Sonetto 55

Shakespeare. Sonetto 9

«Né marmo, né aurei monumenti di principi
sopravviveranno a questi possenti versi».  

Il Sonetto 55, uno dei versi più famosi di Shakespeare, afferma l’immortalità dei sonetti del poeta resistendo alle forze del decadimento nel tempo. Il sonetto riprende questo tema dal sonetto precedente, in cui il poeta si è paragonato a un distillatore di verità.

Sonetto 55
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Né marmo, né aurei monumenti di principi
sopravviveranno a questi possenti versi;
tu brillerai più luminoso in queste rime
che in polverosa pietra consunta dal lordo tempo.
Quando la distruttiva guerra travolgerà le statue
e ogni opera d’arte sarà rasa al suolo da sommosse
né la spada di Marte, né il suo divampante fuoco
cancelleranno il ricordo eterno della tua memoria.
Contro la morte ed ogni forza ostile dell’oblio
tu vivrai ancora: la tua gloria troverà sempre asilo
proprio negli occhi di ogni età futura
che trascinerà questo mondo alla condanna estrema.
Così, sino al giudizio che ti farà risorgere,
vivrai in questi versi e dimorerai in occhi amanti.

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Sebbene in questo sonetto manchi il precedente orgoglio del poeta nello scrivere versi, riesce comunque a dimostrare uno spirito superbamente fiducioso: “Né marmo, né aurei monumenti di principi / sopravviveranno a questi possenti versi”. Egli abbandona chiaramente, almeno per il momento, la sua precedente opinione deprimente del suo verso come “brina sterile”, poiché in seguito contrappone l’immortalità dei suoi versi a “polverosa pietra consunta dal lordo tempo”, il che significa che il giovane sarà ricordato più a lungo in quanto il poeta avrà scritto su di lui che se le descrizioni della sua bellezza fossero state scolpite nella pietra.

Le quattro righe successive affrontano lo stesso tema dell’immortalità, ma ora il poeta si vanta che non solo le forze naturali ma le guerre e le battaglie umane non possono cancellare i suoi sonetti, che sono il “ricordo eterno” del giovane. Monumenti e statue possono essere profanati durante la guerra, ma non queste rime.

Nei primi diciassette sonetti, il poeta si preoccupava dell’effetto della morte sulla bellezza del giovane e metteva in dubbio la natura della reputazione dei suoi sonetti dopo la morte sia di lui che del giovane. Ora, tuttavia, nelle righe da 9 a 12, afferma coraggiosamente che la morte è impotente di fronte all’immortalità dei suoi sonetti: Al giovane dice: “Contro la morte ed ogni forza ostile dell’oblio / tu vivrai ancora”. Infatti, afferma che il nome del giovane sarà ricordato fino alla morte dell’ultimo sopravvissuto sulla terra: “… la tua gloria troverà sempre asilo / proprio negli occhi di ogni età futura / che trascinerà questo mondo alla condanna estrema.” Solo allora, quando nessuno rimarrà in vita, la bellezza del giovane svanirà, ma non per colpa del giovane o del poeta.

Questa nozione di “destino finale” è il punto principale del distico conclusivo. La sintassi della riga 13 – “Così, sino al giudizio che ti farà risorgere” – è confusa; ovvero la frase dovrebbe essere: “Fino al giorno del giudizio che ti farà risorgere”. Il poeta assicura al giovane che la sua bellezza rimarrà immortale finché una sola persona vivrà ancora per leggere questi sonetti, che a loro volta saranno immortali.

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Traduzione in Italiano di Maria Antonietta Marelli (I Sonetti – Garzanti editore)

Audio in Italiano – Lettura di Valter Zanardi dal canale YouTube VALTER ZANARDI letture

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