPPA

Eccome! E questo è un posto come Dio comanda per le nostre prove. Questo spiazzo erboso farà da palcoscenico. Questa siepe di biancospino, da spogliatoio. Ed ora reciteremo proprio come davanti al Duca.

ROCCHETTO

Pietro Zeppa!

ZEPPA

Che hai da dirmi, bello mio?

ROCCHETTO

In questa commedia di Piramo e Tisbe c’è della roba che la gente non potrà mai digerire. In primo luogo Piramo, per uccidersi, dovrà tirar fuori tanto di spada. E questo non andrà a genio alle dame. Tu che ne dici?

INCASTRO

Per la Madonna! Avranno una paura cane!

AGONIA

Secondo me, tutto sommato si potrebbe fare a meno dell’ammazzamento.

ROCCHETTO

Ma neanche per sogno! Io il rimedio ce l’ho. Buttami giù un Prologo dove si dice che le nostre spade non faranno del male a nessuno, e che Piramo non s’ammazza sul serio. E poi, perché il pubblico si rassicuri, che io, Piramo, non son Piramo, ma Rocchetto tessitore. Questo toglierà alle dame la paura di dosso!

ZEPPA

E va bene. Ci sarà un Prologo. E verrà scritto in versi di otto sillabe e di sei.

ROCCHETTO

No, meglio due di più. Che sia scritto in versi di otto e di otto.

BECCUCCIO

E le dame non avranno poi paura del leone?

AGONIA

Credo proprio di sì.

ROCCHETTO

Compari, bisogna pensarci bene. Portare – Dio ce ne liberi – un leone fra le dame è la cosa più tremenda del mondo. In verità non c’è uccellaccio rapace più spaventoso del vostro leone vivo. E bisognerà andarci piano.

BECCUCCIO

E allora un altro Prologo dica che non è un leone.

ROCCHETTO

Anzi, bisognerà che venga detto il nome di chi lo recita. E dal collo del leone gli si dovrà vedere mezzo viso. E di lì si dovrà parlare più o meno in questi tendini; “Dame, belle Dame, vorrei che voi”, oppure “vi chiederei” o “vi scongiurerei, di non aver paura, di non tremare. La mia vita per la vostra! Credete che io sia venuto qui a far la parte d’un leone vero? In verità non la passerei liscia. Ma io non sono un leone. Sono un uomo come tutti gli altri” – e a questo punto chi reciterà quella parte dica il suo vero nome, e, chiaro e tondo, che è Incastro falegname.

ZEPPA

E va bene. Faremo così. Ma ci sono altri due intoppi. Il primo è come si farà a portare la luna in una stanza – perché, vedete, Piramo e Tisbe s’incontrano al lume di luna.

INCASTRO

E ci sarà la luna la sera del dramma?

ROCCHETTO

Un calendario, un calendario! Prendete l’almanacco e cercate; la luna, la luna!

ZEPPA

Sì, quella sera ci sarà.

ROCCHETTO

E allora lasciate aperta una finestra della stanza dove ci sarà la recita. E il lume di luna passerà dalla finestra.

ZEPPA

Già. Oppure uno verrà con un fascio di pruni e una lanterna, e dirà che è venuto a sfigurare… a rappresentare il Lume di Luna. E poi c’è un’altra cosa. Nella sala grande ci vuole un muro, perché Piramo e Tisbe – dice la storia – si parlavano attraverso la crepa d’un muro.

INCASTRO

Non ce la farai mai a strascicarci dentro un muro. Ti pare, Rocchetto?

ROCCHETTO

Uno di noi dovrà far la parte del Muro. Basterà impiastrarlo con un po’ di calcina, e d’intonaco, e di malta, e lui sarà il muro. E terrà aperte le dita di una mano – in questo modo – e per quella fessura Piramo e Tisbe bisbiglieranno.

ZEPPA

Si può far così. Allora tutto è a posto. Suvvia, cocchi di mamma, mettetevi a sedere e provate le parti. Piramo, comincia te. Quando avrai finito la battuta vai in quel boschetto. E così faranno tutti gli altri, seguendo il copione.

Entra il Demone (dietro di loro).

DEMONE

Chi sono questi cenciosi bifolchi che stanno qui a sbraitare

vicino alla culla della Fata Regina?

Si sta recitando? Sarò spettatore.

E alla bisogna fors’anche attore!

ZEPPA

Piramo, parla. E tu. Tisbe, vieni avanti.

ROCCHETTO

Tisbe, han gli odiosi fiori dolce olezzo…

ZEPPA

“Odorosi”! “Odorosi”!

ROCCHETTO

… odorosi fiori dolce olezzo.

                E così il fiato tuo, Tisbe diletta.

                Ma taci, odo una voce! Aspetta, aspetta,

                e in un istante torno al tuo cospetto. Esce.

DEMONE

Un Piramo così non ha calcato mai le nostre scene!

(Esce.)

ZUFOLO

Tocca a me?

ZEPPA

Ma sì, per la Madonna, tocca a te! Non hai capito? Rocchetto è andato a vedere un rumore che gli par d’aver sentito. Tra poco sarà di nuovo qui.

