1597 – Enrico IV – Parte Prima

(“Henry IV, part 1” – 1597)

Traduzione di Massimo Bagicalupo

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Enrico IV - Parte I

Introduzione

L’allegria di Shakespeare è l’allegria pura della creazione, capace di rimanere tale anche quando s’intreccia con la malinconia o con la tragedia. Simile in questo a quella del grande personaggio di Falstaff che troneggia sullo sfondo di “Enrico IV“.

Rappresentato la prima volta nel 1597, “Enrico IV” è un dramma storico diviso in due parti, ciascuna in cinque atti. Un’opera monumentale che, come evidenzia il sottotitolo, mette in scena “la storia di Enrico IV con le battaglie contro i ribelli del Nord e le trovate comiche di Fastaff”. Mentre i nobili del Nord marciano su Londra per rovesciare il potere di re Enrico IV (1399-1413), suo figlio Enrico, il principe di Galles, ama trascorrere una vita scapestrata in compagnia di Falstaff, con il quale partecipa comunque alla risolutiva battaglia di Shrewsbury.  Qui viene ucciso il rivale Hotspur “Sperone di Fuoco” e Falstaff – novello “miles gloriosus” – cerca di farsene vanto.

Nella seconda parte, il sodalizio tra Falstaff e il giovane Enrico cessa d’improvviso con la morte di Enrico IV e l’ascesa al trono del figlio, il quale, negando tutte le aspettative di Falstaff, decide di rompere definitivamente con il proprio scapestrato passato nel nome del primato assoluto della corona “Enrico IV” può essere definito per la mirabile unità tematica nella complessità della struttura, per l’ampiezza della vicenda storica rievocata e la molteplicità dei personaggi, per la straordinaria, virtuosistica ricchezza del linguaggio nell’alternarsi di prosa e di poesia, il capolavoro di Shakespeare nell’ambito delle storie inglesi.

Mai come in “Enrico IV” Shakespeare ha saputo fondere la multiforme ricchezza cromatica del chronicle play con la forza dinamica del dramma “marlowiano“, creando una realtà teatrale a un tempo molteplice e unitaria in cui un unico tema – l’allegoria morale dell’ascesa e caduta dei potenti – viene ripreso e modulato in chiavi diverse e messo a contrasto con il tema opposto e parallelo della caduta e del riscatto nei tre grandi protagonisti del dramma: re Enrico, Falstaff, l’immortale “prediletto della luna”, e l’amletico e istrionico principe di Galles, autentico elemento portante e centro focale dell’opera.

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Scorcio storico epigrafato in una lastra immobile dell’Inghilterra della prima decade del quattrocento. Non la storia di un re, ma l’epopea storico politica di una potenza nascitura. Due drammi di 5 atti ciascuno rappresentati in giorni diversi.

L’Enrico IV è la seconda e la terza puntata della tetralogia aperta con la cronistoria di Riccardo II (fino all’abdicazione in favore di Enrico Bolingbroke poi Enrico IV) e chiusa con l’apologia del figlio Enrico V, re di Inghilterra e Francia ed eroe del 1415 ad Agincourt. Ora che la tetralogia è finita è il caso di chiarire le tappe storiche: Riccardo II l’imbelle abdica in favore di Enrico IV; Enrico V, figlio del IV, spadroneggia per una decina d’anni; Enrico VI (tornerò su lui) figlio del V, risulterà meno capace del padre; Riccardo III usurperà il trono di Edoardo IV e sarà sfidato e ucciso da Richmond, futuro Enrico VII.

L’Enrico IV è la cerniera fondamentale; il ciglio di unione tra le profezie annunciate a seguito dell’instabilità del regnante Riccardo II e il futuro estuario di glorie e onori, che da lì a cinque secoli, la corona di Londra conoscerà con alterne vicende. Nella maniera più assoluta quindi, il doppio dramma non può e non deve essere (nelle intenzioni di Shakespeare è già chiaro alla fine del ‘500) la narrazione della vita e delle gesta di un re.

Il dramma si svincola dai binari del Riccardo II in cui lo stesso dolore di Enrico Bolingbroke futuro re, per la morte di Riccardo abdicante, lasciava presupporre coi suoi stralci apologetici e in qualche modo personalizzati in un possibile dramma successivo. L’ascesa dell’indomabile Enrico aiutata dai Percy e dai nobili più autorevoli della fine del ‘300 inglese (Riccardo muore nel 1399) si ferma con la sua incoronazione, quando l’autorevolezza di un vero re passa per gli sguardi sviliti di un ex sovrano.

