1611/1612 – La tempesta

(“The tempest”  1611-1612)

Traduzione di Agostino Lombardo

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

La tempesta

Introduzione

Le fonti della Tempesta non sono ancora chiaramente determinate; per una strana coincidenza, le uniche due opere di Shakespeare di cui non conosciamo con certezza l’origine, sono la sua prima commedia: «Le Fatiche d’Amor Perdute» e questo suo ultimo dramma. Tutte le ricerche minute e pazienti dei critici non hanno condotto a risultati positivi, e dobbiamo accontentarci di ipotesi che, per quanto convincenti e probabili, attendono ancora di essere dimostrate vere. Una cosa però appare certa: che le fonti, se così vogliamo chiamarle, della Tempesta, devono essere state varie, o, per esser più precisi, che Shakespeare nel costruire il suo dramma si deve esser servito liberamente di episodi, narrazioni, leggende diverse, e non si è basato su un unico modello. E’ stato Thomas Warton, il grande storico della letteratura inglese,a dar credito all’idea che la Tempesta fosse ispirata da un romanzo italiano. Nella sua History of English Poetry (1781), egli scrive di aver saputo dal poeta Collins che la Tempesta era basata su un romanzo Aurelio e Isabella pubblicato nel 1586 in un volume, in italiano, francese e inglese, e ripubblicato nel 1588 in italiano, spagnolo, francese e inglese. L’informazione non corrispondeva a verità, ma il Warton ritenne che il Collins, la cui memoria negli ultimi anni si era molto indebolita (egli morì pazzo), avesse sbagliato il titolo del romanzo e suppose che si trattasse di un altro romanzo che non doveva esser difficile ritrovare, perché una circostanza, accennata dal Collins, avrebbe facilitato la ricerca: e cioè che “il personaggio principale del racconto, corrispondente al Prospero di Shakespeare, era un negromante, il quale aveva costretto uno spirito simile ad Ariel a ubbidire ai suoi comandi e a eseguire i suoi ordini”. Il libro non è stato trovato; le ricerche dei commentatori che hanno compulsato tutti i romanzi italiani, spagnoli e francesi scritti prima di Shakespeare, son riuscite vane; però, in compenso, si sono scoperti numerosi racconti e un dramma, che hanno molti elementi in comune con la Tempesta.

Il dramma è Die Schòne Sidea, scritto da Jacob Ayrer, un notaio di Norimberga, autore di altre opere teatrali che sono basate su drammi inglesi ora perduti. Nella Bella Sidea troviamo un mago Ludolfo che è un principe, come Prospero, e ha un demone o spirito familiare ai suoi servizi, e un’unica figlia. Il figlio del nemico di Ludolfo diventa suo prigioniero, perché non può sfoderare la spada, trattenuto dall’arte magica del principe; più tardi il giovane, come accade a Ferdinando, è costretto a portare legna per la Bella Sidea, la quale si innamora di lui, e, con qualcosa di più della freschezza ingenua di Miranda, gli dichiara l’animo suo. I due giovani finiscono con lo sposarsi e il loro matrimonio consacra la riconciliazione dei rispettivi genitori. La storia, come si vede, è su per giù quella del dramma shakespeariano, ma manca l’elemento caratteristico della tempesta. Ora siccome l’Ayrer morì nel 1605, non è possibile ammettere che egli abbia imitato Shakespeare, mentre è ammissibile che questi si sia servito del dramma tedesco, perché gli attori inglesi furono a Norimberga nel 1604 e possono aver visto recitare, o magari aver recitato essi stessi, Die Schóne Sidea. E’ più probabile però, sostiene il Morton Luce, che ambedue gli autori abbiano attinto a una fonte comune che noi ignoriamo, tanto più che non troviamo alcuna corrispondenza nei nomi. Ma allora si deve dire altrettanto dei vari racconti in cui troviamo una storia più o meno simile a quella della Tempesta.

