«Può esser che il mio cuore, schiavo del tuo regno
s’inebri col veleno che i re usano, l’inganno?».
Continuando la dicotomia tra l’occhio e la mente, il poeta presenta due possibilità alternative – indicate dalla frase “Può esser che” – per l’azione dell’occhio e della mente.
Sonetto 114 Può esser che il mio cuore, schiavo del tuo regno |
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O la mente controlla la vista del poeta ed è suscettibile di adulazione, o il suo occhio è il padrone della sua mente e rende “mostri ed ogni cosa informe / dolci cherubini” che assomigliano al giovane. Il poeta decide sulla prima possibilità, che la sua mente controlli la sua vista; qualunque cosa l’occhio veda e qualunque confronto faccia, la sua mente trasforma qualsiasi oggetto nella migliore luce del giovane. L’occhio del poeta “ben conosce” cosa è d’accordo con la mente del poeta “E per il suo palato [della mente] predispone il giusto calice”.
Ironicamente, il poeta riconosce che paragonare tutto al giovane non è saggio, perché allora non giudica mai veramente né il giovane né il mondo. Tuttavia, accetta il rischio, perché negli ultimi due versi del sonetto dice che anche se la sua mente sta ingannando se stessa, almeno il bell’aspetto del giovane è consolazione per questo autoinganno. In altre parole, al poeta non importa se qualcosa è avvelenato finché è bello; l’apparenza è più importante della sostanza.
Sonnet 114 – In English
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Traduzione in Italiano di Maria Antonietta Marelli (I Sonetti – Garzanti editore)
Audio in Italiano – Lettura di Valter Zanardi dal canale YouTube VALTER ZANARDI letture