L’Enrico IV è la storia di un insieme di uomini, articolata con una divergenza di prospettive, finalizzate a inquadrare nel futuro di una grande nazione colui che ne stabilizzerà i destini. Tutto sembra ruotare intorno alla figura nascente di Henry, Principe di Galles, primogenito del re ed erede al trono. A dirla tutta, la cosa non è così evidente almeno nel primo volume del dramma, ma proprio per questo appare ben concepita e quindi ancora più intenzionalmente strutturata. Nell’Enrico IV ruotano secondo i cambi di scena personaggi assolutamente antitetici, superficialmente lontani da una costruzione comune, ma in realtà utilissimi all’architettura del racconto globale.

Se da una parte Enrico IV scricchiola davanti alla parete di oppositori che gli si pone di fronte, dall’altra le gesta microcriminali e sciagurate dell’erede al trono sembrano avvalorare il destino diretto ad una nemesi storica evidente. L’antico vigore del sovrano sembra trasformarsi in pavida incapacità; le gesta che ne fecero il salvatore della Patria sembrano rilette in chiave meschina fino a sfiorare la schietta traduzione dell’incoronazione di Enrico IV con l’usurpazione del regno. Il figlio del conte di Northumerland Enrico Percy, detto Hotspur quasi ad evidenziarne la scalmanata foga in arcione, rappresenta l’eroismo possibile a fronte di un insolente e indolente prole (il figlio di Enrico IV, futuro Enrico V), sciamannata, sciagurata, fin oltre i margini dell’orribile condotta e dell’alcolismo. È evidente che a questo proposito assume una leggendaria fama la figura di John Falstaff che sembrerebbe un giubbotto lucido dei nostri tempi, ma in realtà è l’epicentro tragicomico di tutto il dramma (il personaggio reale nell’epilogo è descritto come Oldcastle ma per onore degli eredi fu commutato). Le avventure da bassa taverna del Principe di Galles in compagnia di Falstaff e degli altri personaggi quali Pistol, Peto, Bardolph e su tutti Mistress Quickly vanno esattamente in questa direzione. Un Principe destinato al fallimento come uomo e come erede di una missione storica si confonde negli spassosissimi intrecci dei bassi fondi e ignora per quasi tutta la prima parte del dramma il futuro che gli sta passando accanto. La spaccatura amplifica i tormenti e le debolezze dell’Enrico, “quarto di questo nome”, e accelera il ribaltamento in fieri della storia narrata.

La scena quarta del quinto atto del primo volume è l’acme della trasformazione; la materializzazione in teatro di uno scontro sfiorato come idea all’inizio e via via sempre più intuito come realizzabile tra Hotspur e il Principe Enrico, futuro Enrico V. Lo scontro è leale. La stima dei due sanguigni rampolli cancella ogni patina di trama oscura relativa ai rispettivi padri. La morte dell’Enrico Percy (non è colpa di nessuno se si chiamano tutti Enrico) a vantaggio del ravveduto e legittimo erede al trono, avviene come l’ineluttabile disegno del destino già scritto, più grande e forte degli eroismi individuali. Da una parte il sangue versato di chi, sotto il profilo di alti ideali, vuole riscattare il decoro del proprio casato e di un Inghilterra confusa; dall’altra l’onore e l’orgoglio regale di chi è deciso a riprendersi due prospettive: quella individuale, persa in anni di scorrerie in compagnia di balordi; quella della corona, in bilico tra mala condotta e ombra di usurpazione. Lo scontro individuale nel campo di Shrewsbury è il momento più alto dell’epica dell’Enrico IV; senza dubbio. Il dramma continua lungo la via del ribaltone che da qui in poi stabilizza Enrico Principe di Galles in una nuova posizione nel cuore del padre e del popolo inglese. La forza brilla nel campo lealista e tutto il fronte dei ribelli al re, che in Hotspur incarnavano la rinascita, si incanala verso la dissipazione nell’oblio. Sempre più, scena dopo scena, nel secondo volume la figura del futuro Enrico V appare segnata da una logica morale e istituzionale diversa. Ciò che appariva buio e confuso riluce di una nuova chiarezza lasciando alle bravate di Falstaff e alle comiche del suo entourage (ci fidiamo, visto che le traduzioni degli strafalcioni da bottega lasciano il tempo che trovano) il solo scopo di alleggerire un dramma di intensità notevole. Il futuro del crapulone ubriacone compagno di merende dell’erede al trono è deposto in un letto di morte periferico, neanche troppo dettagliato nell’Enrico V. La luce del sovrano e dei destini d’Inghilterra a quel punto però già brillerà da tempo in modo autonomo e Shakespeare ne avrà tratto le note su cui ho speso altra recensione. Tutto s’incastra, tutto scivola secondo un tema preordinato. Non si percepisce con sussulti neanche la virulenza dei passaggi e il pressoché repentino cambio di orizzonti tra i personaggi. La grande stabilità espositiva è sbalorditiva in un dramma così lungo e articolato. Un’ovvietà da cui non potevo prescindere. Arriva come una porta già spalancata il riavvicinamento definitivo tra padre e figlio erede al capezzale di Enrico IV. Le lacrime del ravveduto Principe vicino al re in procinto di spirare e i consigli di buon governo per il futuro dell’Inghilterra sono immortali nella storia della drammaturgia.

