Sonetto 113

Shakespeare. Sonetto 9

«Da quando ti ho lasciato, la mia vista è in cuore
e l’occhio che dirigere dovrebbe ogni mio passo».  

Più per senso del dovere che da un’espressione significativa di emozione, il poeta professa di vedere il giovane in tutto mentre è lontano.

Sonetto 113
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Da quando ti ho lasciato, la mia vista è in cuore
e l’occhio che dirigere dovrebbe ogni mio passo,
si distoglie dal suo compito ed è in parte cieco,
crede di vedere, ma in realtà è spento:
perché non trasmette al cuore alcuna immagine
di uccelli, fiori o forme che esso scorge,
né partecipa alla mente il suo fugace sguardo,
né trattiene la sua vista quel che percepisce:
sia che esso veda cose rozze o delicate,
la più dolce effigie o l’esser più deforme,
la montagna o il mare, il giorno o la notte,
il corvo o la colomba, tutto ei foggia a tua sembianza.
Non sapendo far di più, di te soltanto colmo,
il mio devoto cuore mi costringe ad esser falso.

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La dicotomia vista-cuore presentata nella prima riga – “Da quando ti ho lasciato, la mia vista è in cuore” – ricorda i sonetti precedenti in cui i pensieri del giovane accontentavano il poeta durante la loro separazione. Inoltre, l’uso delle parole “più” e “vero (true)” nel distico in rima è simile al loro uso nel Sonetto 110 e suggerisce che il poeta sta ancora cercando di dimostrare – forse più a se stesso che al giovane – il suo rinvigorirsi dell’amore per il giovane: “Non sapendo far di più, di te soltanto colmo, / il mio devoto cuore mi costringe ad esser falso”. Qui, “il mio devoto cuore” significa che l’unica verità che il poeta riconosce è la sua completa devozione al giovane.

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Traduzione in Italiano di Maria Antonietta Marelli (I Sonetti – Garzanti editore)

Audio in Italiano – Lettura di Valter Zanardi dal canale YouTube VALTER ZANARDI letture

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