1609/1610 – Cimbelino

(“Cymbelyne”  1609/1610)

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Cimbelino

Introduzione

da ex Dipartimento di Musica e Spettacolo – Università di Bologna

Il Cimbelino di Shakespeare
di Arnaldo Picchi

Dunque si racconta che il re di Britannia Cimbelino e la sua regina sono entrambi in seconde nozze. E che tutti e due hanno un figlio – lui una femmina (Imogene) e lei un maschio (Cloten, che però è considerato un po’ tardo; ed è un giovane violento). Per comprensibili ragioni dinastiche la Regina vorrebbe combinare il matrimonio tra i due ragazzi; sul che il re non avrebbe proprio niente da dire, ma c’è il fatto che Imogene è innamorata di Postumo, il figlio orfano (e povero) di un antico e glorioso generale del regno. Una complicazione da niente, insomma. E infatti lei sposa il suo amato in segreto. Ne consegue la collera del re (istigato dalla Regina), che caccia dalla corte Postumo e chiude lei a chiave. Questa la situazione di partenza; come dire: tutto per il peggio. Per cui la prima scena, che è di una mattina presto, con Postumo che si riveste e lei che non ha neppure la forza di guardarlo, io l’ho chiamata gli Addii. Come per dire: tono minore e malinconico. Poi nel racconto di Shakespeare arriveranno messaggeri da Roma che reclamano tasse non pagate; che i Britanni (perché la Regina non vuole pagare) non pagheranno e comincerà la guerra, dove tutti avranno la propria traversia.

Gli studiosi che si sono interessati dell’opera – s’intende, da lettori – sono propensi a credere che in Cimbelino principale sia proprio il racconto della guerra tra i Britanni e Roma (Melchiori, Boitani ecc.); per altri (p.es. Baldini) si tratterebbe invece solo di una cornice. Si discute cioè se per prima vada considerata la peripezia di Imogene, o se è più conveniente per la comprensione seguire lo scenario di guerra, le separazioni, le battaglie, gli sconfitti, i riconoscimenti e la pace finale. Ora, si dica quel che si vuole, è quasi automatico pensare alla storia d’amore e ai suoi oltraggi come allavicenda prima e vedere poi il resto come fondo (e d’altra parte sappiamo che in Inghilterra, all’epoca della Restaurazione, di questo Shakespeare circolava non l’originale ma solo un rifacimento intitolato The Injured Princess or The Fatal Wager– e cioè La Principessa oltraggiata ovvero La Scommessa fatale). E per questa scelta si possono avere mille giustificazioni. Soprattutto se si pensa alla eleganza e facilità della novella II,9 di Boccaccio (Storia di Bernabò, di Zinevra e di Ambrogiuolo) che Shakespeare ha incorporato e intrecciato (sia pure passando forse per una versione laterale, la Frederyke of Jennen) alle notizie leggendarie dell’antica Britannia che prendeva da Holinshed o da Geoffrey of Monmouth. Cacciato da Cimbelino Postumo arriva a Roma, dove incontra un gruppo di gentiluomini che discutono simposialmente sull’infedeltà delle donne; un’infedeltà che ritengono costituzionale. E qui con uno di questi, che si chiama Iachimo, finisce per giocarsi la propria compagna – oro contro l’anello di diamanti che è l’ultimo dono di lei. Scommette sulla virtù della moglie. E si lascia ingannare quando l’altro gli porta prove apparenti dell’avvenuto adulterio; per cui impazzisce di gelosia e ordina al suo servo rimasto in Britannia di punire lei nel modo più duro. Ma poi, che sia questo l’intreccio da tener d’occhio ce lo chiedono la regalità e la grandezza d’animo di Imogene, rimasta sola in una corte in cui è oggetto dei brutti propositi di molti. Così, quando Melchiori ci raccomanda di stare attenti e di vedere come primario lo scenario storico, premendo sul fatto che è il racconto di una guerra che si svolse al tempo della presenza di Cristo nel mondo, nel tempo cioè in cui l’uomo fu riscattato, nonostante questo resta difficile seguirlo. Relegare Imogene in secondo piano sembra una profanazione. E’ però un fatto che l’incrocio dei due scenari è un po’ macchinoso. Burgess ritiene Cimbelino “il più singolare miscuglio di tutto Shakespeare”, gli trova difetti di struttura (“Figure tratte da Holinshed e un racconto tratto da Boccaccio sono improbabili compagni di letto”). Baldini osserva che vi abbondano passaggi convenzionali; ci fa la lista dei personaggi che ritiene legnosi, sbiaditi (Postumo, Iachimo, Belario, Arvirago, Guiderio; e finisce per aggiungervi lo stesso Cimbelino). C’è solo Imogene, dice (“cui pure il solito travestimento obbliga a mosse forzate”), a essere degna delle grandi figure femminili di Shakespeare. Ma poi, entrando registicamente nel testo, vedendolo vivere con la vita degli attori, si comincia a sospettare che Melchiori forse qualche ragione ce l’ha. Sì – è possibile: l’esistenza e l’etica individuali sono certo inestricabilmente legate ai nodi della storia e alla presenza del trascendente nella vita umana. Cimbelino è allora il vecchio nascosto come una belva nel fondo buio di questa storia, e muove gli eventi nella sua cecità; con dietro di sé quella terribile Regina, che gli dà catena, o gliela accorcia. Forse sono le antiche malvagità, in cui non abbiamo avuto parte, che continuano a franarci addosso.