Il 29 luglio dell’anno 1609 giunse a Londra la notizia che il vascello Sea-Adventure, sorpreso da una violenta burrasca nel mare delle Bermude era andato a fracassarsi contro quelle coste ed equipaggio e passeggeri erano affondati. Il vascello faceva parte di un convoglio di altri nove, che trasportavano 500 coloni verso la Virginia, la terra del Nuovo continente (ancora denominato Indie Occidentali) dove già nel 1585 sir Walter Raleigh aveva stabilito una colonia inglese, chiamando Virginia quella terra in onore della “vergine” regina Elisabetta. La spedizione era partita da Plymouth nel maggio di quell’anno 1609. Un anno dopo, maggio 1610, giunse altra notizia che tutti quelli che erano a bordo del Sea-Adventure erano giunti sani e salvi in Virginia, dopo aver trovato rifugio in un’isola delle Bermude, dove avevano anche potuto costruirsi rudimentali mezzi natanti idonei a permettere loro di proseguire il viaggio fino a destinazione. Sembra che Shakespeare, oltre che dalla voce popolare, abbia potuto leggere un più dettagliato resoconto della vicenda dalla lettera di uno dei passeggeri del Sea-Adventure, William Strachey, lettera che fu pubblicata a stampa in seguito, nel 1625. Nello stesso periodo circola in Inghilterra una History of Italy, autore certo William Thomas, in cui si parla della spedizione in Italia (1494) di Carlo VIII, re di Francia, su invito del duca di Milano, Lodovico Sforza, detto “Il Moro”, che siede abusivamente su quel trono ducale dopo averne spodestato il nipote Gian Galeazzo Sforza, figlio del fratello Galeazzo Maria. Gian Galeazzo ha per moglie Isabella d’Aragona, figlia del re di Napoli Alfonso II. Alfonso II ha anche un figlio maschio di nome Ferdinando, detto dai napoletani “Ferrandino”. L’usurpatore Lodovico è ossessionato dal timore che gli Aragonesi di Napoli rivendichino i diritti di Isabella, duchessa spodestata; sollecita perciò Carlo VIII, sovrano di una Francia divenuta salda e potente dopo la terribile bufera della guerra dei cento anni, a far valere a sua volta i suoi diritti dinastici sul regno di Napoli, come discendente degli Angioini, predecessori degli Aragonesi su quel trono.
Da queste due vicende, l’una a lui contemporanea, l’altra storica, Shakespeare prende lo spunto del suo dramma. Il tema del duca di Milano spodestato da un suo parente – nella specie il fratello Antonio in luogo dello zio spodestato -, che è il motivo centrale della commedia, e la presenza di personaggi con i nomi dei personaggi reali (Alonso, contrazione di Alfonso, e Ferdinando suo figlio) è talmente palese nella trama de La Tempesta, che stupisce come nessun curatore – per quanto mi sia riuscito di indagare – enumeri questo tra i materiali di cui si è servito Shakespeare nella tessitura di questo lavoro. Non solo i nomi, ma la situazione e i rapporti di ostilità tra l’usurpatore duca di Milano e il re di Napoli vi sono chiaramente accennati: ”The King of Naples being an enemy to me inveterate…”, dice Prospero alla figlia.
All’interno di questo impianto poi Shakespeare maneggia e mescola i materiali più vari ed originali: prende i nomi di Prospero e Stefano dalla commedia dell’amico Ben Jonson Ciascuno a suo modo (Every man in His Humour); inventa Trinculo, il marinaio beone, da “trincare”(drink) e Sicorace, la strega madre di Calibano, dal greco sus, porco e korax, corvo; trae il nome di Gonzalo forse da un’assonanza con “Gonzaga”, un noto casato italiano; riallaccia personaggi e motivi della commedia con altri di sua precedente creazione: il duo Calibano/Ariel è quasi simmetrico al duo Puck/Ariel del Sogno d’una notte di mezza estate; di questo è anche l’atmosfera evanescente del mondo magico e soprannaturale evocato da Prospero; l’innamoramento a prima vista di Ferdinando e Miranda non è diverso da quello di Romeo e Giulietta, e la coppia somiglia in tutto alla coppia Florizel/Perdita del Racconto d’inverno; il motivo della usurpazione e della congiura Antonio/Sebastian riecheggia Macbeth; il motivo della rinuncia di Prospero ad esercitare le funzioni di sovrano riecheggia Re Lear; il tema del figlio perduto e ritrovato è presente nei suoi ultimi romances: Pericle, principe di Tiro e Cimbelino; amalgama il tutto con ispirazioni da altre fonti letterarie (Le Metamorfosi di Ovidio, che ha letto nella traduzione inglese di Arthur Golding; il saggio I Cannibali di Montagne, che ha letto nella traduzione inglese di Giovanni Florio, l’Eneide di Virgilio, che ha letto da giovinetto nella Grammar School di Stratford), ne crea un intreccio nuovo ed originale che ben s’acconcia al gusto del pubblico per le storie di maghi, di isole incantate, di naufragi in mari lontani, di mostri, di avventure. Questa volta, però, a differenza delle precedenti commedie romanzesche, Shakespeare non mette sulla scena gli avvenimenti come accadono nel tempo e nello spazio: ne La Tempesta la storia/avventura è già finita; tutta l’azione è concentrata nello spazio di due ore – il “tempo reale” di durata di una rappresentazione scenica.

