Suicidio e libertà negli eroi di Shakespeare

Di Luca Burzelli

È rintracciabile in alcuni protagonisti dell’opera del drammaturgo inglese il carattere eroico del suicidio: sono vicende di uomini in netta frattura con la società in cui vivono e che per questo scelgono di morire per far valere chiaramente il loro contrasto e il loro dissenso da essa.

da il Ritaglio.it

Suicidio e libertà negli eroi di Shakespeare

C’è qualche straordinaria umanità dietro ai figli letterari di William Shakespeare che opera affinché essi appaiano macigni monumentali per noi lettori affascinati. Questa grandezza contraddistingue ogni singolo personaggio e ne fa l’emblema di un particolare carattere. Romeo e Giulietta rappresentano l’idealizzazione del sentimento per innumerevoli coppie mentre Otello e Amleto incarnano per antonomasia la gelosia ed il dubbio umano. Tra i tanti ho scelto di puntare l’attenzione sui suicidi ed, in particolare, quelli eroici.

È rintracciabile in alcuni protagonisti dell’opera del drammaturgo inglese il carattere eroico del suicidio: sono vicende di uomini in netta frattura con la società in cui vivono e che per questo scelgono di morire per far valere chiaramente il loro contrasto e il loro dissenso da essa. Non rientrano in questa categoria i suicidi d’amore come quello di Romeo e Giulietta poiché nella loro scelta compare solo la disperazione del sentimento, tanto ostacolato dalle famiglie. Qui parleremo di quattro protagonisti di due tragedie: Antonio, Cleopatra, Cassio e Bruto.

La vicenda di Bruto è dominio della Storia prima che della Letteratura. Dopo aver preso parte alla congiura contro il padre Giulio Cesare, fuggì assieme a Cassio e agli altri congiurati verso Filippi dove, in una celeberrima battaglia, scelse per sé il suicidio per non cadere nelle mani di Marco Antonio e Ottaviano, fedeli amici di Cesare e pronti a vendicarne l’assassinio. Shakespeare fa del suicidio di Bruto un momento fortemente drammatico per enfatizzare l’eroicità del personaggio e la forza della sua scelta. In un dialogo con Cassio, essendogli chiesto se mai accetterebbe la schiavitù, Bruto usa queste parole: “no, Cassio, no; non pensare, tu nobile romano, che Bruto andrà mai da schiavo a Roma; ha un animo troppo grande” (V.i.). Allo scoppio della battaglia, vedendosi oppresso dalla forza dell’avversario che guadagna posizioni sul campo, Cassio per primo va incontro alla morte in uno scambio di parole massimamente tragico e commovente con il servo Pindaro: “codardo che sono, da vivere abbastanza per vedere il mio migliore amico catturato davanti alla mia faccia. […] (a Pindaro) sii libero e con questa buona spada, che ha trafitto le viscere di Cesare,frugami nel petto” (V.iii.). Gli ultimi congiurati sopravvissuti allo scontro si radunano attorno a Bruto che decide di seguire la sorte dell’amico Cassio. “i nostri nemici ci hanno spinti sull’orlo dell’abisso. È più nobile saltarci dentro noi stessi che aspettare che ci buttino dentro. […] Avrò più gloria per questo giorno di sconfitta di quella che Ottaviano e Marco Antonio avranno con questa infame vittoria” (V.v.).

Il destino vuole che sia Marco Antonio il prossimo personaggio ad essere preso in questione, assieme alla compagna di vita (e di morte) Cleopatra. Nella tragedia Antonio e Cleopatra del 1607 vengono narrate le sventure che accompagnarono la coppia alla disfatta navale di Azio e al successivo suicidio. Credendo che la sposa fosse già perita, Antonio grida queste parole: “io che con la mia spada ho diviso il mondo […] mi accuso di avere meno coraggio di una donna, di avere mente meno nobile di colei [Cleopatra, n.d.a.] che con la sua morte dice al nostro Cesare -Io ho conquistato me stessa-”. Il povero Antonio tenta il suicidio ma non ne è capace e rimane gravemente ferito ma vivo. Solo a questo punto entra Cleopatra, falsamente ritenuta morta, ed assiste l’amato mentre questo si spegne lentamente. Morto Antonio, la regina d’Egitto si fa accompagnare dalle serve nel mausoleo dove porrà fine alle sue sofferenze con la morte. Ottenute da un servo delle velenosissime serpi, Cleopatra se le pone sul corpo istigandole a mordere. “vi è una brama infinita d’Eterno in me. […] sono fuoco ed aria, gli altri elementi che compongono il mio corpo li lascio alla viltà di questa vita”. L’ultima parola di Cleopatra prima di morire è “perché dovrei restare…”: la morte le impedisce di proseguire quella frase che esprimeva al massimo grado il rifiuto della regina verso le circostanze e i fatti che le capitavano attorno. Oltre a chiudere bruscamente la frase, il sopraggiungere del Sonno eterno chiude una esistenza sofferente che ostinatamente anelava alla morte, non trovando più un valido senso al vivere.

Dire che Shakespeare fu contagioso per la storia della letteratura è dire una ovvietà. Tuttavia è interessante notare come già in lui vivano consapevolmente dei tratti e delle caratteristiche propri di correnti artistiche successive che a lui si sono ispirate in parte. C’è il gusto del macabro e dell’orrido che solo un secolo più tardi verrà diventerà terreno fertile per il romanzo gotico di Walpole. Il sentimento artistico del Romanticismo troverà in Shakespeare innumerevoli punti di riferimento, dall’amore alla morte, dall’eroismo al delitto. Non ci pare troppo strano ritrovare nei protagonisti delle opere romantiche la stessa monumentalità dei personaggi shakespeariani: del resto a spingere Werther al suicidio provvede in parte quella stessa frattura con la società che troviamo nei suicidi eroici del drammaturgo inglese. Oggetto di infiniti rimaneggiamenti letterati, artistici e musicali, Shakespeare non smette mai di affascinare chi ne viene a contatto. Scoprendolo lentamente, meditandoci sopra, costruiamo con i mattoni del libro e con il collante del teatro quel palcoscenico dove “ogni attore recita la sua parte”, dove ogni uomo mette in scena la sua vita.

Luca Burzelli

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