C’è da dire però che anche questo del primo o secondo intreccio appare presto come un fatto marginale. Molto più importante si dimostra invece arrivare a vedere le facce di queste persone da più vicino possibile. E sono facce che mutano come quando si sogna. Appena inclinando la testa Imogene improvvisamente si trasforma nella Bella Addormentata (è quando nella notte nella sua stanza penetra Iachimo, il nemico), o in Biancaneve (quando nel bosco il servo Pisanio deve ucciderla, e invece la risparmia e la fa vestire da uomo e cammina cammina lei finisce nella casa dei sette nani, che qui però sono tre cacciatori), o in Giulietta (quando è creduta morta e posta accanto a Cloten decapitato, e lei lo crede Postumo e si dispera; ma poi la tragedia è impedita e si prende un’altra strada). E’ però un fenomeno che riguarda tutti i personaggi: nella serrata situazione della scommessa abbiamo il tempo di vedere la faccia di Postumo sparire sotto quella di Otello (il cui onesto Iago, che qui è appunto Iachimo, ha però un carattere meno livido, e una vena di cupa angelicità); nella sua furia iniziale Cimbelino affronta Imogene come Lear Cordelia; proclamando i suoi propositi di vendetta Cloten in III,5 diventa il Chiron di Tito Andronico, e anche sua madre viene da là, e a volte ha la stessa maschera della Regina dei Goti. E lasciamo perdere le facce cancellate, i travestimenti, il fatto che Imogene, in abiti maschili come Julia nei Due gentiluomini di Verona, o Viola nella Dodicesima notte, non sia riconosciuta dal marito (che addirittura la colpisce scambiandola per un servo) e neppure dal proprio padre. E via allora anche le simmetrie, le corrispondenze: Postumo grida contro la slealtà delle donne e Imogene contro i giuramenti traditori degli uomini; lei fugge stanchissima e affranta nel bosco e stanchissimo e disperato Cloten la insegue, entrambi ragazzi abbandonati a se stessi. Iachimo è l’ingannatore, come dicevo, ma sa pentirsi e sa pentirsi anche Cimbelino, guarda, e perdona col sovrano perdono del re. Io non ubbidisco, protesta Pisanio all’ordine di Postumo di uccidere Imogene e Ubbidisci! gli impone subito dopo lei per quello stesso ordine.

Lascio perdere tutto questo. Eppure sono legami ipnotici, perché Imogene (soggetto supremo di Cimbelino, qualcuno dice, il più alto punto di riferimento per gli attori) è tanto la grazia che si muove nel mondo, un angelo del cielo, che una donna dura, e fors’anche opportunista; Postumo è un innamorato che ci mette cinque minuti, in una discussione tra sconosciuti, per arrivare a scommettersela; e Cloten, di certo volgare, e forse anche stolto, sa vivere per lei una idea di amore tanto terribile da spingerlo in solitudine in una caccia malvagia, in cui peraltro perderà la vita, con la temerarietà e la purezza di un Parsifal.

Poi, nei momenti di massima cupezza, o scoramento, il racconto si volta e in modo inatteso sorride; le simmetrie sono ipnotiche, sono come rime, ritornelli, un barbaglio di speranza, o di bonarietà drammaturgica; o anche sinistra, autoimposta, forse un inganno. In III,6, quando la Regina esulta all’idea che suo marito possa morire di collera e di malattia quella stessa notte (Possa non vedere il giorno di domani, grida), e si cancelli così tutta la sua discendenza, compresa Imogene, in modo che possa fare del proprio figlio il re, e restare padrona assoluta di tutto, dei veleni e dell’odio, dei luttuosi palazzi di Schinkel, diremmo, che ha attorno, non appena lei è uscita ecco suo figlio Cloten buttarsi in ginocchio ed esultare nel comprendere quanto invece lui, Imogene, l’ami

perché è bella e regale, la più squisita dama tra tutte le dame, tra tutte le donne. Di tutte è il meglio e di questo meglio è fatta, per questo le supera tutte e per questo io l’amo

salvo poi ricordarsi che lei ha pur sempre scelto quell’altro; per cui la punirà, scannerà Postumo e la violenterà sul suo corpo, e poi la riporterà a corte, da dove lei è fuggita, a pugni, e a calci in camera sua.