Quello che è successo prima ce lo fanno sapere i personaggi: Prospero racconterà a Miranda la vicenda dell’usurpazione, della sua cacciata da Milano, del viaggio in mare e dell’approdo all’isola; Ariele rinfaccerà ad Alonso, Sebastian e Antonio i loro “peccati” contro Prospero; Calibano ricorderà quando sua madre e lui erano i soli padroni dell’isola; Gonzalo ci farà sapere del matrimonio della figlia del re di Napoli, Claribella, con il re di Tunisi. La Tempesta, insomma, è tutta una retrospettiva. E non è difficile vedere in essa – come lo fa ormai universalmente la critica – una retrospettiva allegorica che il poeta fa di se stesso e della sua arte.
Quando scrive La Tempesta Shakespeare ha 47 anni. Il ciclo delle grandi tragedie è concluso; la fama e l’agiatezza sono raggiunte. L’estro è quasi esaurito, l’animo stanco pensa al ritorno fra opere serene a Stratford, dove ha acquistato una cospicua proprietà immobiliare.

Le ultime opere Timone di AtenePericle, principe di TiroEnrico VIIII due nobili cugini sono più d’officina che di poesia; vi si sente sempre più presente l’opera dei collaboratori; la voce del poeta è infiacchita ed egli prende congedo dal palcoscenico; prima di farlo e di ritirarsi in eterno silenzio si volge indietro e compendia se stesso e il proprio cammino artistico nell’immagine di Prospero, il mago “bianco” che ha tenuto sotto il potere magico del suo genio la materia tragica, e alla fine, gettando la bacchetta mette così fine al mondo magico. La sua favola dice di una libertà riconquistata; e, come Ariele, dopo aver suscitato musiche e incanti, apparenze mostruose e terrori, guida gli uomini, prima resi folli poi fatti rinsavire, al compimento di un disegno benigno.

Così Prospero/Shakespeare, ricomponendo un ordine sconvolto, riconsacra la legittimità di un potere, restituisce al duca non più mago il suo ducato, e mette fine all’inimicizia tra Milano e Napoli con le nozze di Ferdinando e Mirando. Così il selvaggio e mostruoso Calibano esce di scena con parole di saggia contrizione e di buoni proponimenti, sì che Prospero può dire di lui: ”Riconosco come mia questa creatura”. In verità, Calibano non è il mostro favoleggiato dal mito o dalla favolistica di tutti i tempi, dal Minotauro a Frankenstein. Se nel gesto di Prospero che getta il manto e spezza la bacchetta si riconosce il drammaturgo che, dopo aver dato vita nel suo mondo immaginario e fatto muovere sulle scene centinaia di personaggi, si congeda dal teatro, in Calibano che, prima di uscir di scena, dice:

”Com’è bello oggi il mio padrone!… D’ora innanzi sarò bravo,

voglio riguadagnare il tuo favore.

