1589/1593 – Tito Andronico

(“Titus Andronicus” – 1589 – 1593)

Traduzione di Alessandro Serpieri

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Tito Andronico

Introduzione

Per questa fosca e cruenta “tragedia di vendetta” Shakespeare si ispirò a Thomas Kyd (il drammaturgo elisabettiano autore di The Spanish Tragedy), alla leggenda di Filomela e Procne nelle Metamorfosi di Ovidio, e specialmente al teatro di Seneca, sul cui Tieste è ricalcato l’episodio del banchetto cannibalesco. Ma Shakespeare superò i suoi modelli nella rappresentazione scenica della crudeltà più efferata. La scena più cruda del dramma è probabilmente l’ultima dell’atto II, nella quale Demetrio e Chirone sbeffeggiano atrocemente la povera Lavinia, da loro brutalizzata. Lo stesso Shakespeare, nelle sue tragedie successive, non arrivò più a questi eccessi, nemmeno nel suo Re Lear (1605), che pure ha vari punti di contatto con il Tito Andronico (ad esempio, nel rapporto fra Tito e Lavinia, che prefigura quello fra Lear e sua figlia Cordelia). La fantasia shakespeariana è già in grado di dare forma a personaggi femminili quali la dolce e violata Lavinia e la perfida regina dei Goti Tamora e il satanico Moro Aronne. Sicuro precursore di villains machiavellici come Lady Macbeth, Jago, o Edmund in Re Lear, Aronne è la perfetta incarnazione del male, istigatore di ogni bassezza, figura luciferina che con la propria perfidia e astuzia tira le fila dell’intero dramma. Nel Tito Andronico, Shakespeare rinuncia in gran parte alla propria capacità di analisi psicologica, al suo gusto per le sfumature, per le sottili e complesse ambivalenze emotive, e anche alla propria genialità linguistica ed espressiva, per concentrarsi esclusivamente nella creazione di una macchina teatrale efficace e di grande effetto scenico, cui tutti gli altri elementi del dramma sono subordinati, anche la stessa qualità letteraria della scrittura. Shakespeare scrisse questa tragedia probabilmente fra il 1589 e il 1591; pubblicata nel 1594, essa appartiene agli inizi della carriera del grande drammaturgo ed è forse la sua prima tragedia. I personaggi principali sono il generale romano Tito Andronico e la regina dei Goti, Tamora.

Ma Shakespeare superò i suoi modelli nella rappresentazione scenica della crudeltà più efferata. La scena più cruda del dramma è probabilmente l’ultima dell’atto II, nella quale Demetrio e Chirone sbeffeggiano atrocemente la povera Lavinia, da loro brutalizzata. Lo stesso Shakespeare, nelle sue tragedie successive, non arrivò più a questi eccessi, nemmeno nel suo “Re Lear” (1605), che pure ha vari punti di contatto con il “Tito Andronico” (ad esempio, nel rapporto fra Tito e Lavinia, che prefigura quello fra Lear e sua figlia Cordelia). Un’altra anticipazione nel “Tito” è costituita dal personaggio del moro Aronne, amante della regina Tamora e suo malvagio consigliere, un personaggio negativo che precorre in qualche modo Iago.Nel “Tito Andronico”, Shakespeare rinuncia in gran parte alla propria capacità di analisi psicologica, al suo gusto per le sfumature, per le sottili e complesse ambivalenze emotive, e anche alla propria genialità linguistica ed espressiva, per concentrarsi esclusivamente nella creazione di una macchina teatrale efficace e di grande effetto scenico, cui tutti gli altri elementi del dramma sono subordinati, anche la stessa qualità letteraria della scrittura. L’influenza che subisce Shakespeare del sapore italico, non sarà soltanto compresa nell’aspetto formale di quest’opera, ma bensì anche nel senso della scrittura: chiarissima è infatti, l’infarinatura della scrittura, consapevole di una fascinazione con lo stile di Seneca e Ovidio che lascia spesso intravedere esempi classicheggianti e i simbolici come questo:

” Tamora è ormai sulla cima dell’Olimpo; siede in alto al sicuro dai colpi della fortuna e da rombo dei tuoni, dal bagliore dei lampi,fuori dalla portata d’ ogni minaccia della pallida invidia. Come quando il sole dorato saluta il mattino e, cosparso d’oro l’oceano dei suoi raggi, galoppa per lo zodiaco nel cocchio scintillante, avendo le più eccelse alture sotto al suo sguardo, tale è Tamora… ” (Atto II)