Sappiamo che come al suo solito Shakespeare scrisse questo pezzo con un occhio agli incassi. Ma a quel tempo le cose per la sua compagnia non andavano troppo bene, era moda preferire la concorrenza, Beaumont e Fletcher. Il tempo era passato, gli antichi proclami, le commedie dialettiche erano ora inservibili; merce scaduta. Ma sappiamo anche che non sapeva trattenersi dal profittare delle nuove mode. Ora, per questo nuovo pubblico di cambiata intelligenza, e ritegno, o smagato, e di bocca buona, i vecchi eroi erano stracci, abiti smessi appesi al chiodo, roba per i cenciaioli. Ogni tanto càpita. Se si voleva farsi sentire da lui bisognava servirgli quello che voleva, una cosa semplice, un’avventura e un lieto fine. Basta con la severità; una cosa facile da seguire, scorrevole, ricongiungimenti finali, baci. Una fiaba? Con trabocchetti, allora, bassi fondali e maree. Sì; ma anche – e per forza – corridoi laterali, un percorso in quella che era ormai la galleria degli spettri. Cimbelino è anche questo, un campionario di vecchie trovate, quelle che un tempo tutti avevano amato e che ora non valevano più; una raccolta di ritratti, una rassegna di parti d’attore. Che sia dunque una fiaba, e che dentro ci siano tutti i vecchi compagni. E quindi gioielli, tirate ovvie, costumi rimessi a posto, vecchie facce, riciclaggio di fondi di cassetto, un po’ di disinganno e un ossequioso disprezzo. Ossequioso; perché il botteghino è sempre il botteghino. Come un omaggio avvelenato, un mazzo di fiori che ad annusarlo si perde la testa, un bouquet fatto di gigli, rose ed elleboro. Cimbelino è un lavoro di montaggio e di intarsio, e una collezione di ricordi, di richiami. Facce false che sbocciano sui rami invernali come fiori. Composto attorno al 1610, è il terz’ultimo lavoro di Shakespeare, dopo ci saranno solo il Racconto d’inverno, la Tempesta e le penne spezzate, e una tranquilla vita in campagna.

Riassunto

È così scombinata, la trama di Cimbelino, che molti critici nel corso dei secoli hanno protestato che non fosse frutto della mano di Shakespeare, come se un grandissimo poeta non potesse concedersi, a volte, al mestiere. Infatti è il mestiere teatrale a farla da padrone in questo testo della fase conclusiva della creatività shakespeariana: perché Cimbelino richiama a orecchio molti temi del canone, da Romeo e Giulietta a Dodicesima notte; fino a Otello, dal momento che tutto ruota intorno alla gelosia. Pilotata da un italiano, ovviamente: lo Iago in sedicesimo Iachimo. Siamo nel pieno dell’età augustea e la vicenda si svolge tra Roma e la Britannia di cui Cimbelino, appunto, è re. Sullo sfondo c’è la contesa fra romani e britanni, con questi ultimi che, dopo le sconfitte subite da Giulio Cesare, si proclamano pronti a riconquistare libertà e autonomia anche a costo di muovere guerra a Roma: un contorno politico costruito ad arte per solleticare il giovane nazionalismo britannico (Giacomo I, salito al trono nel 1603 dopo la morte di Elisabetta, aveva riunificato i regni d’Inghilterra e di Scozia). Ma c’è da giurare che il pubblico dell’epoca impazziva per la trama amorosa, con Iachimo che minaccia (con la menzogna) la fedeltà coniugale di Imogene, moglie di Postumo e figlia di Cimbelino. A differenza che in Otello, il raggiro verrà scoperto in tempo e accanto al trionfo dell’amore e dell’onestà si consumerà il tardivo e inutile pentimento di Iachimo. Serve ricordare che il “cattivo” è romano e i “buoni” sono inglesi? Roma è il modello della speculazione politica, ma ormai l’Inghilterra si ritiene adulta, pensa di fare da sé e di poter aprire un nuovo corso storico. Bisognerà aspettare ancora più di un secolo, perché questa premonizione si avveri.

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