Che razza di somaro sono stato…”

si riconosce il poeta che guarda in retrospettiva la sua formazione e ne denuncia, con un atto di autocritica, le manchevolezze. Perché Calibano, nella sua bruttezza fisica e morale, è poeta. Nei primi giorni che Prospero è nell’isola, solo con la sua Miranda ancora infante, Calibano è l’unico compagno della sua vita (Ariel è ancora imprigionato nel cavo di un tronco). Calibano ama la sua isola, ne conosce le bellezze e le mostra a Prospero; questi insegna a Calibano a parlare e a dare un nome al sole e alla luna. Quando descrive al marinaio Stefano le bellezze dell’isola, Calibano canta (secondo atto, prima scena):

”… ti condurrò dove fioriscono i meli selvatici…,

dove fabbrica il nido la ghiandaia…;

t’insegnerò come si prende al laccio l’astuta ed agilissima bertuccia;

… dagli scogli ti porterò i giovani gabbiani.”

E ancora (terzo atto, seconda scena):

”L’isola è piena di questi sussurri,

di dolci suoni, rumori, armonie…

A volte son migliaia di strumenti

che vibrando mi ronzano agli orecchi;

altre volte son voci sì soavi,

che pur se udite dopo un lungo sonno,

mi conciliano ancora con Morfeo,

e allora, in sogno, sembra che le nuvole si spalanchino e scoprano tesori

pronti a piovermi addosso; ed io mi sveglio,

nel desiderio di dormire ancora”.

Se non è poesia questa…

E il mostro-poeta è lui stesso, Shakespeare. I poeti creatori hanno un senso acuto d’essere diversi dall’opera che intraprendono per cantare il mondo in cui operano; e, per converso, hanno un senso altrettanto acuto e più tormentoso di quanto il primo era superbo, d’essere modificati da quel mondo. Lo Shakespeare della Tempesta si sente diverso dallo Shakespeare-Calibano, ma è cosciente di essere stato da quello modificato attraverso uno stadio necessario del suo processo di formazione.

Calibano – scrive René Girard nel suo recentissimo saggio (Shakespeare – Il teatro dell’invidia, traduzione di G. Luciani, Adelphi, Milano, 1998, pagg. 547-548) – simboleggia il sentimento non ancora educato, la poesia prima del linguaggio… Prospero che inizia Calibano alla parola è lo stesso Shakespeare che trasforma in opera letteraria, ancor prima del linguaggio, l’ispirazione di questo mostro; costui rappresenta non soltanto ciò che precede la letteratura, ma una modalità di quest’ultima, che l’ultimo Shakespeare disapprova, anche se riconosce la sua importanza cruciale nel proprio processo creativo. Calibano simboleggia cioè tutta quella parte dell’opera shakespeariana che, popolata da mostri com’è, può apparire essa stessa mostruosa. Shakespeare non ne contesta la qualità poetica, ma individua in essa un elemento di disordine, di acrimonia, di violenza e confusione morale, che retrospettivamente condanna come “mostruoso”. Da questa “mostruosità” l’ultima tappa di Shakespeare non è la drammaturgia di prima: essa procede più in là, non rappresenta più, ma osserva il ristabilirsi della legge, il ricomporsi di un equilibrio della normalità, il riaffiorare di quelle necessità elementari di pace serena che l’ondata dello spirito sfrenato sembrava aver definitivamente sommerso. Gli incantesimi sono finiti annuncia al pubblico l’Epilogo, che propone così una fondamentale fiducia nell’uomo, nelle forze elementari e ragionevoli che governano la sapienza umana. Prospero/Shakespeare è l’uomo dell’Umanesimo e del Rinascimento.