Da quello che può emergere dai pochi versi qui riportati, si può notare il supremo senso di uno stile superbo, costruito però su una scelta di vocaboli chiara a tutti rimanendo però ricca di un frasario molto variegato: se non altro, la critica letteraria definisce Shakespeare come uno dei più vivi ricercatori del lessico, di tutta la storia del teatro e della letteratura. In più, l’origine di uno stile che riesca a conciliare la chiarezza espressiva, sottolinea l’importanza che Shakespeare ha inserito nel progetto della realizzazione del The Globe: il teatro londinese aperto a tutte le classi sociali. Passando ad un’analisi più generale del testo del Tito Andronico, possiamo senz’altro dire che esso sia una denuncia alla corruzione estrema che gli uomini attuano per il potere: guerre, vendette e matrimoni di convenienze, omicidi e duelli in una miscellanea di morte e sangue che scorre in una drammaticità e in un machiavellismo da brivido e questo sarà solo un dramma shakespeariano allo stato embrionale se paragonato, al senso ancora più denso di opere come quella del Riccardo III o del MacbethTito Andronico, è il lato di uno Shakespeare ancora in fase di crescita ma che già riesce a creare un impatto scenico davvero unico. Sa calcare le cadenze narrative e l’individualità dei personaggi, macabri e neri sotto molti punti di vista, ma capaci anche di conoscere il pentimento dando vita a riflessioni sulla condizione umana, in riflessioni concrete e accessibili. Spesso i ruoli si confondono, si capovolgono: le vittime diventano padrone degli eventi, i condottieri periscono…. Tutti accomunati però da un’unica fine.

RIASSUNTO

Tito è un generale romano che ha vinto i Goti ai confini dell’impero, e conduce trionfalmente a Roma la prigioniera regina Tamora e i suoi figli. Invano costei implora compassione da lui per Alarbo, il figlio destinato a morire per appagare le ombre dei soldati romani uccisi in battaglia. Tito rifiuta anche l’offerta di essere eletto imperatore per i suoi meriti, e contribuisce a far eleggere Saturnino, il quale sceglie Lavinia, figlia di lui, come consorte. Ma le cose cambiano, allorché il sovrano si invaghisce di Tamora, che è bellissima, e la sposa. Da ciò, hanno inizio le lotte tra le due famiglie: quella di Tamora e dei figli per vendicare Alarbo, oltre che impadronirsi di tutto il potere, e quella di Tito e dei suoi. Tamora però è segretamente innamorata del nero Aaron, e ne avrà anche un figlio. La tresca viene scoperta da Lavinia, sposata al fratello dell’imperatore, Bassiano. Per questo, e perché non parli, le vengono tagliate la lingua e le mani, dopo essere stata violentata da Demetrio e Chirone, figli di Tamora, e anche Bassiano viene assassinato. Del delitto sono incolpati però i figli di Tito, dei quali due vengono uccisi e il terzo, Lucio, esiliato. Con un inganno, Aaron comunica a Tito che in cambio di una sua mano mozzata i figli verranno risparmiati dalla clemenza dell’imperatore. Tito accetta, ma avrà solo le loro teste. La sequenza delle uccisioni prosegue; ora l’Andronico non è più il fedele servo di Roma, e la sua nobiltà si trasforma in sete di vendetta. Lavinia, ridotta a una larva, con un bastone in bocca scrive i nomi del suoi seviziatori: Demetrio e Chirone. Nel frattempo, l’esiliato Lucio, unitosi ai Goti, li sta guidando contro Roma ed è alle porte della città. Altri inganni, altri omicidi tra cui quelli della levatrice e della nutrice che hanno aiutato a nascere il bimbo moro di Aaron e Tamora, perché non parlino. In seguito, Saturnino e la sua corte, su consiglio di Tamora, stabiliscono un abboccamento, che in realtà è una trappola, con i Goti in casa dell’Andronico, e questi organizza un banchetto nel quale avrà luogo la sua vendetta. Dopo aver fatto uccidere Demetrio e Chirone, con le loro ceneri Tito fa preparare un pasticcio che presenta alla madre e la invita a mangiarlo. E’ il segnale della mattanza finale. Per prima cosa, Tito strangola l’infelice Lavinia per sollevarla dalla sua sorte disperata, quale estremo atto d’amore paterno; poi uccide Tamora, e come risposta Saturnino lo trafigge. Nel tumulto, Lucio infilza Saturnino, poi intima che Aaron, l’anima nera che ha ispirato tutte le nefandezze e gli assassinii, venga seppellito nella terra sino al petto e lasciato morir di fame. La sintesi, incompleta, del tragico testo di Shakespeare, svela che il male è nell’uomo l’espressione del lato bestiale della sua natura, che non ha giustificazione di sorta, se non quella che proclama Aaron quando è condotto al supplizio: “… se ho fatto una buona azione, in tutta la mia vita, di questa mi pento dal fondo dell’anima”. E’ la diabolica possessione del potere per il potere, che non indietreggia dinanzi a niente. Se esiste moralità in questo lavoro estremo, è la repulsione totale che scaturisce dalla descrizione degli assassinii, dell’odio e della menzogna, e l’assenza di qualunque barlume di rimorso. Il Tito del Bardo, da lui ripreso da antichi autori, come egli ha fatto in tutte le sue opere, prelude alle successive tragedie capolavoro come il Macbeth e Re Lear. Eppure, anche in presenza delle immani efferatezze raccontate, l’arte di Shakespeare riesce a esprimere meravigliose parole, similitudini e immagini di raffinata poesia.