ZUFOLO

Piramo radiosissimo, dal volto gilialissimo,

                color di rosa rossa su trionfante pruneto,

                garzoncello gagliardissimo, ed eziandio vaghissimo garzone,

                fido al par di fedelissimo cavallo, che mai è stanco.

                Piramo, c’incontreremo alla tomba di Ninnolo.

ZEPPA

…”alla tomba di Nino”, messere! Ma non è ora che lo devi dire! È la tua risposta a Piramo. Tu stai recitando la parte tutta di seguito – imbeccate e tutto. Entra, Piramo! La tua imbeccata è già passata. Era: “che mai è stanco”.

ZUFOLO

Ah sì! Fido al par di fedelissimo cavallo, che mai è stanco.

Entrano il Demone e Rocchetto, il quale ha una testa d’asino sul collo.

ROCCHETTO

Se così io fossi, bella Tisbe, soltanto tuo sarei!

ZEPPA

Ah, un mostro! Strano! Ci hanno stregato! Ragazzi, pregate! Ragazzi, scappate! Aiuto!

Escono Zeppa, Incastro, Zufolo, Beccuccio e Agonia.

DEMONE

Io v’inseguirò. E vi farò danzare in cerchio! –

per palude, per bosco, per macchia e roveto.

Qualche volta apparirò come cane o cavallo,

sarò verro, od orso scapato, talvolta anche fatuo fuoco.

Latrerò, nitrirò, grugnirò, mugghierò, divamperò.

Come cane o cavallo, come verro, come orso,

come fuoco – ad ogni giro di danza! Esce.

ROCCHETTO

Ma perché scappano? Le solite canagliate per farmi paura!

Rientra Beccuccio.

BECCUCCIO

Oh Rocchetto, come sei mutato! Ma che hai in testa?

ROCCHETTO

Ma cosa vedi? Sai che vedi? La testa d’asino che sei! (Esce Beccuccio.)

Entra Zeppa.

ZEPPA

Dio ti benedica, Rocchetto. Dio ti benedica. Tu sei trasfigurato! Esce.

ROCCHETTO

Ho capito. Una birbonata. Mi voglion far passare per somaro! Cercano di farmi paura. Ma io di qui non mi muovo, facciano quello che vogliono. Farò due passi su e giù. E mi metterò a cantare. Così vedranno che non ho paura.

(Canta.)

Il merlo dal nero piumaggio,

                il merlo dal becco giallastro,

                il tordo intonato nel canto,

                lo scriccio dallo stridulo fischio…

(Il canto desta Titania.)

TITANIA

Qual angelo mi ridesta dal mio giaciglio di fiori?

ROCCHETTO (canta)

Il fringuello, il passero e l’allodola,

                il grigio cuculo dal monotono canto,

                il cui verso moltissimi uomini intendono

                e non osan ribattere ‘no’…

perché, in verità, chi vorrebbe perder tempo con un uccello tanto sciocco? Chi vorrebbe mai smentire un uccello che grida a perdifiato “cuccu”,”cuccu”!

TITANIA

Ti prego, dolce mortale, ripeti il tuo canto.

L’orecchio mio s’è invaghito delle tue note

così come l’occhio è ammaliato dalle tue fattezze.

E la potenza delle tue virtù incomparabili è tale

che, fin dal primo sguardo, devo dire, anzi giurare, che t’amo tanto!

ROCCHETTO

Madama, mi sa che abbiate scarso motivo per tutto questo. È proprio vero che di questi tempi ragione e amore si fan poca compagnia. Ed è un peccato che qualche buon vicino non faccia qualcosa per riconciliarli… Al momento opportuno so parlar fino, eh?

TITANIA

Saggio tu sei quanto sei bello.

ROCCHETTO

Né l’uno né l’altro. Ma se avessi tanto sale nella zucca da tirarmi fuori da questo bosco, ne avrei quanto ne basta!

TITANIA

Non devi desiderare d’uscir da questa selva.

E qui, di fatto, rimarrai – che tu lo voglia o no.

Io non sono uno spirito da poco;

l’Estate mi vien sempre ad ossequiare.

Ed io davvero t’amo. Perciò verrai con me.

Metterò delle Fate al tuo servizio, che nel profondo del mare

pescheranno per te cose preziose. E ti canteranno canzoni

mentre starai dormendo sopra un letto di fiori.

Ed io ti spoglierò d’ogni scoria mortale

sì che volar tu possa come etereo elfo.

Fior-di-Pisello! Ragnatelo! Falena! Seme-di-Senape!

Entrano quattro Fate; Fior-di-Pisello, Ragnatelo, Falena e Seme-di-Senape.

FIOR-DI-PISELLO

Eccomi!

RAGNATELO

Anch’io.

FALENA

Anch’io.

SEME-DI-SENAPE

Anch’io.

TUTTI

Dove si va?

TITANIA

Siate gentili ed ossequiosi con questo gentiluomo.

Precedetelo sulla via saltellando

e fategli capriole davanti agli occhi.

Nutritelo d’albicocche e di lamponi,

d’uva purpurea, di verdi fichi, e more di gelso.