Riassunto

Prospero, duca di Milano, per dedicarsi totalmente agli studi di magia, affida il governo dello Stato al fratello Antonio, uomo ambizioso, che approfitta dell’incarico per spodestare Prospero con l’aiuto di Alonso, re di Napoli. Prospero e la figlia Miranda, di tre anni, vengono trascinati una notte su una carcassa di nave e abbandonati alla deriva in alto mare. Spinta dalle tempeste e dai venti la nave approda in un’isola del mare Mediterraneo, abitata soltanto da Calibano, uomo-mostro, e da Ariel, spirito dell’aria. Ariel era stato chiuso nel cavo di un pino dalla strega Sicorace, madre di Calibano, e, dopo una prigionia di dodici anni, viene liberato dalle arti magiche di Prospero. Nell’isola, vivendo in una grotta, Prospero e la figlia trascorrono un lungo periodo di tempo: oramai Miranda è una giovinetta. Un giorno (siamo all’inizio del dramma), il re di Napoli con suo fratello Sebastiano e l’unico figlio Ferdinando, insieme ad Antonio, il falso duca di Milano, e ad altri gentiluomini, passano con le loro navi presso le coste dell’isola. Alonso torna in patria da Tunisi, dove aveva festeggiato le nozze della figlia Claribella con un re africano. Prospero, con la sua magia e l’aiuto di Ariel, simula una tempesta e la nave del re, separata dal resto della flotta, si rompe contro gli scogli. I naufraghi raggiungono la terra in diversi luoghi. Ferdinando, che si crede l’unico superstite, è costretto da Prospero a trasportare legna nella grotta. Il giovane appena vede Miranda s’innamora della fanciulla ed è subito riamato.

Il re di Napoli, intanto, piange il figlio, che crede morto nel naufragio. Antonio persuade Sebastiano a uccidere il re per impadronirsi del trono di Napoli; ma Ariel, inviato da Prospero, impedisce il delitto. In un’altra parte dell’isola, mentre scoppia un temporale, Stefano il dispensiere ubriacone e Trinculo, il giullare di Corte, incontrano Calibano. L’uomo-mostro beve per la prima volta il vino e si mette al servizio dei due buffoni. I tre complottano di uccidere Prospero, ma il mago li fa inseguire da spiriti in forma di cani da guardia e da caccia. Prospero continua la sua opera di magia, e mentre prima aveva offerto a Ferdinando e a Miranda uno spettacolo meraviglioso, durante il quale Iride, Cerere e Giunone, in forma di spiriti, avevano cantato per augurare vita felice alla nuova coppia, ora traccia un cerchio e in esso si ritrovano tutti i dispersi. Prospero si fa riconoscere e perdona il fratello e il re di Napoli. Ferdinando e Miranda si sposeranno all’arrivo in patria. Il Duca rinunzia ormai alla sua potenza soprannaturale e spezzando la sua bacchetta vanifica ogni magia e tace ogni suono “magico”.
La poesia di Ariele si libera, nell’aria.

ATTO PRIMO, scena I
Un veliero viaggia nel Mediterraneo di ritorno da Tunisi. I passeggeri sono Alonso Re di Napoli, suo figlio Ferdinando, suo fratello Sebastiano, Gonzalo, consigliere del Re, Adriano e Francisco, cortigiani e Antonio. Quest’ultimo, dodici anni prima, aveva usurpato il Ducato di Milano al fratello Prospero. La vittima del tradimento era stato abbandonato su una zattera in mare assieme con la piccola figlia, Miranda. Ora il veliero si dibatte nella morsa d’una tempesta terrificante. Invano il Capitano, col Nostromo e i marinai si danno da fare – sono destinati a cedere al vento e alle onde e sprofondare in mare.