Atto I
L’ Imperatore di Roma è morto, e i suoi figli Saturnino e Bassiano litigano per il possesso del trono. Il Tribuno della plebe, Marco Andronico, annuncia che la plebe ha scelto come nuovo imperatore suo fratello, Tito Andronico, un generale romano appena ritornato da una campagna militare durata 10 anni contro i nemici dell’impero. Tito entra a Roma portando con sé dei prigionieri: Tamora, la regina dei Goti, i suoi figli e Aronne il Moro. Tito ritiene un suo pio dovere religioso sacrificare il primo figlio di Tamora, Alarbo alla memoria dei propri figli caduti durante la guerra. Tamora lo implora di non sacrificare Alarbo, e quando Alarbo viene comunque sacrificato, giura vendetta. Tito Andronico rifiuta, in segno di umiltà, di diventare imperatore e rinuncia in favore del figlio maggiore del vecchio imperatore, Saturnino; i due si accordano per il matrimonio di Saturnino con la figlia prediletta di Tito, Lavinia. Non sanno che Bassiano e la ragazza si erano precedentemente sposati in segreto: i ragazzi decidono di fuggire, aiutati da un altro dei figli di Tito, Muzio. Nel tentativo di impedire la fuga Tito si scontra con Muzio e lo uccide. Saturnino, novello imperatore, decide quindi di sposare invece Tamora. Spinti l’uno dall’invidia per la popolarità di Tito e dall’affronto subìto per il rifiuto di Lavinia, l’altra dall’odio verso chi ha ucciso il suo figlio maggiore, la coppia decide di vendicarsi sulla famiglia di Andronico.

Atto II 
Il giorno seguente, durante una battuta di caccia, Aronne, l’amante di Tamora, incontra i figli di Tamora, Chirone e Demetrio, e discute con loro su chi dovrebbe prendersi le grazie di Lavinia.  Aronne ha gioco facile nel convincerli a tendere un agguato nel bosco a Bassiano e ad ucciderlo davanti a Lavinia mentre Tamora osserva soddisfatta. Lavinia disperata chiede aiuto a Tamora ed implora pietà. Tamora rifiuta: vuole la sua vendetta. Chirone e Demetrio portano via Lavinia, la torturano, la violentano e, per impedirle di rivelare ciò che è successo, le tagliano la lingua e le mozzano le mani. Aronne conduce quindi i figli di Tito, Marzio e Quinto, nel luogo in cui è stato ucciso Bassiano, e li accusa fraudolentemente dell’omicidio; l’Imperatore ha così la scusa per farli arrestare. Nel frattempo Marco trova la povera Lavinia, la soccorre e la riconduce dal padre.

Atto III
Tito e il suo figlio rimanente sono preoccupati per le vite di Marzio e Quinto, ma non sanno che questi sono già stati giustiziati. Marco entra con la sorella Lavinia, ma nessuno riesce a capire se lei tentasse di scagionare o incolpare i suoi fratelli. Entra Aronne, e dice agli uomini che l’Imperatore risparmierà i prigionieri, se uno di loro in cambio sacrificherà una mano. Tutti offrono di sacrificare la propria, ma è Tito a tagliarsela e a consegnarla ad Aronne, che la porta all’Imperatore. Come tutta risposta, un messaggero consegna a Tito le teste mozzate dei suoi figli. Tito ordina quindi a Lucio di fuggire da Roma e di radunare un esercito tra quelli che erano in precedenza i suoi nemici, i Goti. Una volta tornato a casa, la disperazione di Tito sconfina nella follia, e i suoi familiari cominciano ad essere veramente preoccupati per lui.