Alle api, rubate per lui favi di miele, e cera

carpite alle lor zampe per far delle candele,

che accenderete agli occhi folgoranti delle lucciole.

L’amor mio deve aver luce quando va a letto e quando si sveglia.

E strappate le ali alle farfalle variopinte e fate dei ventagli

per soffiar via i raggi della luna dai suoi occhi assonnati.

Inchinatevi, elfi, a lui dinanzi, e rendetegli omaggio.

FIOR-DI-PISELLO

Salve, mortale!

RAGNATELO

Salve!

FALENA

Salve!

SEME-DI-SENAPE

Salve!

ROCCHETTO

Fatemi grazia, Vossignoria. Com’è che vi chiamate?

RAGNATELO

Ragnatelo.

ROCCHETTO

Bramo di far meglio la vostra conoscenza, buon Mastro Ragnatelo. E se mi taglierò un dito ricorrerò a voi. E il vostro nome, mio buon Signore?

FIOR-DI-PISELLO

Fior-di-Pisello.

ROCCHETTO

Vi prego, ossequi da parte mia alla Signora Buccia, vostra madre. E a Mastro Baccello, vostro padre. Mio buon Mastro Fior-di-Pisello, anche di voi desidero ardentemente far migliore conoscenza. E il vostro nome, messere?

SEME-DI-SENAPE

Seme-di-Senape.

ROCCHETTO

Buon Mastro Seme-di-Senape, m’è ben nota la vostra pazienza. Quel vigliaccone gigante del Signor Manzo ha divorato molti messeri della vostra casata. Credetemi, più d’una volta i vostri parenti m’han fatto venire i lucciconi. Bramo di conoscervi meglio, buon Mastro Seme-di-Senape.

TITANIA

Su, mettetevi al suo servizio. Accompagnatelo al mio padiglione.

Mi pare che la luna abbia le lacrime agli occhi.

E quando piange, ogni piccolo fiore piange con lei

per qualche violata castità.

Ora legate la lingua al mio diletto

e scortatelo in silenzio. Escono.

ATTO TERZO – SCENA SECONDA

Entra Oberon, Re delle Fate.

OBERON

Mi piacerebbe sapere se Titania è desta.

E chi per primo le apparve al suo risveglio,

per cui adesso delira d’amor folle.

Entra il Demone.

Ecco il mio messaggero. Or dunque, spirito pazzo?

Quali spassi, stanotte, in questo bosco incantato?

DEMONE

Ah, la mia padrona s’è innamorata d’un mostro!

Nei pressi del suo recesso sacro e segreto,

mentre era nell’ora del sonno profondo,

un branco di straccioni – di rozzi artieri –

che sudan per un tozzo di pane nelle botteghe d’Atene,

s’erano riuniti a far le prove d’un dramma

da dedicare al gran Teseo nel dì delle nozze.

Il più balordo zuccone di quella banda di buoni a nulla,

che faceva la parte di Piramo nel dramma,

uscì di scena e s’infilò nel bosco.

Allora io prendo la palla al balzo

e una capocchia d’asino gl’infilo sulla testa.

A questo punto doveva ricever l’imbeccata per rispondere a Tisbe,

ed eccolo che sbuca fuori, il mio commediante.

A quella vista i compagni – quali oche selvatiche

che l’uccellatore nascosto hanno avvistato – o come cornacchie

dal capo bigio che al colpo del fucile, in largo stuolo

gracchiando s’alzano in volo, sbandano,

e pazze si disperdono in cielo – proprio così

fuggono i suoi compari. E un di loro, al nostro scalpitare,

finisce a ruzzoloni e si mette a strepitare;

“All’assassino!” – e invoca soccorso da Atene.

Così, perduta, dalla gran paura, la poca saviezza del cervello,

cose assolutamente insensate ai loro occhi parvero animate.

Ecco che rovi e pruni strappano ad alcun le vesti.

Altri ci lascian maniche e cappelli.

In tal modo io li braccai in preda allo spavento,

e là, del tutto trasformato, il dolce Piramo lasciai.

Allora accadde che Titania si destò

e d’un somaro sùbito s’innamorò!

OBERON

La cosa è riuscita meglio di quanto pensassi!

Ma hai tu poi umettato gli occhi del giovane ateniese

col filtro d’amore, com’io ti comandai?

DEMONE

Lo sorpresi addormentato… e anche questo ho fatto…

E la fanciulla ateniese era al suo fianco.

E al suo risveglio ei certo l’adocchiò.

Entrano Demetrio ed Ermia.

OBERON

Nasconditi! È lui… l’uomo d’Atene.

DEMONE

La dama è lei. Ma lui il giovane non è!

(Stanno in disparte.)

DEMETRIO

Ma perché te la prendi così con chi t’adora?

Sì fiere parole siano pel tuo più fiero nemico!

ERMIA

Mi limito a rampognarti. Ma ben di peggio dovrei fare!

Temo ci sian buone ragioni per mandarti all’Inferno!

Hai trucidato Lisandro addormentato,

e già i tuoi piedi son nel sangue? Allora tuffatici dentro

e trucida anche me! Il sole non fu mai tanto fedele al giorno

quanto era lui con me. M’avrebbe mai abbandonata,

così, in pieno sonno? Crederò piuttosto

che la dura terra si possa perforare

e che la Luna possa infilarsi nel suo centro

e uscire in mezzo agli Antipodi

a far dispetto a suo fratello il Sole, nel pieno del meriggio!