“…Ebbene per quanto tu possa considerati più sicuro di quanto non fossi io, non potrai esserlo in modo assoluto…” mormora Enrico IV morente nella quinta scena del quarto atto. La ribellione è domata nelle armi; le intenzioni degli uomini sono fuochi ardenti da cui il Principe rinato a nuova vita dovrà guardarsi. Tanto più nazional popolare quanto più gli saranno utili i trascorsi da manigoldo amico di manigoldi. Ci si congeda dall’Enrico IV e si rimanda tutto al V, con la ritrovata fede nelle istituzioni di cui il nuovo Re sarà garante. Il John Falstaff simbolo della leggiadria sbandata e della cattiva e goliardica condotta sarà sospeso fino a nuovo dramma e la fierezza rurale e popolare di una nuova era dell’Inghilterra trova il plauso necessario nella giustizia distribuita a piene mani tra le ultime tre scene del quinto e ultimo atto della seconda parte.

Riassunto

da FERRUCCIO BUSONI WEBSITE

Le due parti dell’Enrico IV sono un racconto, in forma teatrale, della storia d’Inghilterra tra il 1399 e il 1413, le date che aprono e chiudono il regno di Enrico Bolingbroke, successo al cugino Riccardo II Plantageneto. Protagonista, accanto al padre re, è il figlio primogenito Enrico, principe di Galles, il futuro Enrico V, la cui ascensione al trono del padre è preceduta da una giovinezza scapestrata trascorsa in compagnia di una congrega di personaggi da trivio, autori d’ogni specie di malefatte ai danni dei sudditi di sua maestà; dai quali trascorsi il principe si ravvedrà e riscatterà, dimostrandosi idoneo ad assumere, alla morte del padre, quel ruolo di sovrano saggio e valoroso nel quale è entrato nella storia d’Inghilterra.
Enrico IV è un usurpatore. Figlio di Giovanni di Gaunt, quartogenito di re Edoardo III, s’è impadronito del trono dopo aver deposto suo cugino Riccardo II Plantageneto. Le vicende di questa usurpazione Shakespeare aveva già cantate nel Riccardo II, di cui le due parti dell’Enrico IV sono pertanto la prosecuzione. Il tormentato regno di questo re usurpatore aprirà la dinastia dei Lancaster sul trono d’Inghilterra e sarà contrassegnato, sul piano nazionale, dalle rivolte dei nobili del Galles e di Scozia, e sul piano familiare dall’amarezza del re per la giovinezza scapigliata e dissoluta del primogenito ed erede, Enrico, denominato nel dramma coi vezzeggiativi “Harry” e “Hal”.
Terzo protagonista dei due Enrico IV è il corpulento compagno d’imprese birbonesche del giovane Harry, Sir John Falstaff, la cui vicenda fa da sottotrama, a mo’ di contrappunto, a quella principale: un personaggio la cui comicità – la meglio riuscita di tutto il teatro shakespeariano – piacerà tanto alla regina Elisabetta, da indurla a chiedere a Shakespeare di farlo ancora rivivere sulle scene mostrandolo, per giunta, innamorato cavalier galante: e sarà il Sir John Falstaff delle Allegre comari di Windsor.
Il dramma si apre nel 1402, terzo anno di regno di Enrico IV. L’Inghilterra è impegnata militarmente su due fronti: coi ribelli gallesi ad ovest, con gli scozzesi a nord. Contro questi ultimi sta combattendo, alla testa delle forze regie, Enrico Percy, il giovane figlio del duca di Northumberland, soprannominato “Sperone ardente” (“Hotspur”) per la sua irruenza negli assalti a cavallo. Un messaggero annuncia la sua vittoria sugli scozzesi (ottobre 1402) con la cattura di molti importanti prigionieri. Per contro, sul fronte gallese le truppe regie hanno subito una severa disfatta; (l’episodio è avvenuto qualche mese prima, ma Shakespeare lo fa apparire come contremporaneo al primo perché ciò gli serve per introdurre nel dramma – e giustificarlo – il rinvio di una spedizione in Terrasanta che Enrico avrebbe voluto fare in espiazione delle colpe di cui si sente responsabile per aver usurpato il regno a Riccardo II dopo averne provocato la morte in prigione.
Con la vittoria sui ribelli gallesi, “Sperone ardente” ha catturato prigionieri diversi nobili. Il re li reclama per sé, ma “Sperone ardente” rifiuta di darglieli. Questo sarà motivo di rottura tra re Enrico e i Percy, padre e figlio, i quali, per ripicca, alleati ad altri nobili, passeranno a combattere il re a fianco degli scozzesi. I due eserciti si scontreranno a Shrewsbury, dove “Sperone ardente” sarà ucciso in duello dal giovane principe di Galles; e con questo episodio, che annuncia il ravvedimento del giovane Enrico e il riscatto dei suoi dubbi trascorsi si chiude questa prima parte dell’Enrico IV.

