1594/1597 – Il mercante di Venezia

(“The Merchant of Venice” 1594 – 1597)

Traduzione di Alessandro Serpieri

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Il mercante di Venezia

Introduzione

          Scontro etico, sociale e culturale. Conflitto fra amicizia e amore. Potere del denaro. Lealtà e giustizia. Questi i temi portanti del Mercante di Venezia. Ancora una volta Shakespeare riesce a scavalcare il limite temporale e a fornirci materia per riflettere su di noi e sul nostro presente.

Venezia è un mercato frenetico, colmo di grida e attività, dove le vele delle navi biancheggiano in alto, raccolte dalle sartie. Belmonte è un’isola assolata della vicina Dalmazia, sovrastata da un impalpabile velo bianco e azzurro, un tendalino spiegato a proteggere dal sole, in un onda di musiche sognanti. Due universi destinati ad incontrarsi: uno maschile, indaffarato a costruire ed alimentare un impero finanziario, e uno femminile, tutto volto al desiderio di inventare alternative di piacere al mondo del dovere.

Mentre lo squattrinato Bassanio, ancora agitato da umori adolescenziali, trascina l’amico Antonio lungo una strada che potrebbe portarlo alla rovina, la bella Porzia aspetta invano qualcuno che la liberi dal voto paterno e che ne faccia una donna a tutti gli effetti. Il loro incontro determina l’inevitabile contaminazione di quei due mondi. L’amore e la generosità di Porzia dovranno superare con l’intelligenza e con l’arma gentile del perdono il tradimento che l’amante compirà ai suoi danni per favorire l’amico Antonio, che proprio lei riuscirà a salvare.
Diverso è l’esito della partita fra l’Ebreo e il Mercante cristiano. Una libbra di carne umana è l’immagine che segna la vicenda e disegna un ponte tra la carne e il suo simbolo, l’oro. Quando si traffica col denaro si dimentica che si sta toccando la carne degli uomini, i loro corpi e i loro destini. Anche amori, affetti, passioni in questa storia si traducono in denaro, in oro, in gioielli. E da ciò deriva il tono tragicomico dell’opera. A Venezia è la classe dei mercanti ad essere “principesca” e il commercio è la loro zona di eccellenza; l’aristocrazia si occupa di tutelare quella classe con leggi che ne difendano gli affari e arricchiscano la città. La Repubblica si dimostra perciò tollerante con gli stranieri, ed offre ospitalità al mondo eterogeneo dell’epoca.

Venezia ieri, come New York, Londra, Parigi oggi. Ma quando uno straniero tocca i privilegi di un mercante anche rispettando la legge e portandola alle sue estreme, paradossali conseguenze, allora la legge vorrebbe flettersi alla necessità di salvare il Mercante. La giustizia cristiana e cattolica si accanisce sulla libbra di carne, cerca con tutti i mezzi di riportarla al suo significato simbolico, di trasformarla in denaro. Ma fallisce. L’etica inflessibile dell’Ebreo Shylock, che non conosce mediazione né perdono, punta il dito sulla parzialità della legge veneziana che risulta troppo elastica nelle sue sentenze e assai poco affidabile. Il diritto e la clemenza si mostrano insufficienti a placarlo. A trovare la soluzione è una donna, che comprende di poter vincere sulle ragioni legittime dell’ebreo proprio “usando” con determinazione e senza deroghe la legge stessa, applicandola alla lettera. L’uscita di scena dell’ebreo segna così l’inizio della moderna, proteiforme legalità. Shylock se ne va sconfitto e solo. In silenzio torna alla sua condizione di “ibril”, colui che vive al di là del fiume, l’Altro in tutte le sue accezioni: lo straniero.