No, non può essere altro; tu l’hai assassinato!

E dell’assassino hai proprio il volto – sinistro e tetro!

DEMETRIO

Dell’assassinato, ho io il volto, e non potrei averlo diverso,

trafitto nel cuore come sono dalla tua efferata crudeltà.

E invece tu – la vera assassina – sei circonfusa di luce e di splendore;

come Venere, lassù, nella sua sfera smagliante.

ERMIA

Che c’entra questo col mio Lisandro? Dov’è egli mai?

Oh buon Demetrio, me lo ridarai?

DEMETRIO

Darei piuttosto la sua carcassa ai cani!

ERMIA

Ma passa via! – cagnaccio tu, cagnaccio randagio! Mi fai

perder la pazienza – a me, che son ragazza mite ed educata. Orsù confessa!

L’hai proprio trucidato? D’ora innanzi

non sarai più noverato fra gli umani!

Dici la verità! Dici la verità! – appunto per amor mio!

Avresti mai osato di guardarlo in viso quando non fosse addormentato?

E l’hai tu dunque ucciso nel sonno? Bella prodezza!

Un serpente, una vipera, non avrebbe fatto lo stesso?

E infatti una vipera lo fece; perché nessun serpente

punse mai con lingua più forcuta della tua!

DEMETRIO

Stai sprecando il tuo furore per un bel malinteso!

Mai mi son macchiato del sangue di Lisandro.

E, per quel che ne so, Lisandro non è morto.

ERMIA

E allora, ti prego, dimmi che sta bene.

DEMETRIO

E se lo dicessi, che mi daresti in cambio?

ERMIA

Il privilegio di non vedermi più.

E ora dalla tua odiosa presenza me ne vado.

Stammi lontano – ch’egli sia vivo o morto! Esce.

DEMETRIO

A che pro inseguirla mentre è fuori di sé?

E dunque qui mi fermo per un po’!

Cresce il peso dell’affanno, se l’insolvente sonno

al dolore il suo debito non paga.

Ma in piccola misura può pagare

se qui mi fermo ad accoglierne l’offerta.

Si distende (e dorme).

(Oberon e il Demone si fanno avanti.)

OBERON

Ma cosa hai fatto? Hai commesso un grosso errore;

stillare il filtro d’amore sulle ciglia d’un fido innamorato!

E a questa tua confusione seguirà certamente

che un qualche amor sincero in falso sia cambiato,

e non già che un amor falso si cambi in veritiero.

DEMONE

Dunque così vuole il destino; per un sol uomo che osserva fedeltà

un milione d’altri uomini tradisce, giurando e spergiurando.

OBERON

Va’, corri per il bosco, più veloce del vento,

e vedi di trovare Elena d’Atene.

Ella è malata d’amore, e pallido è il suo volto

per i tanti sospiri che le asciugano il sangue.

Conducila qui con qualche sortilegio.

Penso io a incantar gli occhi di lui per quando la vedrà.

DEMONE

Vado, vado, guardate come vado!

Più veloce son d’un dardo

che un Tartaro ha scoccato. Esce.

OBERON (spremendo il succo sulle palpebre di Demetrio)

Fiore ch’ebbe purpurea tinta

dalla freccia di Cupìdo,

penetra la sua pupilla.

E quando l’amor suo scorgerà,

dello stesso splendore ella rifulga

di Venere, lassù, nel firmamento.

E se al tuo risveglio ti sarà vicina

chiedi a lei la medicina!

Entra il Demone.

DEMONE

Capitano delle nostre schiere,

Elena è qui, vicino a te.

E il giovine ammaliato per errore

le chiede che remuneri il suo amore.

S’ha a veder questa gran carnevalata?

Dio che pagliacci son questi mortali!

OBERON

Stai in disparte. Il loro clamore

desterà Demetrio.

DEMONE

Ad un’unica fanciulla

ora in due faran la corte.

Questo sì ch’è un bello spasso!

Delle cose vado matto

quando vanno alla rovescia!

(Si tengono in disparte.)

Entrano Lisandro ed Elena.

LISANDRO

Ma perché vuoi tu pensare che per burla ti corteggio!

Scherno e derisione non si manifestano in lacrime.

Vedi com’io piango mentre ti giuro amore!

Fin dal lor nascere sincerità contrassegna i voti miei.

Come posson questi sentimenti a te sembrar dileggio

se il segno della fedeltà portano impresso?

ELENA

Sempre più manifesti la tua ingegnosità nella menzogna.

La fede che uccide un’altra fede è insieme santa e diabolica guerra!

Questi tuoi voti son per Ermia. E vorresti ripudiarla?

Un voto contro un altro perdono peso entrambi.

I tuoi voti per lei, e i tuoi per me, posati sulla stessa bilancia,

divengono entrambi leggeri come vane parole.

LISANDRO

Non avevo giudizio quando le giuravo amore.

ELENA

E neppur ce l’hai ora a ripudiarla.

