Sonetto 18

Shakespeare. Sonetto 9

«Dovrei paragonarti a un giorno d’estate?
Tu sei ben più raggiante e mite».  

Uno dei più noti dei sonetti di Shakespeare, il Sonetto 18 è memorabile per la presentazione abile e varia dell’argomento, in cui i sentimenti del poeta raggiungono un livello di estasi mai visto nei sonetti precedenti. Il poeta qui abbandona la sua insistenza sul giovane perché generi un figlio, e invece si gloria della bellezza della giovane.

Sonetto 18
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Dovrei paragonarti a un giorno d’estate?
Tu sei ben più raggiante e mite:
venti furiosi scuotono le tenere gemme di maggio
e il corso dell’estate ha vita troppo breve:
talvolta troppo cocente splende l’occhio del cielo
e spesso il suo volto d’oro si rabbuia
e ogni bello talvolta da beltà si stacca,
spoglio dal caso o dal mutevol corso di natura.
Ma la tua eterna estate non dovrà sfiorire
né perdere possesso del bello che tu hai;
né morte vantarsi che vaghi nella sua ombra,
perché al tempo contrasterai la tua eternità:
finché ci sarà un respiro od occhi per vedere
questi versi avranno luce e ti daranno vita.

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Inizialmente, il poeta pone una domanda: “Dovrei paragonarti a un giorno d’estate?” – poi ci riflette, osservando che la bellezza del giovane supera di gran lunga le delizie dell’estate. L’immagine è l’essenza stessa della semplicità: “venti” e “gemme”. Notare anche l’uso degli estremi da parte del poeta nelle frasi “più raggiante”, “vita troppo breve” e “troppo cocente”; queste frasi sottolineano la bellezza del giovane.

Sebbene le righe dalla 9 alla 12 siano contrassegnate da un tono più espansivo e da un sentimento più profondo, il poeta ritorna alla semplicità delle immagini di apertura. Come ci si aspetta dai sonetti di Shakespeare, l’affermazione che il poeta pone nei primi otto versi – che tutta la natura è soggetta all’imperfezione – è ora contrastata in questi quattro versi successivi che iniziano con “Ma”. Sebbene la bellezza declini naturalmente a un certo punto – “e ogni bello talvolta da beltà si stacca” – la bellezza del giovane non lo farà; il suo aspetto immutabile è atipico rispetto la progressione costante della natura. Anche la morte è impotente contro la bellezza della giovinezza.

Nel distico conclusivo: “Finché ci sarà un respiro od occhi per vedere, / questi versi avranno luce e ti daranno vita”, Il poeta non sta descrivendo ciò che è il giovane, ma ciò che sarà da qui a secoli, come catturato nei versi eterni del poeta – o ancora, in un figlio sperato. Qualunque cosa si possa provare sul sentimento espresso nel sonetto e soprattutto in questi ultimi due versi, non si può fare a meno di notare un brusco cambiamento nella stima del poeta riguardo la sua scrittura. Dopo il riferimento sprezzante del poeta alla sua “penna alunna” e alle “spoglie rime” nel Sonetto 16, sorprende nel Sonetto 18 scoprirlo vantarsi che la sua poesia sarà eterna.

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Crediti

Traduzione in Italiano di Maria Antonietta Marelli (I Sonetti – Garzanti editore)

Audio in Italiano – Lettura di Valter Zanardi dal canale YouTube VALTER ZANARDI letture

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