Il Mercante di Venezia, è forse una delle creazioni più discusse e controverse di Shakespeare a causa della quale venne da molti tacciato di antisemitismo. Ad una prima lettura, infatti, il protagonista della storia, l’ebreo Shylock può sembrare soltanto un malvagio, colui che concepisce la perversa idea di prestare denaro a un cristiano prendendo come pegno una libbra di carne e che esige ciò che gli è dovuto con implacabile e disumana durezza. Già una seconda lettura permette di comprendere come Shakespeare non si muovesse affatto all’interno dei consueti stereotipi antisemiti, perché l’attitudine crudele di Shylock è spiegata con i torti che egli ha subito e che hanno indurito il suo cuore, ed anzi si può dire che la parte finale dell’opera contenga una vera e propria filippica contro le crudeltà di cui il mondo cristiano si è reso colpevole nei confronti degli ebrei. E non a caso proprio Venezia viene utilizzata come teatro della vicenda. Venezia è la- città dei mercanti, simbolo di un mondo concreto basato sul potere a sul commercio, e proprio qui è stata coniata la parola Ghetto, perché è qui che venne eretto il più antico Ghetto della storia. Difatti la città fin dai tempi antichi concesse agli ebrei di svolgere tranquillamente alcune professioni come l’usuraio (in quale città dove circoli molto denaro non sono indispensabili i prestiti e per far girare meglio gli affari?) e il medico, e quindi tollerò la loro presenza anche se ad una certa ora della sera venivano poi rinchiusi con un enorme lucchetto nella zona dove risiedevano, sede di un’antica fonderia di acciaio, il “getto” per l’appunto, da cui la parola ghetto.
Lo straordinario intreccio del patto ‘sanguinario’ tra I’usuraio ebreo Shylock, che nella più recente versione cinematografica è impersonificato da uno straordinario Al Pacino, animato da una sete inestinguibile di vendetta dovuta agli affronti subiti per la sua avidità e ‘diversità’, ed il mercante cristiano Antonio, Jeremy Irons, uomo ‘nuovo’ di una società borghese ed affaristica, intriso di nobili sentimenti ma afflitto da una inesauribile malinconia esistenziale e forse chissà da un segreto amore per Bassanio, Joseph Fiennes, si svolge a Venezia, mentre è a Belmonte, rappresentazione di un universo mitico, sprofondato in un clima da romanzo cavalleresco tra fiaba e realtà, che si sviluppa la vicenda delle nozze di Porzia, maga-regina a metà tra una languida Ginevra a una crudele Turandot, legata dalla volontà del padre a sposare il ‘cavaliere’ che supererà la prova dei tre scrigni. Solo il nobiluomo che sceglierà lo scrigno giusto, tra uno d’oro, uno d’argento e uno di piombo potrà sposare la bella Porzia. Anello di congiunzione tra questi due universi opposti destinati ad incontrarsi e a deflagrare, è Bassanio, gentiluomo squattrinato, che è al tempo stesso causa dell’infido contratto che lega la carne di Antonio all’inveterato odio di Shylock e sposo ‘predestinato’ di Porzia: userà il suo spropositato e ambiguo ascendente su Antonio per farsi prestare il denaro indispensabile per apparire un nobile principe e poter così aspirare alla mano di Porzia. Su queste due ‘trame’ principali, si innestano le storie parallele, quella di Jessica, figlia di Shylock, che scappa dalla casa del padre, rinnegandolo e derubandolo, con l’amante cristiano Lorenzo; quella di Lancillotto Gobbo, servo deforme ed impiccione che non esita a barattare la ‘ricchezza’ del vecchio padrone ebreo con la ‘grazia’ del nuovo signore cristiano Antonio; quella del gaudente a sfaccendato Graziano che, giunto con l’amico a Belmonte, sposerà l’ancella Nerissa, ribaltando in tono scherzoso il romanticismo simbolico dell’unione tra Porzia e Bassanio.
Evitando quindi di fermarsi alle apparenze etichettando superficialmente l’opera come antisemita, non si può non rimanere profondamente affascinati dal ‘Mercante’ proprio per la sua profonda ambiguità, il delicatissimo equilibrio di capolavoro in bilico tra intolleranza a razzismo, senso dell’etica a denuncia delle false apparenze. Dopo un approfondita lettura risulta essere un testo difficile e misterioso, che costringe a un’avventura sincera e senza possibilità di fuga e ci mette di fronte alla complessa contraddittorietà dell’umano, alla sua incapacità di costruire un mondo adeguato ai suoi struggenti desideri. II mondo concreto di Venezia si contrappone al mondo mitico di Belmonte, ma i problemi degli uomini a delle donne che li abitano sono gli stessi: la malinconia d’amore, il valore del denaro che non basta a riempire la vita, il dilemma della scelta del proprio destino, la ricerca disperante di un equilibrio impossibile e di un’indefinibile felicità. Sia la ricca Venezia che la sognante Belmonte diventano trappole con percorsi obbligati che, nonostante l’apparente lieto fine, sono disseminati di presagi verso un inevitabile crollo.
E via via che gli universi paralleli si intrecciano, rivelandosi l’uno specchio dell’altro – pur nello scontro di climi e atmosfere divergenti -, ogni certezza presunta comincia ad incrinarsi e a creare un’altra possibile realtà, mentre davanti ai nostri occhi si svela il carattere doppio o sfuggente di quasi tutti i personaggi. Gli “eroi” rivelano le proprie debolezze e i “malvagi” sanno spiegare le ragioni dell’odio, che sempre nasce da violenze reciproche, a turno inflitte e subite. Tutti – giovani innamorati e nobili gaudenti, mercanti cristiani e usurai ebrei, belle ereditiere e servi deformi – si preoccupano della propria sopravvivenza e della propria felicità, difendendo con feroce determinazione il proprio ideale di vita come l’unico possibile, calpestando la tolleranza e confidando ciecamente nel potere del denaro.
Shakespeare ci regala, anche in quest’opera, un formidabile affresco della natura umana e il mondo che ci sembra così equilibrato, chiaramente diviso in buoni a malvagi, colpevoli e innocenti, eletti e reietti, mostra le sue crepe e si rivela fragile, precario e relativo. Si pensa di aver compreso ma ci si accorge che la verità può essere un’altra. E’ chiaro perché Shakespeare apra la sua opera con la meravigliosa battuta di Antonio “…questa malinconia mi confonde… e non so più chi sono”: allora come oggi, ci sfugge la radice più profonda della felicità, distratti come siamo a preoccuparci di una sopravvivenza che vorremmo eterna, e ci troviamo a combattere con gli inferni di guerra, sopraffazione e vuoto che noi stessi abbiamo creato. Solo rinunciando alla tentazione di fermare la vita con l’acquisizione di labili certezze, si riesce ad abbracciare il senso profondo dell’opera: una grande tenerezza per la feroce ma anche disarmata lotta per l’esistenza che accomuna tutti, questa sì, al di là di ogni razza, censo o dote di natura, a dunque la profonda necessità della tolleranza e del rispetto reciproci che pure tutti i personaggi della vicenda sembrano ostinatamente voler rifiutare.