LISANDRO

Demetrio l’ama, e più non ama te.

DEMETRIO (destandosi)

O Elena, mia dea, mia ninfa, perfetta, divina!

A cosa posso, amor mio, paragonare gli occhi tuoi?

Il cristallo è torbo. Oh come sempre più mi tentano

quelle tue labbra turgide, ciliegie da baciare!

Il bianco puro e gelido delle nevi sulla vetta del Tauro

spazzato dal vento d’oriente, diviene nero corvino

sol che tu levi la mano. Deh lascia ch’io baci

questo principesco candore, questo sigillo di letizia.

ELENA

Oh, oltraggio! Oh, inferno! Vedo che tutti

siete contro di me per vostro diletto.

Se aveste un po’ di garbo, se aveste imparato un po’ di cortesia,

ora non mi maltrattereste così. Non potevate

semplicemente odiarmi – come so che mi odiate –

senza aver concordato anche il dileggio?

Se foste veri uomini, come sembrate in apparenza,

non trattereste in questo modo una nobile fanciulla.

Non fareste voti e giuramenti, non pronuncereste lodi esagerate,

quando poi dal profondo del cuor mi detestate.

Siete rivali, voi due, nell’amore per Ermia,

e siete ancor rivali nel farvi beffe di me.

Bella prodezza, bell’impresa virile,

far bagnare di pianto gli occhi d’una povera fanciulla

con le vostre derisioni! Nessuno, di nobil rango,

oserebbe insultare in tal maniera una ragazza

e metterla a sì dura prova solo per divertirsi.

LISANDRO

Demetrio, il tuo comportamento è crudele. E lo è

perché ami Ermia. E sai che io lo so.

E allora, ben volentieri e di buon cuore,

ecco, dell’amore per Ermia ti cedo la mia parte.

E tu l’amore per Elena lascialo tutto a me.

Elena, che amo ed amerò fino alla morte.

ELENA

Mai beffardi schernitori hanno sprecato tanto fiato!

DEMETRIO

Ma, Lisandro, prenditela pure la tua Ermia!

Se mai io l’abbia amata, ora non l’amo più.

Sol come ospite il mio cuore dimorò presso di lei.

Ora, tornando ad Elena, è tornato a casa sua,

dove vuole restare.

LISANDRO

Elena, ascolta. Le cose non stanno così!

DEMETRIO

Non calunniare, ti prego, una fede che ignori!

E bada cosa rischi. Potresti pagar la calunnia molto cara.

Ma ecco qua l’amor tuo. Guarda, la tua fanciulla s’appressa.

Entra Ermia.

ERMIA

La notte buia, che l’occhio priva della sua facoltà,

ancor più acuisce il senso dell’orecchio.

E dunque, se indebolisce il senso della vista

doppio compenso poi paga all’udito.

Lisandro, non sono gli occhi miei che t’hanno ritrovato

bensì l’orecchio, che alla tua voce m’ha guidato.

Ma perché con tanta scortesia m’abbandonasti?

LISANDRO

Potevo forse non farlo quando è l’amor che urge?

ERMIA

E quale urgenza d’amore potrebbe spinger Lisandro lontano da me?

LISANDRO

L’amore di Lisandro, che non gli dà tregua… ossia

Elena bella, che più la notte ingioiella

di quei lustrini lassù nel firmamento, occhi di luce.

Ma perché mi cerchi? Non potresti capire, ormai,

ch’io t’ho abbandonata perché ti detesto?

ERMIA

Ah tu non pensi ciò che dici. No, non può esser vero!

ELENA

Ecco, fa parte anche lei della congiura!

Or vedo che tutt’e tre si sono uniti

a preparar la beffa a mio disdoro.

Insolente fanciulla! Amica ingrata!

Hai tramato, hai congiurato con loro,

per torturarmi con ignobile beffa?

E le confidenze e le promesse che da buone sorelle

ci siamo scambiate, e l’ore trascorse insieme

quando rimproveravamo al tempo il piè veloce

che volea separarci… Dunque, tutto dimenticato?

L’amicizia dei giorni di scuola, l’infantile innocenza?

Noi, o Ermia, come due dee industriose,

abbiam trapunto coi nostri aghi un unico fiore,

su un unico disegno, assise su un unico guanciale;

entrambe modulando un unico canto, l’una e l’altra in armonia interiore,

come se le nostre mani, i nostri fianchi, le nostre voci, le nostre anime,

appartenessero a un unico corpo. Così crescemmo insieme,

qual doppia ciliegia, divisa in apparenza,

ma gemina in unità; due bei frutti

formati su un unico gambo;

due corpi in sembianza, ma un solo cuore;

unico cuore bipartito, come in araldico stemma,

ad unica persona riferito, e da un unico cimiero incoronato.

Ed ora in due vuoi tu spaccare il nostro amore antico,

unirti a due messeri per beffeggiar la tua povera amica?

Non è cosa degna del tuo affetto, né della tua purezza.

Con me tutte le donne potrebbero per questo biasimarti,

sebbene questa ingiuria io la soffra da sola.

ERMIA

Mi stupiscono queste tue parole addolorate.