La seconda parte dell’“Enrico IV” è storicamente il seguito della prima; ma la sua fattura non segue immediatamente la prima nel tempo; tra le due Shakespeare, per compiacere a un desiderio della regina Elisabetta, cui era tanto piaciuta la comicità del personaggio di Sir John Falstaff sì da ordinare all’Autore di rimetterlo in scena in veste di galante innamorato, mette mano a comporre “Le Allegre comari di Windsor”, la commedia, appunto, del Falstaff galante e scornacchiato. Pare la terminasse in soli 14 giorni.
Anche nella seconda parte Shakespeare s’ispira, nella narrazione dei fatti, alle “Cronache” dell’Holinshead, ai “Quattro libri delle guerre civili” di Samuel Daniel ed altre fonti, ma vi aggiunge di suo una cospicua parte di materiale non-storico; com’è già in apertura del dramma il falso annuncio della vittoria dei ribelli contro il re a Shrewsbury; dove invece hanno prevalso le forze regie e dove il principe Enrico s’è tanto distinto per valore (ha ucciso, tra l’altro, in duello, Harry Percy “Sperone ardente” (o “Caldosprone” come a noi piace meglio rendere “Hotspur”) da far dire al re, suo padre, che ha riscattato così tutti i suoi colpevoli trascorsi.
Il giovane principe, tuttavia, in apertura del dramma, sembra tornato alla sua vita scapigliata e alla solita mala compagnia di gente trista; e sarà questo nuovo motivo di amarezza per suo padre, già premuto e angustiato da una nuova rivolta di nobili, capeggiata dal padre del caduto “Sperone ardente”, il vecchio conte di Northumberland, l’Arcivescovo di York, e i Lords Hastings e Mowbray.
Il rapporto padre-figlio, su cui ruota la vicenda “personale” del dramma, ha la sua scena-madre nel momento in cui il giovane Enrico al capezzale del re, uomo ormai malato, esacerbato dal rimorso, lo crede morto, gli sottrae la corona e se la porta via per provarsela sul capo; ma il re si sveglia e dopo aver a lungo rimproverato il figlio, ne accetta le sincere dichiarazioni di amore e di lealtà filiale, e, come parlando al suo successore, gli dà una serie di consigli; gli ricorda le vie traverse per le quali egli stesso ha ottenuto la corona e gli suggerisce la politica da seguire per regnare: e cioè portare la guerra all’esterno, per proteggersi dall’insorgere di guerre civili all’interno. È l’annuncio delle vittoriose campagne di Francia del futuro Enrico V.

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