ATTO PRIMO, scena II
Sull’isola davanti alla sua grotta, Prospero parla alla giovane figlia. Miranda ha sofferto nell’assistere al naufragio e prega il padre di far cessare la crudele bufera. Prospero, mago per vocazione e per gli approfonditi studi sull’argomento, la rassicura – la nave non è affondata e i passeggeri sono salvi, è stato solo un incantesimo che lui stesso ha voluto. Le rivela di non essere un poveraccio qualsiasi bensì il vero Duca di Milano, a cui il fratello Antonio ha usurpato il trono e ha sottomesso Milano al Re di Napoli. La buona sorte ha condotto sull’isola la vecchia carcassa senza vele ne timone, dove padre e figlia avrebbero dovuto morire di fame e di sete, in balia alle onde. Per fortuna, il vecchio e buon Gonzalo aveva fatto portare sulla nave, segretamente, acqua e cibo in quantità, abiti di ogni specie e persino i migliori libri della biblioteca del misero Duca. Grazie alle arti magiche Prospero ha avuto la rivelazione che Alonso e Antonio, nel vascello diretto a Napoli, sarebbero passati non lontano dall’isola: occasione unica per affronatarli e forse anche per vendicarsi dei torti subiti.

Prospero fa addormentare Miranda, poi chiama Ariel, uno spiritello vivace e abile, che abitava l’isola alle dipendenze della terribile strega Sicorace. Questa, per malvagità, aveva infilzato lo spiritello nella spaccatura di un pino, lasciandolo lì a piangere e disperarsi. Prospero lo aveva liberato e lo aveva preso al proprio servizio, promettendogli però che un giorno o l’altro lo avrebbe reso libero. Per volere dal padrone, Ariel aveva operato la magia della tempesta, ora però, egli dice, tutto è a posto – la nave è alla fonda, marinai e passeggeri in salvo, e il giovane Ferdinando sistemato in una graziosa grotta. Soddisfatto, Prospero dà nuovi ordini ad Ariel che corre via ad eseguirli. Prospero sveglia Miranda e chiama Calibano, figlio della strega Sicorace, suo schiavo. La repellente creatura compare e incomincia a inveire contro il Mago, rimproverandogli di avergli preso la libertà e con essa anche l’isola che era sua. Al ribelle Calibano, Prospero minaccia punizioni orrende, quali crampi e punture di insetti, così alla fine il mostro si avvia a raccogliere legna. Compare Ariel tramutato in ninfa; cantando e suonando, guida Ferdinando, ancora stordito dagli eventi e addolorato per la perdita del padre, verso la grotta. Lì Prospero lo fa incontrare con Miranda e i due giovani si innamorano a prima vista.

ATTO SECONDO, scena I
Alonso, Gonzalo, Sebastiano, Antonio e i due cortigiani, usciti incolumi dal naufragio, parlano a lungo della loro avventura. Alonso è addolorato, teme che suo figlio sia morto in mare. Ed ecco che arriva Ariel e li addormenta tutti, tranne Antonio e Sebastiano. Il primo convince il secondo a uccidere suo fratello Alonso, per diventare lui Re di Napoli. Ma proprio quando i due perfidi individui stanno per assassinare il Re, Ariel risveglia Alonso e Gonzalo, sventando il piano delittuoso.

ATTO SECONDO, scena II
Calibano sta trasportando un carico di legna, lamentandosi e bestemmiando quando si imbatte in Stefano e Trinculo, servitori di Re Alonso dispersi sull’isola. I due sono ubriachi fradici, e fanno bere Calibano il quale non ha mai toccato alcool e perciò si ubriaca subito e cade in preda ad una forte infatuazione per Stefano, che considera una specie di sovrano, addirittura un dio. Gli promette eterna fedeltà e tra i lazzi e gli spropositi dei due buffoni, riprendono il cammino.

ATTO TERZO, scena I
La storia d’amore tra Ferdinando e Miranda prosegue a gonfie vele. Il giovane le rivela di essere il principe ereditario del Regno di Napoli e chiede a Miranda di sposarlo.

ATTO TERZO, scena II
Torniamo ora a Stefano e Trinculo che Calibrano – in continua adorazione di Stefano – guida attraverso l’isola. Racconta loro di essere schiavo di Prospero che gli ha rubato l’isola e che lo comanda a bacchetta. Ma ora si presenta l’occasione di uccidere quel maledetto mago, dopo aver distrutto i libri di magia senza i quali egli non ha potere. Per rincarare la dose Calibrano parla della bella Miranda, che una volta lui aveva tentato di violentare, e promette che la fanciulla farà parte del bottino di Stefano, quando si sarà disfatto di Prospero.