Non sono io a schernirti, ma tu me, mi pare!

ELENA

Non hai tu per celia istigato Lisandro a corteggiarmi,

a lodare i miei occhi ed il mio volto?

Non hai tu costretto Demetrio, l’altro tuo spasimante

– che un attimo fa mi respingeva a calci –

a chiamarmi sua dea, sua ninfa, divina e rara creatura,

preziosa, celestiale? Perché dice costui queste parole

alla donna che odia? E perché mai Lisandro

rinnega il tuo amore, che aveva tanto rigoglio nel suo petto,

per dichiararmi – sto dicendo il vero –

tutta la sua passione, se tu non fossi d’accordo?

E se le mie grazie non son pari alle tue,

se corteggiata non sono come te, e come te felice, anzi

infelicissima, per dover amare senz’esser corrisposta,

compiangermi dovresti piuttosto che spregiarmi.

ERMIA

Ma cosa stai dicendo! Non riesco a capire.

ELENA

E allora continua, continua pure così! Fingi d’essere afflitta!

E fammi le boccacce appena volto le spalle.

Strizzatevi l’occhio, voi due. Continuate questo bello scherzo.

Se riuscirete a tirarlo bene in lungo, passerà alla storia.

Se provaste pietà, e aveste un po’ di garbo, o di buone maniere,

non vi prendereste così gioco di me.

Ma addio. Forse in questo ho una parte di colpa.

Morte, o lontananza, porterà rimedio.

LISANDRO

Ma cara Elena, rimani. Accetta le mie scuse.

Amor mio, vita mia, anima mia, Elena bella!

ELENA

Ma bene!

ERMIA

Tesoro mio, non beffeggiarla così.

DEMETRIO

Se lei non ce la fa con le suppliche, io posso costringerti!

LISANDRO

Tu non puoi costringermi più di quanto ella sappia supplicare.

Le tue minacce non han più forza delle sue vane preghiere.

Elena, io t’amo. Te lo giuro sulla vita mia.

Su questa vita che a te vorrò immolare

per dar di mentitore a chi afferma il contrario.

DEMETRIO

Io dico che t’amo più di quanto costui ti possa amare.

LISANDRO

Se è questo che sostieni, vieni con me a dimostrarlo.

DEMETRIO

Presto, su!

ERMIA

Lisandro, ma che vuol dir tutto questo?

LISANDRO

Vattene, Etiope!

DEMETRIO

No, no, costui

finge d’agitarsi tanto… (Rivolto a Lisandro.) Sbuffa pure

e infuria come se volessi seguirmi!

Ma non lo fare! Va’, altro non sei che uno smidollato!

LISANDRO

E leva l’unghie da me, gatta, lappola! Vile creatura, lasciami andare!

O ti scaglierò via come una biscia!

ERMIA

Ma perché sei diventato tanto rude? Che cambiamento è questo,

amore mio?

LISANDRO

Amore tuo?

Vattene via, Tartara fuligginosa! Via!

Via, farmaco ripugnante! Via, bevanda disgustosa!

ERMIA

Lisandro, stai scherzando?

ELENA

Certo che scherza! E anche tu!

LISANDRO

Demetrio, io manterrò la parola che t’ho data!

DEMETRIO

Vorrei che quella tua parola fosse un contratto scritto,

visto che un vincolo da nulla basta a trattenerti.

Della tua parola io non mi fido!

LISANDRO

Insomma, cosa vuoi? Che la bastoni? Che l’ammazzi?

È vero che io la odio. Mai, però, potrei farle del male.

ERMIA

E qual male potrebbe esser più grande del tuo odio?

Odio? E perché? Oh povera me! Amore mio, cos’è che devi dirmi?

Che Ermia non sono? Che tu non sei Lisandro?

Io son bella ora com’ero bella prima.

Stanotte mi amavi. E stanotte m’hai abbandonata.

Ma perché abbandonarmi? Oh – Dio ci liberi! –

fai proprio sul serio?

LISANDRO

Te lo giuro, sì… sulla mia vita!

E mi auguravo di non vederti più.

Or dunque puoi mollare ogni speranza, smettere di far domande e avere dubbi.

Siine certa. Niente è più vero. Non è per scherzo

ch’io tanto ti detesto, e invece Elena adoro.

ERMIA

Povera me! (Ad Elena.) E tu, ingannatrice. Tu, bruco di fiore!

Ladra d’amore! Sei dunque venuta, di notte,

a trafugare il cuore del mio amante?

ELENA

Ma bene, bene!

Non hai alcun ritegno, né virgineo pudore?

Non un’ombra di rossore? Vuoi dunque strappare

alla mia lingua gentile risposte incontrollate?

Vergognati, vergognati, “bambolina” bugiardina!

ERMIA

“Bambolina”, eh? Ah ora capisco il gioco!

A quanto vedo, ella ha messo a confronto le nostre due stature,

e s’è vantata d’esser la più alta.

Dunque è con quel suo personale, con quella sua figura sperticata

che sua altezza se l’è fatto suo. Proprio così!

E nella sua stima – di’ un po’ – sei salita tanto in alto

solo perch’io son minuscola e bassa?