Riassunto

Venezia, XVII secolo. Bassanio, giovane gentiluomo veneziano, vorrebbe la mano di Porzia, ricca ereditiera di Belmonte. Per corteggiare degnamente Porzia, chiede al suo carissimo amico Antonio 3.000 ducati in prestito. Antonio, pur essendo affezionatissimo a Bassanio, non può prestargli il denaro poichè le sue sostanze sono interamente investite nei suoi traffici marittimi, tuttavia garantirà per lui presso Shylock, ricco usuraio ebreo. Shylock è disprezzato dai cristiani e a sua volta non li sopporta, soprattutto Antonio, che presta denaro gratuitamente facendo abbassare il tasso dell’interesse nella città e che lo umilia coi suoi insulti. Nonostante ciò, Shylock accorda il prestito a Bassanio con Antonio come garante. L’ebreo però in caso di mancato pagamento vuole una libbra della carne di Antonio. Bassanio cerca di far desistere il mercante di Venezia dal fargli da garante, ma egli è sicuro di poter saldare il debito, dato che tre navi sono in viaggio per riportare a Venezia ricchezze tre volte più grandi. Il tempo concesso per il saldo del prestito è di tre mesi, mentre le navi arriveranno tra due. Bassanio si reca a Belmonte; i pretendenti di Porzia però, secondo la volontà del suo defunto padre, per ottenere la sua mano devono scegliere quello giusto tra tre scrigni contrassegnati da un indovinello. Bassanio ci riesce. Intanto la sfortuna si accanisce su Shylock: sua figlia Jessica infatti fugge di casa sposando un cristiano di nome Lorenzo, amico di Antonio e Bassanio. La ragazza è fuggita portando con sé 2000 ducati e soprattutto lo scrigno contenente l’anello donato a Shylock dalla defunta moglie. L’unica consolazione di Shylock deriva dalla pari sfortuna di Antonio: infatti le sue tre navi sono naufragate e capisce che non potrà saldare il debito.

Shylock porta Antonio di fronte al Doge e alla corte e chiede di far valere i suoi diritti. Nonostante la crudeltà della proposta, il Doge non può rifiutare di applicare la legge perché il caso creerebbe un precedente dannoso per lo stato. Bassanio e Graziano partono immediatamente in aiuto di Antonio. Ma le mogli Porzia e Nerissa donano loro un anello e fanno promettere loro di non separarsene mai. È proprio Porzia che, travestita da avvocato, salverà Antonio. Una volta giunta in tribunale, Porzia, sotto le spoglie di Baldassare, invita Shylock ad accettare i seimila ducati offertigli da Bassanio ed essere misericordioso. Poi, finge di essere d’accordo con lui citando l’Editto degli Stranieri, e gli comunica che se avesse versato una sola goccia di sangue cristiano i suoi beni sarebbero stati divisi tra Antonio e lo stato, e condannato a morte. Antonio propone anziché la morte, la conversione di Shylock al cristianesimo. Ma, in queste condizioni, senza più le sue proprietà, né la sua religione, Shylock preferirebbe morire e rinuncia ai suoi propositi. Baldassare chiede a Bassanio, come ricompensa per aver salvato l’amico, solo il suo anello e l’uomo finisce con il cederglielo e lo stesso fa Graziano con il suo scrivano. Quando tutti i cristiani giungono a Belmonte, Porzia e Nerissa chiedono ai mariti gli anelli, ma entrambi non li hanno più. Quindi le due donne fanno credere di aver trascorso una notte con i nuovi possessori dell’anello per riaverli, prima di rivelar loro che l’avvocato e il suo assistente erano in realtà elle stesse.  Antonio fa di nuovo da garante per Bassanio che giura di non separarsi mai più dall’anello. Le proprietà di Shylock saranno donate a Jessica alla morte del padre. Nel frattempo si viene a sapere che tre delle navi di Antonio sono tornate sane e salve in porto.

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