Sonetto 13

Shakespeare. Sonetto 9

«Oh, se tu fossi tuo! Ma amore, tu non sarai
tuo più del tempo che vivrai quaggiù».  

Il Sonetto 13 approfondisce il tema della morte del Sonetto 12 affermando ancora una volta che la morte sconfiggerà per sempre la bellezza del giovane se muore senza lasciare un figlio.

Sonetto 13
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Oh, se tu fossi tuo! Ma amore, tu non sarai
tuo più del tempo che vivrai quaggiù:
dovresti prepararti a questa incombente fine
e trasferire a qualcun altro la tua dolce immagine.
Così quella bellezza che in uso ora possiedi,
non avrebbe fine: tu allora ritorneresti
ad essere te stesso dopo la tua morte,
se la tua bella prole ripeterà il tuo dolce aspetto.
Chi lascia cadere in rovina una sì bella casa
quando un oculato governo dovrebbe rinsaldarla
contro i tempestosi rovesci dell’inverno
e l’ingrata rabbia del gelo della morte?
Oh, solo un prodigo: mio caro amore, tu ben sai
d’aver avuto un padre: fa che lo possa dir tuo figlio.

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Un certo significato può risiedere nel fatto che nel Sonetto 13 il poeta si riferisce per la prima volta ai giovani con “tu (you)” . “Thou (vedi testo in Inglese)” esprime un rispettoso omaggio nel gergo elisabettiano, ma “tu (you)” esprime intimo affetto. In ogni caso, il Sonetto 13 inizia con il sincero desiderio “Oh, che tu fossi tuo” e l’avvertimento, “… ma, amore, tu non sarai / tuo più del tempo che vivrai quaggiù”. Questa seconda riga ricorda al giovane che con la morte cesserà di possedere se stesso perché non ha prole che perpetui il suo nome e la sua bellezza.

La proposta del poeta al suo amico contiene ambiguità. In effetti, il giovane può scegliere di avere un figlio o di rimanere solo un’immagine di se stesso allo specchio. La sostanza (un figlio) o la forma (l’immagine del giovane in uno specchio) è l’unica scelta presentata. Il giovane sembra così completamente immerso nella propria personalità che tutto il suo essere è in dubbio. Già il poeta accenna all’inganno, che ora il giovane usa inconsapevolmente contro se stesso e in seguito usa deliberatamente contro il poeta. Rifiutandosi di sposarsi, il giovane tradisce la felicità e nega la sua continuazione in un figlio.

Il distico conclusivo presenta un nuovo argomento da parte del poeta nel persuadere il giovane a sposarsi e procreare. In precedenza nei sonetti 3 e 8, il poeta invocava la madre del giovane come strumento persuasivo. Qui, il poeta chiede perché il giovane negherebbe a un figlio il piacere di averlo come suo padre, proprio come invece il giovane trovava la felicità nell’essere figlio di suo padre. E forse ancora più importante, il poeta si domanda perché il giovane neghi a se stesso l’estasi della paternità quando ha chiaramente osservato la gioia di suo padre nell’essere il suo genitore.

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Crediti

Traduzione in Italiano di Maria Antonietta Marelli (I Sonetti – Garzanti editore)

Audio in Italiano – Lettura di Valter Zanardi dal canale YouTube VALTER ZANARDI letture

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