Quanto son bassa, dimmi, tu, imbellettato Albero di Maggio?

Quanto son bassa, eh? Non tanto bassa comunque

che l’unghie mie non ti raggiungan gli occhi.

ELENA

Vi prego, messeri, burlatevi pure di me,

ma impedite a costei di maltrattarmi. Io non sono stata mai litigiosa.

Non son malvagia per natura.

Son pavida come una bambina.

Badate che non mi picchi! Voi forse pensate

che essendo lei un po’ più bassa di me

io sia in grado di tenerle testa.

ERMIA

Più”bassa”? Sentite, lo ripete!

ELENA

Mia cara Ermia, non esser così permalosa. Ermia mia,

io t’ho sempre voluto tanto bene.

Ho sempre serbato i tuoi segreti,

mai t’ho fatto un torto – tranne quando,

per amor di Demetrio, io gli dissi

che segretamente eri fuggita in questa selva.

Egli t’inseguì, e, per amore, io lo inseguii.

Ma, da allora, egli m’ha respinta,

ha minacciato di bastonarmi, di disprezzarmi, e perfino d’ammazzarmi.

Ed ora, se tu mi lasci andare,

ad Atene riporterò la mia passione;

e mai più t’inseguirò. Lascia ch’io vada!

E vedi quanto son semplice e sciocchina.

ERMIA

E allora vattene via di qui! Forse qualcuno ti trattiene?

ELENA

Sì, un cuore stolto che lascio qui alle mie spalle.

ERMIA

Che cosa? Lo lasci a Lisandro?

ELENA

No, a Demetrio!

LISANDRO

Elena, non temere. Ella non ti farà alcun male.

DEMETRIO

Ah, questo no! Anche se voi, messere, prenderete la sua parte.

ELENA

Ohimè, quando s’arrabbia divien maligna e astuta.

Era una peste quando andavamo a scuola.

E sebbene sia piccina, è tutta pepe…

ERMIA

E dài con quel “piccina”! Con quel “bassa” e “piccina”!

E voi perché le permettete d’insultarmi così?

Lasciate che l’agguanti!

LISANDRO

Sparisci, nanerottola!

Minuscolo scarto, satura d’inceppante sanguinella,

acino, ghianda!

DEMETRIO

Ti sei fatto troppo premuroso

per lei che ha in dispregio i tuoi servigi.

Lasciala perdere. E scordati d’Elena.

Non prender le sue parti. Se ti provi

a dimostrarle anche un’ombra d’amore

te lo faccio vedere io!

LISANDRO

Ah sì? Ora che lei non mi trattiene più,

séguimi, se ne hai il coraggio!

E si vedrà a chi di noi Elena spetta.

DEMETRIO

Seguirti? Ah no davvero! Andremo fianco a fianco!

Escono Lisandro e Demetrio.

ERMIA

Questo sconquasso è tutto per colpa vostra, signora mia bella.

E non cercate di scappare.

ELENA

Io di voi due non mi fido,

e non rimarrò in questa vostra bieca compagnia.

Se le vostre mani son più veloci delle mie a battagliare

le mie gambe son più lunghe per scappare. Esce.

ERMIA

Sono sbalordita. Non so più cosa dire! Esce.

Oberon e il Demone si fanno avanti.

OBERON

Tutto questo per colpa tua! E sempre ti sbagli –

o forse, briccone, tu lo fai apposta!

DEMONE

Credetemi, Re delle ombre, fu solo per errore.

Non mi diceste forse che il giovane dovevo riconoscere

dalle vesti ateniesi?

E che l’operato mio è senza colpa

lo dimostra che d’un ateniese, appunto, ho stregato le pupille.

E poi se è successo quel che è successo, sapete che vi dico?

La cosa comunque è di mio gusto. Quando c’è confusione mi diverto!

OBERON

Vedi, questi due amanti cercano un luogo dove battersi.

Va’, corri, Robertino, ad oscurare la notte.

Stendi sulla stellata volta celeste

una coltre di nebbia, atra come l’Acheronte,

e svia questi rivali ostinati

così che l’uno l’altro non incontri.

Modella la tua voce su quella di Lisandro

e punzecchia Demetrio con mordaci oltraggi.

E che si tengan lontani l’un dallo sguardo dell’altro,

finché sonno mortale, dai piedi di piombo,

e dalle ali di pipistrello,

non posi sulle loro ciglia.

Spremi allora quest’erba sull’occhio di Lisandro.

Succo è questo di grande efficacia,

in grado, per sue virtù, di rompere l’incanto

e di rendere all’occhio la sua funzione normale.

Quando si desteranno, tutto questo tafferuglio

parrà simile a sogno o a vana visione.

I due innamorati torneranno uniti ad Atene

e la loro fedeltà immutata durerà fino alla morte.

E mentre affido a te questa faccenda

andrò dalla Regina per quel ragazzo indiano.

E l’occhio suo ammaliato libererò

dall’effigie del mostro, e tutto tornerà tranquillo come prima.