Atto IV
Il nipote di Tito, che stava aiutando Tito a leggere alcune storie a Lavinia, si accorge che ella non vuole lasciare il libro per nessun motivo. In quel libro, Lavinia mostra a Tito e a Marco la storia di Filomela, nella quale la vittima di una violenza, muta come ora lei era, scrive il nome del suo brutalizzatore. Marco le dà un bastone grande abbastanza perché lei lo possa stringere con la bocca e con i moncherini, e con esso la ragazza scrive i nomi degli aggressori nel terreno sabbioso. Una volta letti, tutti i presenti giurano vendetta. Tito si finge allora impazzito, fa legare dei biglietti con scritte preghiere e invocazioni agli dei a delle frecce, e ordina ai suoi scudieri di scagliarle verso il cielo. Marco lancia le sue frecce in modo tale che atterrino all’interno del palazzo dell’imperatore Saturnino: costui si irrita molto per questo, ed ordina di giustiziare un buffone che gli aveva consegnato l’ennesima supplica da parte di Tito. Tamora intanto partorisce un bambino di pelle scura: l’ostetrica potrebbe rivelare che il padre in realtà non è altri che Aronne. Egli decide così di uccidere la serva e fugge con il bambino per salvarlo dall’inevitabile furia dell’Imperatore tradito.

Atto V
Lucio, mentre sta marciando su Roma con l’esercito appena radunato, incontra Aronne e lo cattura. Per poter salvare suo figlio, Aronne rivela quindi l’intero complotto, confessandosi ispiratore degli omicidi, dello stupro e delle mutilazioni di Lavinia. Tamora, convinta della pazzia di Tito, va da lui insieme ai suoi due figli, travestiti come gli spiriti della Vendetta, dell’ Assassinio e dello Stupro. Racconta a Tito che, con i suoi poteri di spirito sovrannaturale, gli assicurerà la sua vendetta se egli convincerà Lucio ad interrompere l’avanzata verso Roma. Tito acconsente, manda Marco ad invitare Lucio a partecipare ad un banchetto e chiede a “Vendetta” (in realtà Tamora), di invitare anche l’Imperatore. Insiste però affinché “Stupro” e ” Assassinio” (Chirone e Demetrio) restino lì con lui, suoi ospiti. Tito fa legare Chirone e Demetrio dai suoi servi e a quel punto rivela loro il suo piano: li sgozzerà, mentre Lavinia raccoglierà il loro sangue stringendo una coppa con i suoi moncherini, quindi li farà a pezzi e con le loro carni preparerà un pasticcio che verrà servito durante il banchetto alla loro madre. È la stessa vendetta che Procne si prese per lo stupro della sorella Filomela. Il giorno del banchetto Tito si presenta nel salone di casa sua vestito da cuoco, ed invita tutti a mangiare a sazietà. Chiede quindi a Saturnino se un padre dovrebbe uccidere la figlia se essa fosse stata stuprata. Quando l’Imperatore si dichiara d’accordo, Tito improvvisamente uccide Lavinia e dice a Saturnino ciò che Tamora e i suoi figli hanno fatto. Rivela anche che Chirone e Demetrio si trovano nel pasticcio di carne che Tamora ha appena mangiato con soddisfazione, e subito dopo uccide l’inorridita perfida donna. Gli eventi precipitano. Saturnino uccide Tito: Lucio uccide Saturnino. Lucio viene acclamato come nuovo imperatore. Egli, lo zio Marco e tutti i presenti tributano un commosso ed addolorato addio a a Tito. Lucio dispone quindi che sia data un’appropriata sepoltura all’imperatore Saturnino, mentre il corpo di Tamora venga dato in pasto alle bestie. Quanto ad Aronne sia seppellito vivo fino alle spalle e lasciato a morire di fame e sete. Aronne, impenitente e orgoglioso fino all’ultimo proclama:

« If one good Deed in all my life I did,
I do repent it from my very Soule. »

« Se mai ho commesso una sola buona azione in tutta la mia vita
me ne pento dal profondo dell’anima »

Tito Andronico
(“Titus Andronicus” – 1589 – 1593)
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