ATTO TERZO, scena III
Alonso e il suo seguito sono stanchi e affamati e anche scoraggiati perché pur avendo camminato a lungo non hanno visto un solo uomo, una sola casa. Improvvisamente entrano in scena alcune strane e attraenti apparizioni: sembra una magica festa di benvenuto ma presto si trasforma in un evento di terrore. Tuoni e fulmini precedono l’apparizione di Ariel che – trasformato in arpia – accusa Alonso, Sebastiano ed Antonio di essere peccatori, ignoranti e disonesti. Gli uomini sfoderano le spade però Ariel fa una magia per cui essi non riescono ad alzare le armi e presto le lasciano cadere, mentre lo spiritello aggiunge che potranno salvarsi dalla rovina soltanto se si pentiranno dei loro peccati. Prospero, che ha assistito in disparte alla scena, si congratula con Ariel e scappa via per raggiungere i due giovani innamorati, lasciando Re e cortigiani quasi in preda alla pazzia.

ATTO QUARTO, Scena Unica
Arrivato alla sua grotta, Prospero benedice i due innamorati e augura loro tanta felicità. Prega Ferdinando di rispettare la virginità di Miranda finché non saranno sposati e il principe si dichiara d’accordo. Prospero offre loro uno spettacolo recitato e danzato da spiriti e spiritelli, che però normalmente viene tagliato e dunque lo taglio anch’io. Finita la recita, Prospero vede il turbamento di Ferdinando perciò gli spiega come gli attori del brano erano solo spiriti e quindi non c’è nulla da temere da parte loro. Poi si mette in disparte con Ariel e gli chiede notizie di Calibano: ha sempre intenzione di farlo uccidere? Ariel fa rapporto, poi va a prendere nella grotta gli abiti più colorati e appariscenti che trova, per appenderli assieme al mago, sui rami d’un albero. Entra Calibano, seguito da Stefano e Trinculo che subito si dirigono verso gli indumenti litigando tra loro per impossessarsene,
Calibano è irritato – ma come possono occuparsi di quelle cianfrusaglie, quando è in gioco il possesso dell’isola?.

ATTO QUINTO, Scena Unica
Prospero indossa il suo mantello magico e parla con Ariel, il quale gli ricorda di avergli promesso di liberarlo quello stesso giorno. Prospero lo conferma, ma dovrà aspettare ancora un po’. Cosa fanno i naufraghi? “Sono come impazziti”, risponde Ariel “Piangono, si agitano e non possono muoversi per via della fattura che incombe su di loro. Insomma fanno proprio pena”. Anche Prospero comincia a provare pietà di loro e dice: “Se sono pentiti, considero fatta la mia vendetta”. Incarica Ariel di portare i naufraghi alla sua presenza e rimasto solo rivolge un poetico saluto a tutti gli spiriti e gli spiritelli che lo hanno aiutato per tanti anni. Poi spezza la bacchetta magica. A questo punto Ariel entra guidando Re Alonso e il suo seguito, e gli fa entrare nel cerchio tracciato poco prima a terra con la sua bacchetta magica, ed essi resteranno lì come incantati. Prospero si rivolge per primo a Gonzalo, ringraziandolo per essere stato buono e generoso con lui e sua figlia; poi agli altri, rimproverandoli di aver complottato contro di lui. Si interrompe chiedendo ad Ariel di portargli i suoi abiti ducali, e dopo averli indossati, rivela la propria identità, con grande meraviglia degli altri. Ma lui li perdonerà, anzi li invita nella sua grotta, dove Alonso, aperta una tenda, vede Ferdinando e Miranda che giocano a scacchi, pieni di felicità. Alonso, fuori di se dalla gioia, unisce le mani dei due giovani e augura loro grande gioia e serenità. Poi entra nella grotta, mentre Prospero finalmente restituisce ad Ariel la libertà e poi recita il famosissimo Epilogo

La tempesta
(“The tempest” – 1611-1612)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
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Atto V

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