DEMONE

Signore delle Fate, queste cose van fatte in tutta fretta,

perché i veloci draghi della notte hanno squarciato i nembi

e già lassù rifulge la messaggera del mattino,

al cui avvento gli spettri vagolanti in giro

ritornano in folla ai cimiteri. Tutti gli spiriti dannati,

sepolti ai crocevia e in fondo ai flutti,

han già fatto ritorno ai loro letti verminosi;

e, per tema che il giorno possa le loro infamie rivelare,

corrono ad esiliarsi da ogni luce

e a far combutta sempiterna con la notte dal nero volto.

OBERON

Ma noi siamo spiriti di natura diversa.

Io vado spesso a caccia con Aurora,

e, simile a guardaboschi, talora batto le selve

fin quando la porta dell’Oriente, rutilante di fuochi,

non s’apra su Nettuno coi suoi raggi benefici,

e i suoi salsi flutti verdi cangi in oro giallo.

Nondimeno, affrettiamoci, senza ulteriore indugio,

ché s’ha da sbrigar la faccenda prima che venga il giorno. (Esce.)

DEMONE

Qua e là, qua e là,

me li vo’ portare qua e là.

Son temuto in campagna ed in città.

Folletto, portali qua, portali là!

Eccone uno.

Entra Lisandro.

LISANDRO

Ma dove sei, spavaldo Demetrio? Su, parla!

DEMONE

Son qui, ribaldo, ed ho sguainato la spada. E tu dove sei?

LISANDRO

In un attimo sarò da te.

DEMONE

E allora seguimi

in luogo più aperto.

(Esce Lisandro, come seguendo la sua voce.)

Rientra Demetrio.

DEMETRIO

Olà, Lisandro! Rispondi.

Fuggiasco, codardo, sei scappato, eh?

Parla! Ti sei infilato in qualche cespuglio? Dov’è che nascondi la faccia?

DEMONE

E tu, vigliacco, che fai? Lo smargiasso con le stelle?

Dici ai cespugli che cerchi la pugna

e poi non ti mostri! Vieni avanti, codardo, moccioso!

Ti prenderò a frustate. È per certo disonorato

chi per te nuda la spada.

DEMETRIO

Ah dunque sei là?

DEMONE

Segui la mia voce. Ci misureremo altrove! Escono.

(Entra Lisandro.)

LISANDRO

Mi precede, e mi sfida.

Arrivo dove parla, e lui se n’è andato.

Il briccone ha la gamba più lesta di me.

L’ho seguito di corsa, ma lui corre di più.

Ed ora mi sono addentrato nel buio pesto,

in un sentiero impervio.

E qui mi voglio riposare. Si corica.

Vieni, dolce mattino!

Sol che appaia il tuo primo grigio lucore

troverò Demetrio, e vendicherò l’oltraggio.

(Si addormenta.)

Entrano il Demone e Demetrio.

DEMONE (Ride.)

Ha, ha, ha! Vieni fuori, codardo!

Girano qua e là sulla scena.

DEMETRIO

Aspettami, se ne hai il coraggio! Ho ben visto

che mi corri dinanzi, saltando qua e là,

e che non osi fermarti a guardarmi in faccia.

Ora dove sei?

DEMONE

Vieni qui. Sono qua.

DEMETRIO

Ma tu ti beffi di me. Me la pagherai cara…

se mai riuscirò a vederti in volto alla luce del giorno.

Ma ora vattene pure! La spossatezza mi costringe

a distendere il corpo su questo freddo giaciglio.

(Si giace.)

Puoi contare di vedermi allo spuntar dell’alba!

(S’addormenta.)

Entra Elena.

ELENA

O notte angosciosa, o lunga notte tediosa,

accorcia le tue ore! Il conforto mi giunga dall’oriente,

che io possa, col giorno, tornarmene ad Atene,

lontana da coloro che aborrono avermi per compagna.

E il sonno, che talvolta serra gli occhi al dolore,

per un po’ lungi mi porti dalla compagnia di me stessa.

(Si corica e) si addormenta.

DEMONE

Soltanto tre? Ne giungerà un’altra!

Due e due di sessi opposti fanno quattro.

Eccola che viene. Arcigna e addolorata.

Un bel briccone questo Cupìdo

che fa impazzire le povere donne!

Entra Ermia.

ERMIA

Mai così stanca, e mai tanto infelice!

Fradicia di guazza, e ferita dai rovi,

non ce la faccio più a trascinarmi avanti.

Le mie gambe non vanno al passo coi miei desideri.

Qui mi riposerò finché non spunti il giorno. (Si corica.)

Che il cielo protegga Lisandro, se dovranno battersi in duello! (Si addormenta.)

DEMONE

Qui sulla nuda terra

dormi profondo.

Il mio farmaco

o dolce amante

ti stillerò

sul ciglio.

(Spreme il succo sulle ciglia di Lisandro.)

E al tuo risveglio

troverai

grande piacere

nel rivedere

gli occhi del primo amore.

Ed il detto campagnolo

“Tocca a ognuno il suo dovuto”

sarà vero al tuo risveglio.

La Gianna sarà di Giannino

e niente andrà per il peggio.

Chi l’ha persa riavrà la cavalla

e tutto finirà per il meglio. (Esce.)

Sogno di una notte di mezza estate
(“A Midsummer Night’s Dream” 1593/1595)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

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