Sonetto 58

Shakespeare. Sonetto 9

«Vieti quel Dio che primo a te mi rese schiavo
che in mente vagli i tuoi attimi di piacere».  

Come in tanti altri sonetti, il fastidio del poeta per il giovane è espresso in modo ambiguo. Ci accorgiamo appena che rimprovera il giovane nelle righe “Vieti quel Dio che primo a te mi rese schiavo / che in mente vagli i tuoi attimi di piacere”.

Sonetto 58
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Vieti quel Dio che primo a te mi rese schiavo
che in mente vagli i tuoi attimi di piacere
o che alla tua mano implori il resoconto delle ore,
essendo tuo vassallo, son costretto al tuo volere.
Possa io soffrire, sempre al cenno tuo,
la forzata solitudine della tua vita libera
e la pazienza, al dolor domata, tollerar le offese
senza accusare te di ingiusta crudeltà.
Ovunque tu sia, il tuo privilegio è tale
che tu solo puoi concedere il tuo tempo
a ciò che prediligi, spetta soltanto a te
perdonar te stesso del male che commetti.
Aspettar io devo, benché l’attesa sia un inferno,
non biasimare il tuo volere, sia esso giusto o ingiusto.

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Sicuramente l’allusione è che il poeta non si lamenterà della sua trascuratezza: “e la pazienza, al dolor domata, tollerar le offese / senza accusare te di ingiusta crudeltà”. Né si aspetta un resoconto del tempo del giovane. Tuttavia, è implicita una ferita: “Aspettar io devo, benché l’attesa sia un inferno, / non biasimare il tuo volere, sia esso giusto o ingiusto”. La dignità del poeta è offesa.

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Traduzione in Italiano di Maria Antonietta Marelli (I Sonetti – Garzanti editore)

Audio in Italiano – Lettura di Valter Zanardi dal canale YouTube VALTER ZANARDI letture

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